Obama, non impantanarti in Afghanistan. Ci hanno lasciato le penne tutti, anche gli inglesi

11 Maggio 2009
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Red

Alcuni funzionari del Pentagono Usa hanno ammesso le responsabilità statunitensi nei bombardamenti a Farah, in Afghanistan, che lunedì e martedì hanno causato decine di vittime civili. Lo scrive oggi l’edizione online del New York Times, citando due funzionari che hanno scelto di rimanere anonimi. “Sembra che almeno una parte delle vittime sia stata causata dai bombardamenti” Usa, ha detto uno dei funzionari, mentre per un altro “anche i talebani hanno avuto un ruolo”. Oggi sono attesi i risultati dell’inchiesta aperta dagli Stati Uniti per fare luce sulla vicenda: secondo alcune fonti, le indagini avrebbero dimostrato le responsabilità Usa nella morte dei civili. Ieri, il ministro della Difesa americana Robert Gates, in visita in Afghanistan, ha sostenuto che “i talebani lanciavano granate nelle case”, e che gli scudi umani fanno parte della strategia dei ribelli. “Credo però che noi tutti dovremmo attendere i risultati dell’inchiesta”, ha aggiunto il capo del Pentagono.

Noi tifiamo Obama e, proprio per questo, non vorremmo che - come sembra dalle prime mosse - voglia impantanarsi in un nuovo Vietnam. I presupposti ci sono tutti. Le stragi dei giorni scorsi sono fatti terribili, del tutto i controtendenza con la linea del neopresidente sul rispetto dei diritti umani e delle convezioni internazionali. E’ un fatto che deve rendere avvertito Obama sui rischi del’invio di altre truppe. O si trova una via d’uscita politica che dia un equilibrio accettabile all’area (interessanti in questa direzione le aperture all’Iran e le iniziative suk Pakistan) oppure la tentazione di far valere a forza avrà conseguenze tragiche. Basta ricordare l’impantanamento e la ritirata dei sovietici. Ma ci sono precedenti più risalenti e un’analista d’eccezione Friedrich Engels. Lo scritto sulla disfatta degli inglesi, la supepotenza dell’epoca, è del mese di luglio e della prima decade di agosto del 1857,  e fu pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. I, 1858; è stato ripubblicato qualche anno fà da Il Manifesto. Eccone uno stralcio.

