La Corte costituzionale annulla la Statutaria

8 Maggio 2009
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Andrea Pubusa

La Corte costituzionale ha finalmente depositato la sentenza sulla Legge Statutaria. Ha dichiarato ammissibile il ricorso e ha annullato la Legge, ritenendo fondate le questioni di legittimità sollevate dal Governo. Sono le ragioni che il “Comitato per il no” e il Comitato “Statutarua? No grazie”  avevano sempre sostenuto, sperando, vanamente, in un ravvedimento di Soru. Non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che alla fine questa sarebbe stata la sorte di una pessima legge, arrogante e  ad personam. Abbiamo dato battaglia senza tentennamenti, armati soltanto della convinzione di rendere un servizio ai sardi e alla democrazia della nostra Isola. Siamo sempre stati convinti che il Presidente Soru stesse esercitando il potere in modo arbitrario e arrogante. E ci ha angosciato il vederlo usare, lui presidente del centrosinistra, con prepotenza il più sacro dei poteri presidenziali, quello più ricco di significati simbolici, la promulgazione, che trasforma un atto in legge, uno scritto in espressione, attraverso la rappresentanza, della volontà popolare. E a queste forzature ci siamo opposti in modo limpido e onesto facendo ricorso alla migliore cultura giuridica e alla tradizione politica democratica e libertaria. Abbiamo sempre avuto ed abbiano la ferma convinzione che in tutte le cose ci sia un’etica, anche nell’interpretazione e nell’applicazione delle leggi. La sentenza della Corte ci dà ragione. Con una ventina di righe la Consulta fà giustizia dell’arroganza di Soru e degli svarioni  giuridici dei suoi consiliori. Fà giustizia anche degli strilli di molti suoi sostenitori, degli ultras da stadio. Ricordate le critiche qualunquistiche sullo sperpero di risorse pubbliche col referendum? Un inutile esborso per una futile ginnastica democratica, dissero. Ecco costoro ora sono serviti. I soldi sono stati impiegati per mettere nel suo giusto posto, nel cestino della storia, un atto che non è mai diventato legge e a cui si pretendeva, con protervia, di dare il crisma della legge.
 Non ci aspettiamo che questi signori chiedano scusa per i toni usati. Speriamo però che imparino a misurare i giudizi e, prima di alzare la voce, a ricordare chi hanno di fronte e con chi hanno a che fare. Se possibile cerchino di capire che ci sono ancora persone, cittadini, che, senza fondi e mezzi, con le sole armi del ragionamento sono disposti a dare e vincere una battaglia di democrazia.
La Corte costituzionale rende giustizia all’impegno di tanti  sardi di buona volontà. E’ un’energia enorme che Soru ha dilapidato e con lui una sinistra e un centrosinistra incapaci di attingere alle fonti più alte della propria cultura politica e istituzionale. Si è cercata una scorciatoia nel capo, nell’uomo della provvidenza. Ci si ritrova senza niente. Senza gioverno, senza un consistente e credibile gruppo consiliare, senza partiti (senza PD e sinistra varia). Del sorismo non resta nulla. Solo macerie, veleni e ferite, che sarà difficile rimarginare. Tuttavia, anche questa sentenza dimostra che non bisogna arrendersi, bisogna non mollare. E questo spirito di resistenza tanto più è necessario oggi perché pian piano dobbiamo ricostruire.
La Sardegna per fortuna è una terra solida, esente da sismi. Ma il terremoto politico degli ultimi cinque anni è stato terribile; ha raggiunto gli apici della scala Richter politica. Noi sardi, però, siamo tenaci e non ci mancheranno le forze per ricostruire una sinistra democratica forte e credibile.
Ma torniamo alla sentenza. Lo scoglio da superare era in realtà quello della legittimazione del Governo a sollevare conflitto d’interessi in relazione ad un atto del Presidente della Regione che modificando la legge che prescrive la formula della promulgazione, in realtà ha posto in essere un atto che configge col Consiglio regionale e con l’esito negativo del referendum. Si trattava  di una questione nuova perché il conflitto è previsto, ma fra poteri dello Stato e fra Stato e Regioni in ordine alla funzione amministrativa, ma non in relazione ad un conflitto che direttamente rimane in ambito regionale. La Corte costituzionale ha giustamente ritenuto che l’atto di un Presidente di Regione che promulga un atto non promulgabile, dandogli illegittimamente la veste e la forza della legge, riguardi non solo la Regione, ma l’intero ordinamento e dunque legittimi il Governo a sollevare il conflitto. E per fortuna la Corte sancisce questo principio. Perché coi tempi che corrono un diverso orientamento potrebbe aprire la strada a tante bizzarrie sul versante regionale. Avvertiamo tutti, con preoccupazione, quali umori terribili emergono in tante regioni e amministrazioni a guida leghista o del centrodestra, con qualche sfondamento anche nel centrosinistra.
La morte della Statutaria era in qualche modo “annunciata”. Già nella decisione dello scorso anno la Consulta aveva detto con chiarezza che il Presidente della Regione deve decidere in base agli articoli 12 e 13 della legge regionale n. 21/2002, che tuttavia non gli permettevano la promulgazione. Infatti, il Presidente può procedere alla promulgazione della legge solo in caso di esito favorevole del referendum e “con la formula seguente:”Il Consiglio regionale ha approvato; Il referendum indetto in data 21 ottobre ha dato risultato favorevole; Il Presidente della Regione promulga…” (art. 12), mentre l’art. 13 si occupa del caso in cui il risultato del referendum sia sfavorevole all’approvazione della legge regionale. In questo caso “il Presidente della Regione cura la pubblicazione del risultato nel Bollettino ufficiale della Regione”. Ora, non c’è dubbio che, essendo stato il referendum dichiarato invalido dalla Corte d’appello per mancanza del quorum, il Presidente non poteva affermare che il 21 ottobre il referendum ha dato risultato favorevole, perché un referendum invalido non approva alcunché. Ed infatti il Presidente ha promulgato modificando la formula dell’art. 12, e cioè non solo violando la legge, ma addirittura sostituendosi al legislatore regionale nella formulazione di un articolo di legge. Un fatto di inaudita gravità. Ed è quanto la Consulta ha ora sanzionato annullando la Legge Statutaria.
Ma c’è un altro passo importante nella decisione dello scorso anno, quello in cui dice che i provvedimenti della Corte d’appello e del Presidente “potranno anch’essi essere oggetto di giudizio sia da parte dei giudici ordinari che di questa stessa Corte”. Era un ammonimento al Presidente della Regione sarda. La Consulta avvertiva che contro le forzature, per esempio una promulgazione illegittima, c’è sempre il rimedio giurisdizionale e, se necessario, anche quello della stessa Corte costituzionale. Soru, nonostante l’avvertimento, è andato avanti a testa bassa ed ha cozzato prima col giudizio degli elettori, che lo hanno rimandato a casa, ed ora con quello della Corte costituzionale, che sanziona con la sua sentenza una presidenza esercitata all’insegna delle forzature e delle illegalità.
Cosa succede ora? Il Consiglio dovrebbe rideliberare la Legge Statutaria, tenendo conto degli esiti del referendum del 21 0ttobre 2007, introducendo una forma di governo parlamentare o un presidenzialismo bilanciato col rendere autonomo il Consiglio dalla volontà e dalle sorti del Presidente. Al momento tutto rimane immutato, salva la eliminazione dell’incompatibilità consiglieri/assessori (disciplina di dubbia utilità). Cade soprattutto la disciplina sul conflitto d’interessi, vera legislazione ad personam, confezionata da Soru su misura per sé stesso. E questo prova che in realtà la Legge Statutaria è stata così fortemente voluta da Soru in quanto tesa a risolvere un suio problema personale: il voler recitare due parti in commedia, essere insieme presidente e maggior imprenditore della Sardegna.

