Il discorso del vicerè

4 Novembre 2020
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Carlo Dore jr.

La scena si ripete identica a sé stessa ogni sabato pomeriggio, in questa straziante stagione sospesa tra la paura dei contagi, l’ansia di conservare gli ultimi brandelli di libertà rimasti inviolati e l’incubo di un nuovo lockdown incombente: quella di Vincenzo De Luca che affida i suoi pensieri in libertà al superdiffusore di Facebook, mattatore autentico di una diretta attesa dai followers come un momento cult capace ormai di doppiare i likes ottenuti dalla pure mirabili performance offerte da alcuni eccellenti imitatori. Ne ha per tutti, il Governatore campano: per gli studenti universitari che vogliono festeggiare la laurea (“Vi mandiamo i carabinieri col lanciafiamme”), per gli appassionati di sport all’aperto (“Vecchi cinghialoni da arrestare a vista”), per i cultori di Halloween (“Idiozia importata dall’America”), financo per i bambini che vorrebbero andare a scuola (“Allevati con il latte al plutonio”).
Il popolo della rete dimostra di gradire, manifestando un’innata, istintiva simpatia per l’icona anticonformista del viceré affrancatosi dagli schemi del politically correct che impone, con parole tagliate con l’accetta, la linea del rigore ai malandrini della movida. Il popolo dimostra di gradire discorsi tuttavia destinati ad assumere, una volta esauritasi la verve associata a pose gladiatorie e frasi ad effetto, il sapore amarissimo della sconfitta: della sconfitta della politica di fronte alla crisi sanitaria, della sconfitta collegata al sacrificio delle libertà sull’altare dell’emergenza.
Le incertezze della scienza di fronte ad un virus sconosciuto, l’incapacità dei vari livelli di governo (a cominciare dal livello territoriale) di adottare le misure strutturali necessarie non tanto per evitare, ma quantomeno per contenere l’impatto della seconda ondata dei contagi (sul piano del potenziamento dei trasporti, del rafforzamento delle strutture sanitarie, della predisposizione di una efficace rete internet in grado di rendere la didattica a distanza fruibile anche nei piccoli centri urbani) lasciano alla politica una sola strada per salvare gli ospedali dal collasso: tutelare il diritto alla salute sacrificando altri diritti tutelati a livello costituzionale, imporre ai cittadini di combattere il virus alienando sempre più ampie quote di libertà.
Una strada necessaria, dinanzi all’incedere della malattia; una strada che, ciò malgrado, incrocia la compressione di quei diritti dei cittadini consacrati nella prima parte della Carta, e che implica, sotto questo aspetto, la sconfitta della politica intesa nella sua più alta accezione di primo garante di quegli stessi diritti.
La percorreremo, quella strada, nella speranza che curve di contagio, indici RT ed altri parametri tristemente penetrati nel nostro armamentario cognitivo ci restituiscano quanto prima gli spazi di libertà sacrificati in nome del diritto alla salute; la percorreremo, ma senza che parole tagliate con l’accetta a beneficio del popolo della rete debbano rendere più dolorosa la privazione dei diritti costituzionalmente garantiti. La percorreremo, ma, tra lanciafiamme, cinghialoni e bambini allevati col latte al plutonio, ci risparmieremmo volentieri il triste spettacolo della sconfitta della politica evidenziata settimanalmente dal momento cult del discorso del viceré.

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