Carbonia. Le agitazioni per il salario e per il riconoscimento della rappresentanza operaia

30 Agosto 2020
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Gianna Lai

Col post di oggi festeggiamo un anno di pubblicazioni domenicali sulla storia di Carbonia, iniziate il 1° settembre dello scorso anno. Un lavoro prezioso e costante in vista della raccolta in un volume. 

‘Una spinta forte a sostegno dell’attività sindacale della CGIL, in tutta la provincia, viene dagli operai del Sulcis che, in tutto il bacino carbonifero innestano un  processo di politicizzazione del movimento di lotta, che inizia coniugando la battaglia antifascista  (per la persistenza nella politica locale di esponenti notoriamente fascisti), con le rivendicazioni   di natura alimentare ed  in un clima di crescente scontro con la Carbosarda’. Così la storica Giannarita Mele al capitolo ‘Scioperi e lotte sociali negli anni dell’Unità nazionale’, del citato volume sulla Storia della Camera del lavoro di Cagliari 1). E si riferisce la studiosa  alla ripresa in città delle agitazioni e degli scioperi nei primi  mesi del 1945, volte ad ottenere aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro e rispetto dei diritti sindacali. Il momento è particolarmente delicato in quanto, volendo dare una prospettiva più ampia al movimento e alle lotte stesse del nuovo anno, si trattava di saldare le rivendicazioni sulla garanzia degli  approvvigionamenti e sui servizi sociali a quella sui salari, contro lo sfruttamento in miniera  e per il riconoscimento delle Commissioni interne. Dopo che i licenziamenti di quei mesi, di natura squisitamente politica, data l’urgenza di nuova manodopera che l’azienda  sempre andava sostenendo, rischiavano di mettere seriamente a repentaglio l’intero  gruppo dirigente del sindacato, appena composto.
Dall’11 al 17 gennaio del 1945 gli operai si astengono dal lavoro per ottenere il miglioramento delle razioni alimentari, la diminuzione dei fitti delle case e degli alloggi destinati agli operai senza famiglia e, in miniera, l’adeguamento salariale di alcune categorie e il pagamento delle provvidenze rispetto alle ferie maturate nel corso del 1944. E poi per  protestare contro ‘il sistema autoritario e provocatorio’ della direzione Sanna nei confronti del sindacato, tutti gli iscritti esposti a continue pressioni, secondo  Il lavoratore del 20 febbraio 1945.
Ben presto le agitazioni si allargarono, con le stesse motivazioni, all’intero bacino,  più di 6 mila astensioni quotidiane dal lavoro, organizzate per cantieri e per singoli settori, compresi i dipendenti delle Ferrovie Meridionali Sarde, ancora inquadrate nell’ ACaI. I quali avevano da poco esautorato le loro Commissioni Interne, per la palese corruzione dei rappresentanti, attuata dall’Azienda in quegli stessi giorni. Nonostante la massiccia adesione allo sciopero, la Carbosarda continuava a rifiutare ogni trattative con le rappresentanze operaie,  accusate anzi  di voler sabotare la produzione, nel momento più  delicato per l’economia della Sardegna e dell’Italia. E promettendo, il Commissario Sanna, in un modo che i sindacati definivano ricattatorio, l’apertura del dialogo solo quando in miniera si fossero raggiunte le 75 mila tonnellate di produzione di combustibile mensile, così come richiedevano gli alleati, contro le 55mila di quei mesi. Mentre al momento, continuava a dire, niente poteva essere concesso dall’azienda, fortemente impegnata a  risollevarsi dalla crisi. E poiché dopo 7 giorni di sciopero nessuna delle richieste contenute nella piattaforma operaia era stata minimamente presa in considerazione dalla SMCS, il sindacato decise ancora di mantenere lo stato di agitazione, suscitando questa volta  forti polemiche tra i partiti cittadini, pur inizialmente tutti favorevoli ad un intervento sui salari. Così come lo stesso Comitato di Concentrazione, anch’esso d’accordo sulla censura nei confronti del Commissario Sanna, responsabile dei licenziamenti contro gli operai più politicizzati. Ma avrebbero poi dato, i