Ecco ora il testo integrale della sentenza 

SENTENZA N. 149 ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito dell’atto di promulgazione, adottato dal Presidente della Regione Sardegna, della legge regionale 10 luglio 2008, n. 1 recante: «Disciplina riguardante la forma di governo e i rapporti fra gli organi, i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della regione, l’esercizio del diritto di iniziativa popolare e i referendum regionali, i casi di ineleggibilità e incompatibilità alla carica di presidente della regione, consigliere regionale e assessore regionale», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19 settembre 2008, depositato in cancelleria il 23 settembre 2008 ed iscritto al n. 14 del registro conflitti tra enti 2008.

Udito nell’udienza pubblica del 21 aprile 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

udito l’avvocato dello Stato Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica il 16 settembre 2008, pervenuto presso la sede della destinataria Regione il successivo 19 settembre e depositato il giorno 23 dello stesso mese, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Regione Sardegna, per l’annullamento dell’atto di promulgazione della legge statutaria della Regione Sardegna 10 luglio 2008, n. 1 (Disciplina riguardante la forma di governo e i rapporti fra gli organi, i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della regione, l’esercizio del diritto di iniziativa popolare e i referendum regionali, i casi di ineleggibilità e incompatibilità alla carica di presidente della regione, consigliere regionale e assessore regionale), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Sardegna 18 luglio 2008, n. 23, in riferimento all’art. 15, comma 4, dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna, adottato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (come modificata dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2).

2. – Riferisce il ricorrente che la legge statutaria in parola, approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 7 marzo 2007, ai sensi dell’art. 15, secondo comma, dello statuto, era stata, su iniziativa di diciannove consiglieri regionali, assoggettata a referendum, ex art. 15, quarto comma, dello stesso statuto, referendum che si teneva il successivo 21 ottobre. La consultazione vedeva una partecipazione del 15,7% degli aventi diritto, con prevalenza dei voti contrari all’approvazione (votanti 228.440; voti favorevoli all’approvazione della legge 72.606; voti contrari 153.053), sicché non veniva raggiunto il quorum previsto, per effetto del rinvio di cui all’art. 15, comma l, della legge regionale 28 ottobre 2002, n. 21 (Disciplina del referendum sulle leggi statutarie), dall’art. 14, comma 2, della legge regionale 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale), a mente del quale il referendum non è dichiarato valido se «non vi ha partecipato almeno un terzo degli elettori».

La Corte di appello di Cagliari, nel corso del procedimento di verifica dei risultati del predetto referendum, sollevava, tra le altre, la questione di legittimità costituzionale del citato art. 15 della legge regionale n. 21 del 2002 censurando la previsione di un quorum non contemplato dall’art. 15 dello statuto speciale. Con la sentenza n. 164 del 2008, questa Corte ha dichiarato inammissibile la predetta questione, non riconoscendo alla rimettente la legittimazione a sollevare la medesima.

