Carbonia. Mentre al Nord la guerra diventa di Liberazione, verso una nuova presa di coscienza nella miniera

23 Agosto 2020
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Gianna Lai

Nuovo appuntamento domenicale con la storia di Carbonia, L’iinizio domenica 1° settembre 2019.
A caratterizzare la linea d’azione  dei nuovi organismi operai  dentro i cantieri, fu l’aver avviato, insieme alle leghe  dei minatori, il confronto sui temi del salario e dello sfruttamento, che diede nuovo spessore anche alla protesta cittadina di quei mesi, intrecciandosi con la lotta al caro vita e al mercato nero. Sono annate terribili, l’inverno del 1944-45 in particolare, durante le quali la miseria dei lavoratori è aggravata  dalla peste suina e dal persistere della siccità, che si porta appresso l’invasione delle cavallette. Cui avrebbe dovuto dare risposta, non appena insediata, la stessa Consulta regionale, cercando di mantenere il controllo sulla produzione agricola e sull’ammasso, onde garantire il vettovagliamento dei sardi contro ogni genere di speculazione. Né possono di molto modificare il quadro salariale, di fronte all’inflazione e al continuo aumento dei prezzi, le indennità di carovita e di contingenza che, dopo esser state riconosciute a livello nazionale, nel febbraio del 1945,  impongono alle nuove rappresentanze operaie ancora defatiganti trattative per la loro applicazione in provincia, con gli industriali e col prefetto, a quel tempo il dottor Sacchetti. Aumenti salariali  in conto carovita, mentre a livello nazionale la CGIL, già riconoscendo quanto mai urgenti  i rinnovi contrattuali, fermi per decenni durante il fascismo, prepara  una ‘grande vertenza sulla scala mobile dei salari e degli stipendi, in modo da rendere automatico  l’adeguamento delle retribuzioni  al costo della vita.
Vi erano state delle novità nel Sulcis tra la fine del 1944 e i primi mesi del ‘45, dopo che l’azienda aveva effettuato  un numero tale di nuove assunzioni da poter garantire, in poco tempo, il raddoppio della produzione di combustibile, così come richiesto dagli alleati. Un organico di 6.000 minatori per una media mensile di 50 mila tonnellate di prodotto, 418 mila tonnellate estratte  nel 1944, quando gli operai erano 5964, 667.995mila  quelle estratte nel 1945, quando i minatori erano 7.054   Per una produzione che aveva garantito ulteriori quantitativi di carbone, fino a  82 mila tonnellate, agli scali continentali e alle industrie sarde, la Società elettrica sarda e l’Italcementi in particolare. Le quali già potevano contare, tuttavia, anche sull’importazione di carbone di migliore qualità proveniente dai porti della penisola.
Ma non si poteva tuttavia negare la nuova crisi che l’azienda attraversava, fin dalla sua ripresa, ostacolando ancora, gli eventi bellici, il reclutamento di manodopera qualificata e l’approvvigionaamento del legname  per armare le gallerie e infine le partenze verso i porti del Tirreno delle navi cariche di Sulcis. E seppure i livelli produttivi,  attestatisi all’inizio intorno alle 45-50mila tonnellate mensili, potevano considerarsi positivi,  tuttavia l’ammiraglio Ellery W. Stone, capo della commissione alleata, chiedeva ancora con urgenza, nel marzo del 1945 al primo ministro Bonomi,  l’assunzione di quei 2mila nuovi operai che, di fatto, avrebbero poi garantito  un aumento produttivo pari a 100.000 tonnellate mensili. Destinate in particolare anche a soddisfare le esigenze  delle stesse forze armate, non superando in quell’anno, come dice Rosario Romeo, la produzione di combustibili fossili, nel paese, il milione e mezzo di tonnellate.
Ed era ancora la Commissione alleata ad insistere presso il suo Comando  e presso il governo italiano, perché venissero  assicurati, insieme all’intensificazione  dei ritmi di lavoro, nuovi massicci finanziamenti,  essendo  destinati i finanziamenti statali, 450 milioni appena stanziati con legge 28-12-44, alla mautenzione dei pozzi più che alla  piena ripresa produttiva.
Grande erogazione di danaro pubblico, sempre grave tuttavia il deficit di bilancio, avendo stabilito anche gli alleati,  per tutto il primo anno di gestione, la vendita del combustibile a lire 140 la tonnellata, secondo i prezzi politici definiti  nel lontano 1937. Contro un costo di produzione che,  già all’inizio del 1943, toccava le 400 lire. E solo  nel maggio del 1944 il Comitato interministeriale prezzi  avrebbe stabilito la vendita del carbone Sulcis a 550 lire la tonnellata, a 950 nel novembre, mentre il Tesoro e il Comando alleato risolvevano i problemi di bilancio con ulteriori integrazioni  finanziarie. Che andavano a sommarsi a quei 150  e poi 300 milioni, stanziati dal governo per la ripresa industriale della Sardegna, con legge 28.12.44, e finiti in buona parte nelle casse della SMCS. Dovendo ancora partecipare l’isola alla spartizione di ‘un quarto  del fondo di 2 miliardi già stanziato per la ripresa del paese’, con presumibile assegnazione di altro finanziamento all’ACaI stessa . Per far fronte a un bilancio che si chiudeva nel 1944 con 166.780.000 lire di debiti.
