Andrea Pubusa
Leggendo le cronache, vengo colto da sorpresa per l’ignoranza che anche in settori dell’alta amministrazione si annida sui principi basici del diritto amministrativo. Certo non pretendo che Solinas e Zedda, entrambi, specularmente, non eccelsi studenti (si fa per dire) di giurisprudenza, conoscano i concetti elementari del diritto, ma i funzionari, che sono soggetti professionalizzati, devono sapere. Del resto chi ha fatto l’esame di diritto amministrativo con me non ha mai, dico mai, superato lo scoglio, se non conosceva i pareri. E la ragione è semplice: chi non conosce l’attività consultiva, ignora l’istruttoria amministrativa e in larga misura la patologia del provvedimento amministrativo. Non può fare il funzionario, l’avvocato o il giudice.
Cos’è dunque il parere? Atto tipico della fase istruttoria del procedimento amministrativo. È previsto dalla legge quando sia necessario acquisire una valutazione, un apprezzamento o un giudizio in funzione ausiliare e preparatoria di un provvedimento di amministrazione attiva. Quando il contenuto del parere è esclusivamente tecnico si parla di valutazione tecnica (Treccani). Il parere può essere obbligatorio e vincolante, quasi vincolante, oppure obbligatorio ma non vincolante, può essere anche facoltativo. In tutti i casi però introduce nel procedimento amministratuvo un vincolo. Se è vincolante, l’organo decisore deve uniformarsi, se non è vincolante, per svincolarsi e decidere in difformità, deve motivare puntualmente e convincentemente; se è facoltativo, una volta richiesto, per svincolarsi occorre ugualmente motivare puntualmente. La ragione è semplice, se il parere, pur non dovuto, è stato richiesto vuol dire che l’organo decisore ammette di non essere in grado di far da solo, di avere necessità di quel supporto conoscitivo e pertanto, per evitare contraddizioni entro l’iter decisionale, occorre considerare il parere e, in caso di discostamento, spiegarne in motivazione la ragione.
Dirò di più: un vincolo già si crea quando l’amministrazione forma un organo consultivo, come nel caso nostro il Comitato Tecnico scientifico sulla lotta al covid, perché ogniqualvolta la decisione verta su questa materia e non si tratti di questioni elementari, il parere dev’essere acquisito. In mancanza si insinua nel procedimento decisionale una contraddizione, la cui conseguenza più probabile è l’annullamento del provvedimento per esccesso di potere.
Bene, rapportando questi concetti elementari al caso delle discoteche sarde, la mail del Prof. Vella non è un parere del CTS perché non è adottato dall’organo consultivo, ma da un suo componente. A rigore il prof. avrebbe fatto bene a risparmiarselo, in quanto con questa sua opinione estemporanea ha introdotto nella procedura un elemento estraneo, che ha generato confusione. La procedura si svolge attraverso atti e operazioni formali e, dunque, ogni elemento estraneo va evitato, tanto più se l’interlocutore non sa distinguere un tabacchino da un ufficio pubblico o un’esclamazione del sindaco mentre guarda la partita da un atto amministrativo! Impropriamente, dunque, Solinas ha richiamato questo improvvido ma del tutto informale e personale atto del prof. Vella.
In conclusione, Solinas ha deciso senza acquisire il parere del CTS. Il fatto è grave perché si tratta di materia per il quale quell’organo consultivo è stato costituito. L’omessa acqusizione del parere ha poi condotto all’assunzione, su base empirica e sotto la sola spinta degli interessi economici in gioco, di una decisione che poi si è rivelata catastrofica. Solinas era sotto schiaffo dei padroni delle discoteche, l’opposizione dei fighetti invece aveva a cuore i “molti giovani che avevano già prenotato”.
Dolo, colpa grave? Responsabilità anche per danno erariale? La magistratura farà il suo corso. Anzi, le magistrature faranno il loro corso. Certo che questa catastrofe annunciata si sarebbe potuta scongiurare col semplice rispetto delle regole che governano il procedimento amminitrativo.
1 commento
1 Tonino Dessì
17 Novembre 2020 - 10:15
Caro Andrea, la vicenda del parere sta facendo assumere a tutta la questione contorni assai più inquietanti di quanto già non sembrasse.
Nei fatti è andata così.
Il direttore generale dell’Assessorato della sanità ha inviato al professor Vella una bozza di ordinanza contenente misure per l’esercizio dell’attività delle discoteche.
Il professor Vella, sia pure esprimendosi in modo quasi colloquiale, ha risposto al direttore generale con una mail che suonerebbe, tradotta in italiano meno informale, esattamente così: “Considerato che ormai tenerle chiuse sarebbe inopportuno, esprimo parere favorevole, a condizione naturalmente che le misure contenute nel dispositivo siano osservate e che vengano attivati gli opportuni controlli. Esprimo questo parere anche a nome del solo altro collega esperto rimasto ancora componente del Comitato, da me personalmente sentito”.
Caro Andrea, questo amministrativamente è un parere a tutti gli effetti, ancorchè non dia atto di una convocazione collegiale dell’organo nè di una sua riunione magari avvenuta in teleconferenza.
Può essere che quest’ultimo aspetto possa esser opinato: forse in un giudizio amministrativo questo vizio di forma sarebbe invocato, tuttavia l’atto esiste e non si poteva far finta che non esistesse.
E gli uffici che hanno istruito il procedimento come tale lo hanno fatto pervenire a chi l’ordinanza doveva adottarla.
Vero è che potevano essi chiedere al mittente in che fosse precisato in che termini il parere fosse da considerarsi come parere del collegio.
Vero è più ancora che il decisore politico può discostarsi, purchè motivatamente, da qualsiasi parere tecnico.
Ma è un parere del quale il Professor Vella non può nè declinare le responsabilità giustificandosi ex post (“ma tanto avevano già deciso”) nè rivelando, quasi fosse cosa da niente, che in realtà il suo collega non lo aveva affatto sentito, come appunto poi è emerso.
Insomma, da un lato tutta la gestione di questo affare parte con un difetto nel manico: tutti volevano trincerarsi dietro la foglia di fico di un parere tecnico.
Poi il pasticcio è esploso quando dalla parte tecnica ci si è piattamente adeguati a quella che si riteneva essere la volontà politica.
Tutti hanno giocato equivocamente e ignobilmente sulla pelle dei sardi.
Risposta di A. Pubusa
Caro Tonino,
se come avvocato venissi incaricato di impugnare quella delibera, ne sarei ben lieto. E sai perché? Perché il provvedimento di apertura delle discoteche è stato adottato senza il parere del Comitatto tecnico scientifico, che invece, data la delicatezza della decisione, doveva essere assunto.
E la mail del prof. Vella? E’ una mail che esprime una sua opinione, non il parere del CTS, che è organo collegiale. Se Vella, anziché volersi mostrare compicente, avesse risposto - come doveva - girando il quesito al Comitato (al tempo mi pare composto solo da due membri), quasi certamente non sarebbero sorti i malintesi (voluti?), che hanno messo capo ad una catastrofe.
Cosa ci insegna la favola? Ci insegna che la violazione delle procedure è fonte di pasticci e spesso di decisioni gravemente erronee.
Per il resto sono d’accordo con te. Soggiungo che in questa vicenda sento puzza se non di dolo, almeno di colpa grave. Dati i danni gravi alla sanità pubblica e non solo, non mi sorprenderi se anche la Procura contabile ci mettesse le mani.
Guarda un po’ quanti casini crea violare la disciplina sui pareri! Un bel caso di scuola per gli studenti!
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