La posizione geografica dell’Afghanistan e la particolare natura del suo popolo conferiscono al paese una rilevanza politica che, nell’ambito degli affari dell’Asia centrale, non sarà mai troppo sottolineata. …Gli afghani sono coraggiosi, intrepidi e indipendenti; si occupano esclusivamente di pastorizia e agricoltura, rifuggendo il commercio e gli scambi che sdegnosamente lasciano agli indù e ad altri abitanti delle città. Per loro la guerra è un’impresa eccitante e una distrazione dalla monotonia delle abituali attività. Gli afghani sono divisi in clan, sui quali i vari capi esercitano una sorta di supremazia feudale. Soltanto un odio irriducibile per l’autorità e l’amore per l’indipendenza individuale impediscono loro di diventare una nazione potente; ma questa stessa irregolarità e incertezza nell’azione li rende dei pericolosi vicini, capaci di essere sballottati dai venti più mutevoli o istigati da politici intriganti che eccitano astutamente le loro passioni.
L’Afghanistan è stato soggetto alternativamente al dominio dei moghul  e dei persiani. Prima che gli inglesi si insediassero sulle coste indiane …
Il 20 febbraio 1839, l’esercito britannico passò l’Indo. Era composto di circa 12.000 soldati, con un seguito di oltre 40.000 persone, oltre alle nuove truppe dello scià… Il 6 agosto si aprirono anche le porte di Kabul. Sujah Shah fu insediato nella sua carica, ma la vera direzione del governo rimase nelle mani di Macnaghten, il quale pagava anche tutte le spese di Sujah Shah attingendo alle casse indiane.
La conquista dell’Afghanistan sembrava compiuta, e così gran parte delle truppe fu rispedita indietro. Ma gli afghani non erano affatto contenti di essere governati dai Ferìnghee Kaffirs (infedeli europei) e nel corso di tutto il 1840 edel 1841 le insurrezioni si susseguirono in ogni parte del paese. Le truppe anglo-indiane erano sempre all’erta. Tuttavia, Macnaghten dichiarò che per la società afghana si trattava di una situazione normale e inviò dispacci affermando che tutto procedeva bene e che il potere di Sujah Shah si stava consolidando. Fu vano ogni ammonimento dei militari e dei rappresentanti politici. Dost Muhammad, che si era arreso ai britannici nell’ottobre del 1840, fu tradotto in India; tutte le insurrezione dell’estate del 1841 furono represse con successo e verso il mese di ottobre Macnaghten, nominato governatore di Bombay, si preparò a partire per l’India con un altro contingente militare. Fu allora che scoppiò la tempesta. L’occupazione dell’Afghanistan costava alle casse indiane 1.250.000 sterline all’anno: si dovevano pagare 16.000 soldati, tra anglo-indiani e truppe di Sujah Shah, di stanza nel paese; poi c’erano altri 3.000 uomini nel Sind e al passo di Bolan; gli sfarzi regali di Sujah Shah, i salari dei suoi funzionari e tutte le spese della corte e del governo, erano coperti dal denaro indiano e, inoltre, da questa stessa fonte si sovvenzionavano, o meglio si corrompevano i capi afghani affinché si tenessero fuori dalla mischia. Essendo stato informato dell’impossibilità di proseguire su questi livelli di spesa, Macnaghten tentò di arginare le uscite, ma l’unico modo praticabile sarebbe stato quello di tagliare gli appannaggi dei capi locali. Il giorno stesso in cui il tentativo fu messo in atto i capi ordirono una congiura diretta allo sterminio dei britannici e, di conseguenza, fu proprio Macnaghten a causare la concentrazione delle forze insurrezionali che fino ad allora avevano lottato isolatamente, senza unità né accordo, contro gli invasori; tuttavia, è anche certo che, a quel punto, tra gli afghani l’odio per la dominazione britannica aveva raggiunto il suo apice.
A Kabul gli inglesi erano comandati da Elphinstone, un anziano generale gottoso, irresoluto e molto confuso, i cui ordini erano perennemente in contraddizione l’uno con l’altro. Le sue truppe occupavano una sorta di accampamento fortificato, talmente esteso che i soldati della guarnigione riuscivano a malapena a coprirne il perimetro, e men che meno avrebbero potuto distaccare qualche unità per il combattimento sul campo. Le opere difensive erano così scadenti che il fossato e il parapetto si saltavano anche a cavallo. Come se non bastasse, l’accampamento si trovava praticamente a tiro di schioppo dalle alture circostanti e, per coronare l’assurdità di una simile disposizione, tutto il materiale di approvvigionamento e quello sanitario era depositato in due forti distaccati, a una certa distanza dall’accampamento, al di là di giardini cinti di mura e di un altro fortino non occupato dagli inglesi. Baia Hissar, la cittadella di Kabul, avrebbe potuto offrire all’intero esercito un acquartieramento invernale splendido e sicuro, ma per compiacere Sujah Shah, gli inglesi non ne presero possesso. Il 2 novembre 1841 ebbe inizio l’insurrezione. L’abitazione di Alexander Burnes, nel centro della città, fu assaltata e lui stesso assassinato. Il generale britannico non si mosse e la rivolta crebbe vigorosa grazie all’impunità. Elphinstone, assolutamente incapace di reagire, e in balia dei consigli più contrastanti, fece ben presto precipitare la situazione in quello stato confusionale che Napoleone descriveva con tre parole: ordre, contreordre, désordre. Si continuò a non occupare Baia Hissar. Contro le migliaia di insorti furono mandate alcune compagnie che, naturalmente, furono battute; ciò rese gli afghani ancora più intraprendenti. Il 3 novembre essi occuparono i fortini nei pressi dell’accampamento. Il giorno 9 conquistarono il forte del commissariato (difeso soltanto da 80 uomini), riducendo gli inglesi alla fame. Il 5 Elphinstone aveva già parlato di negoziare un pagamento per lasciare il paese. Verso la metà di novembre la sua indecisione e la sua incapacità avevano talmente demoralizzato le truppe che né i soldati europei né i sepoy [8] erano ormai in grado di affrontare gli afghani in campo aperto. Quindi iniziarono le trattative, durante le quali, nel corso di una riunione con i capi afghani, Macnaghten fu assassinato. La neve cominciò a cadere, le provviste scarseggiavano. Infine, il 1° gennaio si giunse alla capitolazione. Tutto il denaro, 190.000 sterline, doveva essere consegnato agli afghani, oltre a 140.000 sterline in promesse sottoscritte di pagamento. L’artiglieria e le munizioni, a parte 6 pezzi da sei libbre e 3 cannoni da montagna, dovevano essere lasciate in loco. Tutto l’Afghanistan doveva essere evacuato. I capitribù, da parte loro, promisero un salvacondotto, rifornimenti e bestiame per il trasporto.
Il 5 gennaio gli inglesi si misero in marcia con 4.500 soldati e un seguito di 12.000 persone; una marcia durante la quale sparirono anche gli ultimi residui di ordine, con militari e civili che si confondevano in maniera irreparabile rendendo impossibile qualsiasi tipo di resistenza. Il freddo e la neve, e la mancanza di cibo, agirono come durante la ritirata di Napoleone da Mosca. Ma invece che dai cosacchi che si mantenevano a debita distanza, gli inglesi furono incalzati dai furibondi tiratori scelti afghani piazzati su ogni altura e armati con fucili a miccia a lunga gittata. I capi che avevano firmato la capitolazione non potevano né volevano tenere sotto controllo le tribù montane. Il passo di Kurd-Kabul divenne così la tomba di quasi tutto l’esercito, e i pochi superstiti (tra cui meno di 200 europei) caddero all’ingresso del passo di Jugduluk. Un solo uomo, il dottor Brydon, riuscì a raggiungere Jalalabad e a raccontare ciò che era accaduto…
Così si concluse il tentativo dei britannici di creare con le loro mani un sovrano per l’Afghanistan.

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