Ecco come crescono i ritmi produttivi in miniera, sotto la continua richiesta  di aumenti della produzione da parte degli alleati, pur mantenendosi sempre molto bassi i salari e ancor più precario il sistema di calcolo per l’attribuzione delle paghe, fondato su nuove forme di cottimo, che fino al febbraio del 1945 era rimasto ancorato al salario di base. E sempre  fonte di continui contrasti con i dirigenti l’interpretazione delle tabelle che lo regolano, intanto perché questi ultimi non ne avevano dato  spiegazione agli operai, né alle loro rappresentanze, e poi  perché le penalizzazioni colpivano naturalmente chi lavorava su strati poco redditizi o chi in spazi non debitamente sgomberati. Mentre sempre più rigida si faceva la disciplina, la vigilanza  delle guardie, del capo sorvegliante o dell’ingegnere di turno. Che dei cottimi applicavano le tabelle in modo del tutto arbitrario e tutte le volte a danno dei lavoratori, così come denunciavano gli operai e i membri stessi delle Commissioni interne nei cantieri. Senza mai un minimo di riconoscimento da parte dell’azienda, mai l’espressione di una qualche volontà ad aprire il dialogo, di un minimo di comprensione per la grande fatica del lavoro in  miniera. Eppure la rappresentanza, tenendo sotto controllo le forme più accese di contestazione, quelle che talvolta avevano causato  reazioni violente e incontrollabili da parte delle maestranze nei cantieri, riuscivano nel contempo a promuovere  modi nuovi di ragionamento e nuove capacità di affrontare  i problemi. Nuove conoscenze quindi, tali da  far maturare tra gli operai sempre maggiore impegno e responsabilità. Ma più i sindacati e i partiti diventavano credibili agli occhi degli operai, nella sicura difesa dei loro interessi, più agivano di contrasto la direzione e i tecnici, sempre preoccupati di mantenere in condizioni di rigida subordinazione le maestranze. Una concezione del rapporto di lavoro fortemente ideologizzata, sulla scia, evidentemente, dell’appena soppresso ordinamento corporativo. E le maniere restavano ancora, per i disubbidienti, quelle forti del tempo del fascismo, decurtazione delle paghe e misure punitive, fino al licenziamento. Che avrebbero ancora sortito  risultati per l’azienda, così come i tagli sul salario, a scoraggiare le assenze prolungate in caso di malattia e, in particolare, le multe contro  chi si fosse opposto al prolungamento d’orario di lavoro.
E  promozioni e licenziamenti usati per garantirsi il controllo della miniera, questo il trattamento riservato in particolare ai dirigenti politici e sindacali: ad infierire contro le rappresentanze operaie il Commissario Sanna,     come denunciavano apertamente nei loro documenti le sinistre, nell’agosto del 1945, sostenuto dagli stessi tecnici  e capiservizio che avevano guidato l’Azienda durante gli anni del fascismo. E definivano il gruppo dirigente SMCS, ‘un covo di avventurieri che hanno assunto funzioni direttive, pur essendo degli incompetenti, ed ottenuto lauti guadagni in quanto satelliti del Sanna nell’oppressione degli operai.  Perchè sarebbero sfociati in decine di licenziamenti le intimidazioni e la repressione contro i membri di Commissione interna e attivisti di partito, accusati di aver promosso le astensioni dal lavoro e le manifestazioni di protesta di quei mesi: tra i licenziati i dirigenti comunisti Vincenzo Pirastru, segretario della sezione Lenin e l’ingegner Russo e l’operaio Guido Pelessoni, segretario del Comitato di concentrazione antifascista.
Né sarebbero stati privi di successo  i vecchi metodi, ancora da vecchio regime e così  largamente collaudati, come ‘l’opera di disgregazione’ portata avanti contro le Commissioni interne appena elette, attraverso la convocazione dei singoli esponenti, da parte del Commissario Sanna e dei suoi collaboratori. Per costringerli, uno per uno, a recedere da decisioni già prese, con promesse di miglioramento personale, pena il licenziamento. Al punto che  la politica  della Carbosarda,  di attacco alle rappresentanze dei lavoratori, non sarebbe stata  denunciata solo dalle sezioni comuniste e socialiste, ma anche dallo stesso  Comitato di liberazione cittadino,  definendo ‘l’ACaI Carbosarda, un covo di elementi fascisti, che agiscono come al tempo in cui portavano il berrettone con l’aquila imperiale’.  E ancora dallo stesso Giuseppe Saragat, durante la sua  visita in città,  che accusa la dirigenza SMCS di avere una   ‘mentalità fascista….che, in omaggio alle gerarchie di valori, considera il produttore operaio un paria e l’azzeccagarbugli, o il ruffiano, come della gente perbene’. Da ‘Il lavoratore’, settimanale comunista uscito il 20 febbraio 1945, la denuncia infine di aver creato nei cantieri veri gruppi di ‘protetti’, e l’occasione per ricordare, tra di loro, quel Vincenzo Pani che, già segretario politico del fascio di Carbonia, aveva picchiato e fatto arrestare,  nel maggio del 1940, l’operaio F. Meloni accusato di aver scritto ‘W Stalin, W Il comunismo’ nel piazzale della miniera.
Messo continuamente a dura prova  il faticoso lavoro di costruzione del movimento, che certo non è ancora in grado di imporre alla direzione il reintegro dei sindacalisti licenziati, eppure già così credibile da poter  contare su significative partecipazioni di  solidarietà. Ed in particolare sulla sollecita attenzione delle  pubbliche autorità, che avrebbe direttamente contribuito a modificare l’assetto dell’azienda già nei mesi immediatamente successivi.

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