partiti, ciascuno interpretazioni diverse della vicenda. Il PCI e il PSI, dopo aver dichiarato sacrosante le richieste  operaie, con l’allontanamento del Commissario Sanna, sostenendo che la protesta aveva avuto carattere economico e non politico: ’si è voluto far ricadere la responsabilità dello sciopero sui comunisti…., ma i partiti sono intervenuti quando lo sciopero era già iniziato, allo scopo di comporlo nel più breve tempo possibile, ed è stata totale la ‘astensione dal lavoro, accolte le eque richieste’, come si legge sull’Unione Sarda del 24 gennaio 1945. Su una linea opposta la DC e il Psd’Az, convinti che i responsabili del movimento, Commissioni interne e leghe, si comportassero alla stregua di ‘pericolosi sobillatori da smascherare al più presto,… che hanno solo interesse personale a mettere le maestranze in contrasto coi dirigenti’. In realtà si legge su ‘Democristiani, sardisti e Società Carbonifera sarda’, L’Unione Sarda 14 gennaio 1945, che i rappresentanti della Democrazia cristiana nel Comitato di Liberazione  non votarono l’ordine del giorno, presentato dal PCI per chiedeva l’allontanamento di Sanna, pur riconoscendo come, ‘nel presente vi sia nei suoi riguardi qualche non grave accusa rispondente a verità’. Così interveniva  Guido Pelessoni,  segretario del Comitato di Concentrazione, in ‘I comunisti e la Carbosarda’, L’Unione Sarda 27 gennaio 1945, ‘L’ordine del giorno che incriminava  l’operato del Commissario della Carbosarda è stato compilato invece in cooperazione dai rappresentanti dei quattro partiti locali. Nelle riunioni successive i rappresenatnti DC cambiarono idea  e solo tempo dopo la cambiarono anche i sardisti’. Ed era infine  il Commissario Sanna a sostenere come fossero estranei alla miniera gli organizzatori della protesta e gravi i danni causati all’Azienda e ‘allo sforzo bellico’, se gli stessi alleati, ‘indignati  per lo sciopero’, rifiutavano di ‘assicurare miglioramemti  delle forniture alimentari, pur avendo  già pronto un piano di intervento in città’.  E in ‘Dopo lo sciopero di Carbonia’, L’Unione  Sarda del 28 gennaio 1945, ancora a sua firma, ‘L’inizio dello sciopero risale all’11 gennaio, imposto da elementi non ancora individuati. Ho ricevuto le Commissioni interne, queste le loro richieste: pagamento delle provvidenze pubblicate dalla stampa in data 24 dicembre 1944, riduzione dei fitti delle case e degli alberghi, situazione alimentare, adeguamento salariale di alcune categorie. Il 13 ho partecipato alla riunione indetta dai partiti, prospettai i danni  di quello sciopero per l’azienda e per l’economia, uno sciopero provocato da persone estranee all’azienda. Poi mi incontrai col prefetto e con il Comitato di Liberazione, esprimendo contrarietà rispetto ad alcune richieste, incompatibili con le esigenze dell’azienda’. E ancora a sua firma, su L’Unione Sarda del 30 gennaio 1945, ‘Inqualificabile quello sciopero, un danno grave allo sforzo bellico. Gli alleati il giorno 12 a Carbonia per esaminare e concretare miglioramenti all’alimentazione degli operai, se ne andarono indignati per lo sciopero, senza assicurare miglioramenti’. Ed a conclusione, spostando sempre più in alto l’asticella dei ritmi produttivi, ‘non appena avremo raggiunto le 75mila tonnellate di produzione mensile di carbone, primo traguardo produttivo  richiesto dagli alleati, e fermi restando i prezzi del nostro carbone, si potranno accordare miglioramenti delle mercedi .
Nelle settimane successive le Commissioni Interne e il sindacato delle leghe proclamarono ancora lo stato di agitazione, non avendo la Carbosarda mantenuto neppure l’impegno, preso a conclusione dello sciopero, sul pagamento delle sei giornate di ferie che i minatori avevano lavorato nell’anno precedente. Nè avendo assicurato aumenti agli operai dell’interno, nonostante l’innalzamento dei livelli produttivi, proprio in seguito all’introduzione del cottimo, appunto  il 1 febbraio di quell’anno, se  la produzione potè allora toccare le 55mila tonnellate mensili di carbone estratto.
