Carbonia. Agitazioni e scioperi durante gli ultimi mesi del 1945

22 Novembre 2020
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Gianna Lai

Oggi è domenica e riparliamo della storia di Carbonia, come dal 1° settembre 2019.

I lavoratori condividono le scelte e i programmi definiti dalle Commissioni interne, sostenedone in particolare i membri che, per il loro assiduo impegno, sarebbero sempre stati  i più esposti alle offensive e ai ricatti della direzione. Primo fra tutti, impedire gli incontri con i minatori nei cantieri, non concedendo alle rappresentanze  i locali da  destinare alle  riunioni  e alle assemblee con le maestranze, nonostante gli accordi nazionali fossero, su  questo punto, molto chiari. I rigidi turni di lavoro non facilitavano certo la comunicazione tra gli operai, i piazzali della miniera all’aperto unico spazio per discutere l’andamento di una vertenza, l’esito di una trattativa,  che facesse freddo e piovesse, o che il caldo fosse insopportabile. Sede del  dibattito restavano perciò i locali della  Camera del Lavoro, sempre molto frequentata, sempre aperta alla partecipazione di tutti. Ed è da qui che nasce, nel dopoguerra, la mobilitazione degli operai di Carbonia sulle lotte contro il carovita, contro il mercato nero e per l’adozione, a favore di tutte le categorie,  della scala mobile. Un piano di rivendicazioni elaborato dalla CGIL, già a Napoli, febbraio del 1945, nel contesto di ‘un programma nazionale di ricostruzione economica, come strumento di solidarietà e di effettiva unità nazionale’, che prevedeva inoltre ‘la derequisizione degli stabilimenti requisiti dagli angloamericani,  la nazionalizzazione dei monopoli delle industrie chiave, la riforma agraria’.
In  città si creò una tale spinta popolare, per l’adesione immediata delle Commissioni interne a fianco del Consiglio delle leghe  e del direttivo della Camera del lavoro, da indurre il Comitato di Liberazione e la Carbosarda stessa a non sottrarsi alle richieste, ad aprirsi al dialogo con le rappresentanze sociali. Che, se non dettero esito immediato per la  concretizzazione di un piano di intervento sui problemi della città  e della miniera,  come chiedevano le leghe e anche le sinistre, avviarono tuttavia una nuova stagione di impegno, la elaborazione di nuovi obiettivi di più vasta politica sindacale. Fino a comprendere nel dibattito l’intero territorio, contadini e paesi agricoli del Sulcis e della Sardegna, per la costruzione di un’Italia democratica.
Dal 5 settembre 1945 sono in agitazione 90 operai delle officine elettriche e meccaniche della SMCS, contro il mancato adeguamento dei salari e per l’aumento dello stipendio mensile, il 6 settembre tocca ai 120 operai SMCS del porto di Sant’Antioco, a causa del mancato pagamento degli arretrati dal 2 aprile,
Ancora scioperi e forme diverse di astensioni dal lavoro, seguite da numerose assemblee in piazza che attestano il  coinvolgimento della città, per tutto il mese di settembre e di ottobre, e intanto il Comitato direttivo della Camera confederale del lavoro provinciale, non direttamente artefice di talune di queste proteste, deve comunque prendere atto della mobilitazione spontanea degli operai. E scioperi e manifestazioni anche a Cagliari in ottobre, mentre  il prefetto riferisce della protesta di Carbonia, il 12 dello stesso mese, contro il carovita  e per aumenti salariali, con “accoglimento parziale delle richieste operaie” 2). E ancora ’sciopero bianco’, non autorizzato a Carbonia, annuncia L’Unione Sarda del 16 ottobre 1945, pur se i rapporti tra Camera del Lavoro e maestranze si mantengono sempre nella normale dialettica che li caratterizza anche nel resto del paese.
Forti  piuttosto anche questa volta i contrasti fra il movimento sindacale e le sinistre da un lato, i dirigenti democristiani e sardisti dall’altro che, contestando ogni forma di lotta, sostengono potersi sistemare le cose senza manifestazioni di piazza, né interventi di natura politica. Mentre a margine, di nuovo, per creare scompiglio tra i minatori, frange di delinquenti comuni,  gruppi isolati del tutto estranei al sindacato, questa volta col compito di screditare la Camera del Lavoro: un covo di fascisti, a detta dei provocatori, e le Commissioni interne vendute  all’azienda,  la politica del sindacato imbroglionesca, a causa dell’alleanza stretta  con gli operai della penisola. Contro cui, in verità, era solita scagliarsi platealmente anche  la dirigenza del Psd’az di Carbonia, per ‘le esose  richieste  salariali’ responsabili, secondo  i sardisti della sezione cittadina, della crisi nazionale e della povertà dell’intero  Meridione. Tra i più scalmanati agitatori, tale Demurtas,  espulso subito dopo da una delle sezioni cittadine  del PCI,  e poi allontanato da Carbonia con provvedimento delle autorità locali. Si trattava ancora di episodi isolati, destinati a restare tali grazie alla vigilanza sempre esercitata dal sindacato, prima di ogni altra cosa sui suoi stessi iscritti, e tuttavia esemplificativa del clima di forte tensione nel quale venivano portate avanti le lotte in città, essendo ormai venuto del tutto meno quel pur fragile sostegno unitario che, nei primi mesi del ‘45, aveva  caratterizzato l’avvio delle vertenze sul salario.
E fu in mezzo a tali dissidi, probabilmente per evitarne di più gravi, che il Comitato di Liberazione,  insieme ai segretari dei partiti e alla lega dei minatori, promosse allora,  a partire dal 23 ottobre, nuove assemblee cittadine, nelle quali sarebbero ben presto emerse le ormai insostenibili condizioni di vita della città,  stremata dalla miseria e dalle prolungate agitazioni, cui il movimento era costretto per ottenere ascolto. Sicché Il Lavoratore del 3 novembre, nel darne notizia, titolava, ‘A Carbonia ed a Bacu Abis si soffre la fame’, sospesa addirittura la distribuzione quotidiana dei generi alimentari, compreso il latte. E sarebbero ancora proseguite le manifestazioni popolari, imponendo di nuovo trattative e incontri con i partiti, lunghi mesi di mobilitazione intercalati da qualche tregua: in settembre, quando la SMCS pagò il Premio di Liberazione, assegnato dal governo Parri a tutti i dipendenti pubblici, e in novembre, quando le trattative condotte dal sindacato con l’ingegner Rostand, in rappresentanza della SMCS, stabilirono un anticipo di 2 mila lire mensili per gli impiegati, sugli aumenti ancora da fissare.

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