A seguito di tale pronuncia, la Corte di appello di Cagliari, applicando il citato art. 14, dichiarava non valido il referendum per il mancato raggiungimento del suindicato quorum strutturale.

Il Presidente della Regione, infine, ha promulgato la suddetta legge, con atto in data 10 luglio 2008, pubblicato nel Bollettino Ufficiale n. 23 del 18 luglio 2008.

3. – Il ricorrente, in via preliminare, ritiene sussistere il proprio interesse a ricorrere avverso l’impugnato atto, trattandosi di promulgazione approvata all’esito di un procedimento ritenuto non conforme alle corrispondenti previsioni statutarie, provviste di rango costituzionale.

Infatti, la promulgazione della legge statutaria, in carenza del requisito della «maggioranza dei voti validi» espressi in sede referendaria, costituisce «invasione dell’attribuzione esclusiva dello Stato di stabilire con legge costituzionale il procedimento di approvazione e promulgazione della legge statutaria della Sardegna». Pertanto, «rientra nella competenza dello Stato, attraverso il conflitto di attribuzione, richiedere l’annullamento dell’atto di promulgazione della legge statutaria facendo dichiarare l’illegittimità costituzionale delle norme, anche eventualmente quanto alla interpretazione datane, in attuazione delle quali la promulgazione della legge è stata effettuata».

Ricorda l’Avvocatura dello Stato che, con la sentenza n. 469 del 2005, questa Corte ha riconosciuto la possibilità per il Governo di utilizzare lo strumento del conflitto di attribuzione per «impugnare la promulgazione e la successiva vera e propria pubblicazione di un testo statutario in ipotesi incostituzionale per vizi non rilevabili tramite il procedimento di cui all’art. 123 Cost. di adozione dello statuto e per vizi anche successivi al primo eventuale giudizio della Corte sulla legge in questione».

Il presente ricorso è, per la difesa erariale, finalizzato a censurare «vizi della promulgazione, sopravvenuti rispetto alla scadenza del termine di cui all’art. 15, terzo comma, dello statuto speciale, che evidentemente non si potevano dedurre in una fase antecedente» e «l’unico strumento utilizzabile è quello del conflitto di attribuzione».

4. – Nel merito, il ricorrente reputa «palese» l’illegittimità dell’atto di promulgazione.

Più precisamente, il ricorrente sostiene, innanzitutto, che l’impugnato atto di promulgazione sarebbe stato adottato sulla base di una disciplina (il combinato disposto degli artt. 14, secondo comma, della l.r. Sardegna n. 20 del 1957, e 15, comma 1, della l.r. Sardegna n. 21 del 2002) illegittima in quanto incompatibile con l’art. 15, quarto comma, dello statuto speciale della Regione Sardegna che non contempla (e, dunque, vieta) il quorum strutturale in ordine al referendum in oggetto.

Al riguardo, l’Avvocatura dello Stato sottolinea l’analogia della disposizione statutaria invocata a parametro rispetto alla previsione dell’art. 138, secondo comma, della Costituzione, che non prevede alcun quorum minimo di votanti per la validità della consultazione referendaria, come, al contrario, è sancito per il referendum abrogativo di leggi statali ordinarie dall’art. 75, terzo comma, della Costituzione.

In subordine il ricorrente sostiene che il succitato art. 15 rinvia agli artt. 9, 10, 12, 13, 14 e 15 della l.r. n. 20 del 1957 esclusivamente con riguardo allo «svolgimento del referendum». Ne consegue che il rinvio in questione non può essere interpretato come esteso anche al secondo comma dell’art. 14 della l.r. n. 20 del 1957, il quale indica il quorum strutturale previsto dall’art. 32 dello statuto in relazione al referendum abrogativo. Sicché, il predetto rinvio deve essere inteso, in un senso costituzionalmente legittimo, come riferito esclusivamente al comma 1 e cioè in relazione alla modalità del referendum e non alla sua validità: ciò che lo statuto speciale ha inteso affidare al legislatore regionale ordinario «è soltanto la disciplina del procedimento elettorale di svolgimento del referendum, e non certo, la previsione di ulteriori requisiti di validità della consultazione referendaria ovvero di ulteriori e diversi requisiti di promulgabilità della legge statutaria sottoposta a referendum popolare».

5. – In secondo luogo, posto che ai sensi dell’art. 15, quarto comma, dello statuto speciale della Regione Sardegna «la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi», il Presidente della Regione non avrebbe potuto adottare l’impugnato atto di promulgazione «e ciò per il semplice motivo che la legge statutaria sottoposta validamente a referendum confermativo, una volta che sia stata dichiarata non valida la deliberazione popolare, non è stata approvata dalla maggioranza dei voti validi» e, dunque, «una legge che non sia stata approvata è del tutto inesistente».

Il referendum dichiarato non valido per mancanza del quorum – rimarca l’Avvocatura dello Stato – non consente al Presidente della Regione di promulgare la legge, «e ciò per il semplice motivo che la legge statutaria sottoposta validamente a referendum confermativo, una volta che sia stata dichiarata non valida la deliberazione popolare, non è stata approvata dalla maggioranza dei voti validi». In altri termini, la conseguenza giuridica della invalidità della consultazione popolare, in un referendum confermativo o approvativo, è che la legge statutaria sottoposta a referendum non è stata approvata e, dunque, non poteva essere promulgata ai sensi dell’art. 15, quarto comma, dello statuto sardo.