Dalla sua sede di Cortoghiana, ‘il feudo di Sanna’, come lo chiamava Il Lavoratore del 20 marzo 1945,  la direzione dell’azienda, rifiutando alcun  contatto con le Commissioni interne e con le leghe, annunciava subito dopo di essere intenzionata a togliere i supplementi di pane e pasta agli operai che non avessero consecutivamente lavorato per l’intera settimana. Mentre, ad acuire i contrasti, ’strane manovre’ sembravano annunciarsi sulle trattenute di parte dell’ammontare delle tessere annonarie e della quota del dopolavoro, che ormai da tempo l’azienda non versava alla Cooperativa, insieme alle quote di sua competenza, risultanti ugualmente non versate. Così ancora Il Lavoratore del 27 febbraio 1945.
Grande la diffidenza, insanabile il disaccordo tra direzione e minatori, secondo i quali ormai il gruppo dirigente ACaI avrebbe dovuto essere completamente sostituito. E mentre si susseguono le riunioni quotidiane indette dalla lega dei minatori e, all’inizio di ogni turno, dalla Commissione interna nei piazzali della miniera, i delegati e i rappresentanti che si presentano in direzione per chiedere la riapertura delle trattative sul grave problema delle razioni alimentari e per  chiedere con urgenza un supplemento viveri,  si vedono invece ’scherniti dall’ingegner Busonera portavoce del Sanna’, come denuncia Il Lavoratore del 6 marzo 1945: ‘Busonera dichiarava con tono di scherno che se gli operai avessero scioperato egli ne avrebbe tratto profitto, compiendo delle lunghe passeggiate’.
Ma non c’era proprio niente da ridere. Al 2 marzo 1945, queste le razioni degli operai  di Carbonia, secondo L’Unione Sarda, in quella stessa data: 200 grammi di pane al giorno, 550 grammi di pasta alla settimana; razioni speciali giornaliere, 40 grammi di minestra, 50 grammi di verdura essicata, 60 di carne e di verdura in scatola, 200 grammi di granoturco, 250 grammi di formaggio. E una stanza in appartamento costava  lire 12, da lire 10 a lire 30 in albergo, compreso il vitto, mentre un pasto in mensa costava 12 lire.  1000 lire costavano un paio di scarpe italiane, 150 quelle americane. Di qui il clima di particolare tensione  nei cantieri e anche in città,  dove le divisioni tra le forze politiche si mantenevano ancora più nette sulla richiesta di allontanamento  del Commissario governativo Sanna che, espressa inizialmente all’unanimità in un documento  del Comitato comunale di liberazione, fu poi revocata, come abbiamo visto da DC e Psd’az ‘per non aver voluto dare  il voto di sfiducia all’ingegner Sanna,  a seguito della campagna denigratoria promossa dalle sinistre contro la direzione SMCS’. Questa la  dichiarazione finale del responsabile cittadino della Democrazia Cristiana.
Era ormai tempo  che del problema si facessero carico il Comando alleato e le autorità regionali. In quei giorni  il maggiore Elley W. Stone, nella già citata Lettera al capo del governo Ivanoe Bonomi, riferiva come ‘il malcontento serpeggiante  tra i lavoratori’, mettesse a rischio il raggiungimento degli obiettivi di crescita della produzione,  già definiti dalla Commissione alleata nel corso di quegli ultimi mesi. E, subito dopo, l’Alto Commissario generale Pinna in persona, sollecitava l’intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri  per la risoluzione del grave  contrasto fra direzione e maestranze. Nella sua  Nota, delle agitazioni operaie egli dava il seguente giudizio: ’sotto l’apparenza di rivendicazioni salariali ed economiche, esse nascondono un innegabile movente politico’. Ma poichè bisognava  tenere presente innanzitutto la volontà degli Alleati per un immediato aumento della produttività nelle miniere del Sulcis, non riuscire a trovare una soluzione  allo scontro  avrebbe potuto seriamente  compromettere il lavoro delle autorità locali.  Le quali erano, come sempre,  impegnate nel reclutamento di nuova manodopera, che sulle pagine dell’Unione Sarda lo stesso Alto Commissario aveva auspicato massiccio e immediato. Perciò così concludeva la Nota: ‘pur apprezzando l’opera lodevole del Commissario governativo, sarebbe opportuno sollevarlo dall’incarico’, per affidare la direzione dell’ACaI ‘ad una personalità che goda di sufficiente prestigio’. E il generale Pietro Pinna intendeva riferisi esplicitamente all’onorevole Angelo Corsi che, secondo lui, aveva sempre esercitato ‘un grande ascendente sulla massa dei lavoratori’.

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