Nel caso di specie – conclude la difesa erariale – il Presidente della Regione non avrebbe utilizzato le formule tassative di promulgazione previste negli artt. 4 (promulgazione della legge in caso di mancata richiesta di referendum); 8 (promulgazione della legge in caso di dichiarazione di illegittimità della richiesta di referendum); 12 (promulgazione della legge in caso di esito favorevole della legge), della legge regionale n. 21 del 2002, ma ha dato atto della dichiarazione di non validità del referendum, promulgando poi la legge regionale in questione. Egli avrebbe, così, «creato un’altra formula di promulgazione della legge regionale statutaria».

6. – La Regione Sardegna, con atto di costituzione depositato il 15 ottobre 2008, e dunque tardivamente, ha illustrato molteplici profili di inammissibilità e, comunque, di infondatezza del conflitto.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Regione Sardegna, per l’annullamento dell’atto di promulgazione della legge statutaria della Regione Sardegna 10 luglio 2008, n. 1 (Disciplina riguardante la forma di governo e i rapporti fra gli organi, i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della regione, l’esercizio del diritto di iniziativa popolare e i referendum regionali, i casi di ineleggibilità e incompatibilità alla carica di presidente della regione, consigliere regionale e assessore regionale), in riferimento all’art. 15, quarto comma, dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna adottato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (come modificata dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2).

La legge statutaria, approvata dal Consiglio regionale della Sardegna ai sensi dell’art. 15, secondo comma, dello statuto, era stata assoggettata al referendum previsto dal quarto comma, primo periodo, dello stesso art.15, a mente del quale detta legge «è sottoposta a referendum regionale, la cui disciplina è prevista da apposita legge regionale, qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti del Consiglio regionale».

L’art. 15, quarto comma, secondo periodo, dello statuto prevede, altresì, che «la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi».

Alla consultazione referendaria ha partecipato un numero di elettori inferiore al quorum previsto, per effetto del rinvio di cui all’art. 15, comma l, della legge regionale n. 21 del 2002, all’art. 14, secondo comma, della legge regionale n. 20 del 1957, ai sensi del quale il referendum non è dichiarato valido se «non vi ha partecipato almeno un terzo degli elettori». I voti favorevoli all’approvazione sono risultati inferiori rispetto ai voti contrari.

Non essendo stato raggiunto il prescritto quorum, la Corte d’appello di Cagliari, nel corso del procedimento di verifica dei risultati, ha dichiarato non valido il referendum. A seguito di tale dichiarazione, il Presidente della Regione ha proceduto alla promulgazione della suddetta legge statutaria.

L’odierno ricorso prospetta due ordini di censure a carico del medesimo atto.

Il ricorrente sostiene, innanzitutto, che l’impugnato atto di promulgazione sarebbe stato adottato sulla base di una disciplina legislativa illegittima in quanto incompatibile con l’art. 15, quarto comma, dello statuto che non contempla (e, dunque, vieterebbe) il quorum strutturale in ordine al referendum in oggetto.

In secondo luogo, per il ricorrente, il Presidente della Regione non avrebbe potuto adottare l’impugnato atto di promulgazione «per il semplice motivo che la legge statutaria sottoposta validamente a referendum confermativo, una volta che sia stata dichiarata non valida la deliberazione popolare, non è stata approvata dalla maggioranza dei voti validi».

2. – Va dichiarata, in via preliminare, l’inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione Sardegna, dal momento che essa è avvenuta in data 15 ottobre 2008, e cioè dopo la scadenza del termine di venti giorni dalla notificazione del ricorso (secondo quanto prevedeva, nella precedente formulazione, l’art. 27, terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, applicabile ratione temporis al presente giudizio), intervenuta il 16 settembre 2008 (fra le molte, si vedano le sentenze n. 313 del 2006; n. 169 del 1999; n. 331 del 1998 e n. 428 del 1997).

3. – In relazione alla prima delle due doglianze, il ricorso è inammissibile.

Invero, il ricorrente ha inteso dimostrare che l’atto di promulgazione si è basato su una disciplina del referendum (il combinato disposto degli artt. 14, secondo comma, della l.r. Sardegna n. 20 del 1957, e 15, comma 1, della l.r. Sardegna n. 21 del 2002) incompatibile con l’art. 15 dello statuto, che non prevede alcun quorum strutturale.

L’illegittimità costituzionale di tale disciplina si estenderebbe all’atto di promulgazione.

La censura così formulata in realtà si esaurisce nella prospettazione di un dubbio d’incostituzionalità su una legge regionale che, a suo tempo, non fu oggetto di alcuna impugnazione in via principale.

Da ciò la inammissibilità del ricorso in questa parte.

Questa Corte ha in più occasioni statuito che, «altrimenti ritenendo, il ricorso per conflitto di attribuzioni si risolverebbe, da un lato, in strumento attraverso il quale si eluderebbero i termini perentori previsti dall’art. 127 Cost. per promuovere in via principale le questioni di legittimità costituzionale di leggi regionali o statali e, dall’altro lato, in mezzo utilizzabile per sottrarre al giudice a quo il potere-dovere di sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale dell’atto avente forza di legge, sul quale si fonda il provvedimento davanti ad esso giudice impugnato» (sentenza n. 386 del 2005, si vedano anche le sentenze n. 375 del 2008; n. 386 del 2005 e n. 334 del 2000).

4. – Ammissibile è, invece, il ricorso in relazione alla seconda doglianza, là dove il ricorrente ha inteso «censurare il fatto sopravvenuto dell’illegittima, sotto il profilo costituzionale, promulgazione della legge statutaria».

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare nella sentenza n. 469 del 2005 che, dopo la scadenza dei termini per impugnare in via diretta e preventiva uno statuto regionale ordinario, ai sensi dell’art. 123, secondo comma, Cost., il Governo può utilizzare il conflitto di attribuzione per denunciare l’asserita illegittimità dell’atto di promulgazione per vizi precedentemente non rilevabili. Ciò analogamente a quanto, pur in un diverso contesto costituzionale, si era già deciso, affermando che può darsi il caso «in cui proprio dalla intervenuta promulgazione si assuma risulti menomato un potere costituzionalmente spettante al Governo e la proposizione del conflitto sia l’unico mezzo del quale dispone per provocare una decisione di questa Corte che restauri l’ordine delle competenze» (sentenza n. 40 del 1977).

La particolare importanza degli statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria e delle leggi statutarie delle Regioni speciali ha infatti indotto il Parlamento, dapprima in sede di revisione dell’art. 123 Cost. con la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni) e poi con la legge costituzionale n. 2 del 2001, a prevedere un possibile controllo preventivo, su istanza del Governo, sulla costituzionalità di queste fonti, secondo una opzione comune a tutte le Regioni già sottolineata da questa Corte in precedenti pronunce (si vedano le sentenze n. 469 del 2005 e n. 304 del 2002). Al tempo stesso, si prevede anche l’eventuale integrazione del procedimento di formazione della fonte statutaria autonoma tramite il referendum popolare, ove lo richiedano, entro tre mesi, determinati soggetti puntualmente individuati dall’art. 123 Cost. e dalle corrispondenti disposizioni degli statuti speciali (per la Sardegna, si vedano i commi 4 e 5 dell’art. 15 dello statuto regionale).

Lo Stato si pone, pertanto, anche con riguardo al procedimento di approvazione e di modifica degli statuti regionali autonomi, in veste di garante della «istanza unitaria» che, come già sottolineato da questa Corte (sentenza n. 274 del 2003), connota il pluralismo istituzionale della Repubblica, indirizzandolo verso l’osservanza della Costituzione.

Nel caso di specie, la configurazione di un controllo preventivo azionabile dal Governo comprova la sussistenza in capo al medesimo di un interesse a preservare la supremazia delle previsioni contenute nello statuto speciale dalle lesioni che il procedimento regionale di approvazione o di modifica dello statuto autonomo possa infliggere loro.

Tale interesse non si esaurisce con lo spirare dei termini previsti per sollevare questione di legittimità costituzionale sul testo della legge statutaria, quando il vizio d’illegittimità sopraggiunga nella fase ulteriore del procedimento e si consolidi a seguito dell’atto di promulgazione: esso si proietta, viceversa, anche su tale fase, in relazione alla quale è il conflitto di attribuzione tra enti ad offrirsi quale strumento costituzionale per garantirne la tutela, preservando così la competenza dello Stato ad impedire che entrino in vigore norme statutarie costituzionalmente illegittime.

Tale competenza, di regola, si esercita secondo una sequenza procedimentale definita dalle corrispondenti norme dello statuto speciale: il Governo può promuovere la questione di legittimità costituzionale entro trenta giorni dalla pubblicazione notiziale della delibera statutaria. Il controllo così scandito può, però, non consentire al Governo di denunciare l’intero spettro di vizi che possono, in ipotesi, inficiare la legge statutaria, atteso che avverso di essa non è esperibile il controllo successivo previsto per le comuni leggi regionali. È questo il caso in cui la lesione si consumi per effetto dell’adozione dell’atto di promulgazione che determini una autonoma e successiva violazione delle norme ad esso sovraordinate. In relazione a tali vizi è, pertanto, attivabile il conflitto di attribuzione.

5. – Nel merito, il ricorso è fondato.

Il quarto comma dell’art. 15 dello statuto speciale della Regione Sardegna prescrive espressamente che la legge statutaria «sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi».

Questa disposizione esige che si verifichi una condizione, ossia l’approvazione da parte della maggioranza dei voti validi, che, con tutta evidenza, non si è avuta nel caso di cui al presente giudizio.

Avendo il Presidente della Regione proceduto alla promulgazione malgrado il mancato verificarsi della condizione espressamente prescritta, si è data efficacia ad una legge statutaria il cui procedimento di approvazione non era giunto a compimento.

Né la condizione prescritta dall’ultimo periodo del quarto comma dell’art. 15 dello statuto si realizza in ragione della dichiarazione d’invalidità del referendum per il mancato raggiungimento del previsto quorum strutturale, dal momento che la succitata previsione statutaria impone, invece, che, in mancanza di una maggioranza di voti validi, la legge statutaria non sia promulgata.

Non rileva a tal fine che l’invalidità della procedura referendaria sia prevista da una legge regionale (la cui legittimità costituzionale non è necessario in questa sede sindacare), ovvero che essa sia stata successivamente dichiarata dalla Corte di appello di Cagliari, dato che nella disposizione statutaria ci si riferisce solo ad un dato oggettivo, costituito dalla prevalenza, fra i voti validamente espressi nel referendum, di quelli di approvazione, rispetto a quelli contrari: è palese che tale condizione non è stata soddisfatta, né alla luce dell’esito della consultazione, ove i voti contrari hanno prevalso, né, a maggior ragione, se si dovesse considerare invalido il procedimento referendario, e inidoneo come tale ad esprimere una valida maggioranza favorevole.

Pertanto il Presidente della Giunta, promulgando ugualmente la legge statutaria, ha violato l’art. 15, quarto comma, dello statuto.

Per tali motivi va dichiarato che non spettava al Presidente della Regione Sardegna promulgare la legge statutaria regionale n. 1 del 2008 in assenza della sua approvazione da parte della maggioranza dei voti validi di coloro che avevano preso parte all’apposito referendum popolare.

Di conseguenza, va annullato l’atto di promulgazione della legge statutaria 10 luglio 2008 n. 1.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dallo Stato nei confronti della Regione Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe limitatamente alla parte relativa alla denunciata incompatibilità con l’art. 15 dello statuto sardo della normativa regionale in base alla quale è stato emanato l’atto di promulgazione della legge statutaria della Regione Sardegna 10 luglio 2008, n. 1 (Disciplina riguardante la forma di governo e i rapporti fra gli organi, i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della regione, l’esercizio del diritto di iniziativa popolare e i referendum regionali, i casi di ineleggibilità e incompatibilità alla carica di presidente della regione, consigliere regionale e assessore regionale);

dichiara che non spettava al Presidente della Regione Sardegna procedere alla promulgazione della suddetta legge statutaria della Sardegna n. 1 del 2008;

annulla, per l’effetto, la promulgazione medesima.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 2009.

10 commenti

  • 1 Carlo Dore jr.
    8 Maggio 2009 - 21:55

    Faccio una premessa: posto che la sentenza verte su una materia che non rientra nell’ambito delle mie competenze specifiche, le osservazioni che seguono non hanno la pretesa di proporre una valutazione “tecnica” della decisione di cui sopra.
    Il fulcro della questione, mi par di comprendere, può essere così riassunto: l’art. 15 comma 4 dello statuto speciale della Regione Sardegna (fonte di rango costituizionale) prescrive che la legge statutaria «sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi».
    Ora, posto che la legge de qua è stata sottoposta ad un referendum andato deserto per il mancato raggiungimento del quorum costitutivo, il Presidente della Giunta non avrebbe potuto promulgare tale legge, giacchè “non approvata dalla maggioranza dei voti validi”.
    Ma una simile argomentazione presenta, a mio sommesso avviso, almeno un profilo di criticità: se il mancato raggiungimento del quorum costitivo previsto per il referendum impedisce al Presidente della Giunta di promulgare la legge, questo significa che l’astensione del corpo elettorale può di fatto paralizzare una legge approvata a maggioranza assoluta dal Consiglio Regionale.
    Di più: un simile ragionamento implica che la scelta di quei cittadini che liberamente decidono di non partecipare al voto viene automaticamente convertita in un voto negativo in ordine a quegli stessi quesiti sui quali si è formata la scelta dell’astensione. In altre parole, la posizione degli astenuti viene considerata come indicativa di una contarietà - di fatto, mai espressa - del corpo elettorale al testo di legge.
    Insomma, gli elementi di perplessità non mancano. Ribadisco: queste valutazioni (basate unicamente sulla “prima lettura” della motivazione) non hanno alcuna ambizione di tecnicità e prescindono totalmente dal merito della legge, sul contenuto della quale ho in passato espresso alcune ragioni di dissenso.
    Spero che i successivi interventi saranno in grado di fugare i dubbi che al momento mantengo sulla sentenza sopra riportata, anche rilevando eventuali lacune presenti nel mio ragionamento. Allo stato, la sensazione è che la Consulta abbia proposto un’interpretazione sicuramente ispirata alla rigorosa applicazione della lettera della norma, ma forse poco sensibile al quadro complessivo in cui si pone l’atto di cui viene dichiarata l’illegittimità.

  • 2 Meloni Giacomo /CSS
    9 Maggio 2009 - 00:53

    Caro Avvocato Pubusa, Caro Andrea,
    Noi del Comitato ” Statutaria? No Grazie ” di cui la CSS è stata elemento essenziale esigiamo, invece,
    scuse formali da chi ci ha insultato in tutta la Campagna Referendaria.
    Ma oggi è il momento della festa ed è una festa di libertà e democrazia. Condivido.
    Giacomo Meloni Segretario Generale della Confederazione Sindacale Sarda.

  • 3 Andrea Sulis
    9 Maggio 2009 - 11:23

    Mi chiedo, ma veramente qualcuno che sembrava capire tutto ancora non capisce il senso del referendum confermativo?
    Lo dico da inesperto, ma mi pare che in soldoni il concetto sia questo: quando si vuole modificare in maniera sostanziale il diritto occorre verificare se il popolo VUOLE effettivamente la modifica. Ergo: se la vuole veramente va a votare… Ma veramente il signor Dore vuole continuare su questa strada? Non ho parole per esprimere il mio sdegno rispetto a queste prese di posizione. Se non basta nemmeno una sentenza della Corte Costituzionale in chi dobbiamo sperare?

  • 4 Meloni Giacomo /CSS
    9 Maggio 2009 - 13:02

    Oggi è un giorno di festa. Festa di libertà e democrazia. Finalmente la sentenza della Corte Costituzionale fa giustizia e ripristina l’ordine democratico. Ora è necessaria un’altra Statutaria che dovrà essere costruita con la discussione ed il consenso sia dentro il Consiglio Regionale sia con dibattiti pubblici e la consultazione più ampia. Ci sono tutte le premesse e le opportunità ora che sono stati sconfitti coloro che hanno guardato ai loro interessi immediati più che all’interesse generale. Noi della CSS che all’interno del Comitato “Statutaria NO Grazie” e che, senza mezzi finanziari, assieme al Comitato per il Referendum contro la Stautaria abbiamo condotto la battaglia per dare alla Sardegna una Legge di rilevanza costituzionale degna del popolo sardo, riprendiamo la strada maestra del confronto per costruire il nostro Statuto da cui far discendere una Nuova Legge Statutaria che ricalchi i valori fondanti della nostra società sarda.
    Giacomo Meloni
    Segretario Generale della Confederazione Sindacale Sarda

  • 5 Carlo Dore jr.
    9 Maggio 2009 - 14:03

    Benissimo.

    Da avvocato e da persona che per mestiere è chiamata a LEGGERE (e leggere vuol dire studiare, capire e, quando occorre, sollevare dubbi e quesiti) le sentenze, ho manifestato un dubbio e posto una semplice domanda, ribadendo che avrei accettato ogni spiegazione utile a risolvere le perplessità che aveva suscitato in me la lettura della motivazione.

    Mi risponde il sig. Sulis (a proposito, chi è?), affermando: “Ma veramente il signor Dore vuole continuare su questa strada? Non ho parole per esprimere il mio sdegno rispetto a queste prese di posizione. Se non basta nemmeno una sentenza della Corte Costituzionale in chi dobbiamo sperare?”.

    Per intelligenza, educazione, senso democratico e soprattuto per rispetto verso chi gestisce questo spazio, mi esimo dal replicare, lasciando con delusione e trsitezza ai lettori il compito di giudicare il livello di certi interventi.

    Prego il direttore del sito di non censurare questo mio intervento e, se lo ritiene, di voler accettare le mie dimissioni dal comitato di redazione.
    Cordialmente,
    C. Dore jr..

  • 6 Gianrico Cossu
    9 Maggio 2009 - 14:29

    L’intervento di Dore poneva, con semplicità ed educazione, alcuni quesiti ai quali la Corte costituzionale non è stata in grado di rispondere.
    Mio caro Sulis, il dubbio, soprattutto nel diritto, è sempre virtù. Perchè nessun giudice, nemmeno la Corte costituzionale, è bouche de loi: perciò le sentenze si possono criticare o condividere, cercando - tuttavia - di fornire una spiegazione razionale a quanto si afferma. Cosa che Dore ha fatto, e che non mi sembra lei abbia fatto.

  • 7 Maurizio Meloni
    9 Maggio 2009 - 14:32

    Perfettamente d’accordo con Carlo Dore.
    E’ stata fatta una domanda in modo pacato e civile, e invece di una risposta sulla questione è arrivata l’ennesima aggressione. Se volete che la gente smetta di scrivere e di leggere il blog, bravi ci state riuscendo: voglio leggere un sito di approfondimento politico, dove si esaminano problemi e si propongono soluzioni. Che me ne frega di un sito ridotto a valvola di sfogo per squadristi telematici in libera uscita?
    Spero che il sig. Sulis vorrà chiedere scusa a Carlo per il tono aggressivo del suo intervento, e che chi dirige il blog vorrà essere più attento a stigmatizzare certi atteggiamenti antidemocratici.

  • 8 M.P.
    9 Maggio 2009 - 17:58

    Gli strilli dei Suoi sostenitori e degli ultras (vedi G. Melis e accoliti) e le critiche qualunquistiche sono stati meglio serviti dai risultati elettorali, ben più chiari e significativi. Ma sono stati serviti ancor più dalla rivoluzione politica in atto: uno sbandamento della sinistra (dei partiti, beninteso, non delle idee) che immagino avrà come conseguenza un travaso sempre più consistente verso il SARDISMO (specie Psdaz, ma non solo), unica ancora di salvezza per chi spera di conoscere, prima di lasciare questa valle, quantomeno l’inizio di quel vero cambiamento che auspichiamo per tutti i sardi.
    No, non devono chiedere scusa, ma semplicemente rendersi conto che, contrariamente a quel che credono, ci sono tantissimi sardi che hanno osteggiato un falso modello democratico votando contro, senza alcun interesse personale.
    Prima o poi queste forze dovranno UNIRSI, libere da condizionamenti ed avendo come unico obiettivo il futuro, e un pochino anche il presente, di TUTTI I SARDI.
    Se non abbiamo ancora capito, altri lo faranno prima di noi in altre parti d’Italia, mentre noi, pur avendo ragioni da vendere, scopriremo solo per ultimi l’uovo di Colombo.

    Per C. Dore vorrei osservare:
    - Posso rivolgermi a te (un “tu” rispettoso) senza esibire i miei documenti? Perché quella domanda? Io qui conosco “indirettamente” Pubusa e Meloni; te, per niente. E allora? Potresti persino essere un’ottima persona! Come anche A. Sulis, che non conosco.
    - Io vorrei leggere invece la tua replica, rispettosa e circostanziata come deve esser quella di un avvocato. Con rispetto affermo che “esimendoti” non dimostri certo quelle qualità che TU ti attribuisci.
    - Come lettore assiduo di questo sito giudico negativamente il tuo intervento delle 14.03.
    - Credo che Pubusa non censurerà il tuo intervento e non accetterà le tue dimissioni. CORAGGIO.

  • 9 Carlo Dore jr.
    9 Maggio 2009 - 18:51

    Caro M.P.,
    certo che puoi darmi del tu, senza bisogno di esibire documenti.
    La mia domanda in ordine all’identità del sig. Sulis si riferiva infatti al tenore (almeno dal mio punto di vista) poco rispettoso del suo post: oltre allo “sdegno” manifestato verso il mio intervento (sdegno immotivato, giacchè mi sono limitato a manifestare un dubbio in ordine ad una questione che lo stesso Prof. Pubusa ha più volte descritto come densa di problemi giuridici), il mio interlocutore si domandava “ma veramente qualcuno che sembrava capire tutto ancora non capisce il senso del referendum confermativo?”. Donde la mia replica: chi è questo signore per esprimersi in questi termini? Come può affrontare in modo così sbrigativo una materia che ha diviso i più eminenti costituzionalisti italiani (ricordo che perfino Valerio Onida manifestò sul punto un orienatmento diverso da quello accolto dalla Corte nella sentenza di cui ora discutiamo)?
    La mia posizione sul punto ho avuto modo di esprimerla, con pacatezza ed educazione, nel post di ieri: mi sembra quindi superfluo riproporre argomenti già sviluppati. E’ possibile che i dubbi che ho manifestato in ordine alla questione oggetto di questo dibattito siano in realtà privi di fondamento: nel qual caso, se e quando questi dubbi verranno chiariti, ne prenderò atto con la stessa serenità con cui ho impostato questa discussione.
    Nell’attesa, ti saluto con stima.

  • 10 admin
    10 Maggio 2009 - 04:57

    (a.p.) Viene spesso chiamato in causa il moderatore del blog ad eliminare interventi inutili e spesso poco garbati. Questo blog ha la caratteristica di non filtrare i commenti, confidando nell’intelligenza degli interventori. Talora è una fiducia mal riposta, perché effettivamente taluni non entrano nel merito del tema, ma si limitano a punzecchiare l’interlocutore. E’ un segno d’immaturità, che banalizza e affoga il dibattito. E forse anche questo, entro certi limiti, và accertato, perché mostra a quale deriva condice una disabitudine al confronto e all’esercizio della discussione.
    Quanto al quesito di Carlo Dore, occorre anzitutto ripetere che le sentenze sono soggette al vaglio critico dei cittadini e dei giuristi e che questa facoltà è espressione del carattere democratico dell’ordinamento, dove l’esercizio delle pubbliche funzioni deve essere sempre sindacabile e sindacato non solo nelle sedi istituzionali, ma nel dibattito pubblico, non solo specialistico.
    Riguardo a questa decisione, c’è da considerare che presenta una grande novità. La Corte non dichiara illegittima la Statutaria. Dice che non è mai esistita come legge. Si è trattato di un articolato che non si è mai trasformato in legge. Quasi un caso di scuola, a riprova dell’abnormità della decisione di Soru. E’ - per capirci - come se il Presidente della Repubblica promulgasse un testo approvato da una sola Camera. Una enormità!
    La disciplina del referendum in questo caso è quella di cui all’art. 138 Cost., la cui formulazione è letteralmente riprodotta nell’art. 15. Il procedimento legislativo - una volta richiesto il referendum - si conclude positiivamente solo con l’approvazione della legge da parte del corpo elettorale. La stoltezza di Soru e dei suoi consiglieri a convenzione è stata quella di sostenere che ci vuole il quorum (l’interpretazione non portava inevitabilmente a questa conclusione). Il che vuol dire che il testo approvato dal Consiglio non diventa mai legge in mancanza di quorum, perché - nonostante i contorsionismi dei consilieri del Principe (ora ex) - un referendum invalido non approva alcunché. Accertata dalla Corte d’appello l’invalidità è improduttivo di effetti. Come è accaduto nel caso nostro. Dunque la legge non è stata approvata, ergo non poteva essere promulgata. Lo abbiamo ripetuto fino alla noia prima della promulgazione. Nel caso nostro, le cose sono più semplici, in quanto la legge è stata battuta anche dagli elettori.
    In realtà il sistema dell’art. 138 Cost. per le leggi costituzionali è più elementare: se, in ipotesi, votasse un solo elettore, costui sarebbe arbitro della legge, che diverrebbe tale col sì e rimarrebbe un articolato deliberato dalle camere col no.
    A me è sempre sembrato chiarissimo e anche logico. Mi è parsa invece illogica e masochista la tesi di Soru, perché avrebbe reso impossibile la promulgazione anche in caso di prevalenza dei sì. Ma su questo vedi l’intervento di oggi.

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