Carbonia. Il Comitato di Concentrazione Antifascista riflette i caratteri dei Comitati sardi

16 Agosto 2020
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Gianna Lai

Dai primi incontri fra le forze politiche cittadine prese corpo anche a Carbonia, nell’ottobre del 1943,  il Comitato di Concentrazione Antifascista, formato da sette membri rappresentanti dei partiti democratici, che avrebbe dovuto procedere innanzitutto alle epurazioni. Così, come in tutto il Mezzogiorno liberato, sulla base di accordi stabiliti   a livello generale,  fra le persone fortemente compromesse col regime in città, sarebbe stata esaminata la posizione di due fascisti, Pasqui e Cioni, già ingegnere della Carbosarda quest’ultimo, entrambi ’squadristi e sciarpa littoria’. Nei confronti dei quali non ci sarebbe stato alcun provvedimento di carattere censorio, nè tantomeno di natura punitiva, come da qualche parte invece richiesto, specie tra gli operai, cui il comportamento dei due, durante il fascismo, era a tutti ben noto: sede nuova assegnata loro, la direzione mineraria di Bacu Abis. Mentre si registrano ancora episodi ‘di manifesta adesione al disciolto partito fascista, parole inneggianti al suo capo: a Sant’Antioco, arrestati i responsabili e sono in corso provvedimenti per l’invio al campo di concentramento di quei maggiori responsabili fascisti, che ancora tentano di svolgere attività politica’.

E poi, tra gli impegni del Comitato, apertura del dialogo  sulla città e i suoi gravi problemi,  la questione degli approvvigionamenti, la mancanza di abitazioni per centinaia di lavoratori. Una sorta di governo provvisorio, in quanto emanazione dei Comitati di Liberazione Nazionale, come spiega bene Renzo Laconi, da poco rientrato in Sardegna ed eletto Commissario della Federazione del Partito comunista di  Sassari: ‘Nei primi mesi  del ‘44 questo organismo si chiamava ancora  Comitato di Concentrazione Antifascista, ma poi la rapida evoluzione  della situazione politica e militare, il passaggio delle forze dell’antifascismo dalla posizione di resistenza all’attacco e all’aperta battaglia, li tramutò in Comitati di Liberazione’.  E L’Unione Sarda del 24 ottobre 1944 precisava: ‘Strumenti di coesione e di coordinamento tra i partiti nella lotta comune per la ricostruzione’, essi tuttavia ‘non devono ingerirsi nelle attività delle amministrazioni comunali, essi devono essere informati quando si tratti di questioni politiche o abusi o irregolarità’. E c’è incompatibilità tra la carica di assessore e quella di membro del Comitato di Liberazione, ‘che vigila sul disagio della popolazione per prevenire  ogni forma di violenza, e vigila anche  nei confronti delle amministrazioni locali’. E poichè si trattava di un organismo unitario, i cui esponenti venivano liberamente  espressi  dai singoli partiti, sarebbero stati sopratutto i rappresentanti comunisti, Pirastu, Suella e Mangiardi,  a battersi per far assumere al Comitato un ruolo e un indirizzo ben definito, che tuttavia gli Alleati occupanti avrebbero sempre stentato a  riconoscergli: formulare proposte sui problemi della città, sulla composizione delle Giunte municipali, sui nominativi dei sindaci. Impegnato come era, il partito, in tale direzione, fin dal Primo Congresso regionale sardo  di Iglesias nel 1944, secondo una linea politica che così viene riassunta da  Il compagno, numero unico del 13 aprile 1944: ‘E’ stato anche  deciso di continuare a collaborare nei Comitati di Concentrazione Antifascista con gli altri partiti, specialmente con quelli di sinistra, Partito Socialista Italiano e Partito d’Azione, per intensificare la lotta contro ciò che ancora rimane del fascismo nelle istituzioni politiche  ed economiche del paese’.

Ed a Carbonia comunisti e socialisti si impegnarono per fare del  Comitato ‘un nuovo organo autonomo e diretto della nuova democrazia popolare’, così come già si era espresso Renzo Laconi, nell’appena  citato ‘Sui Comitati di liberazione’. In effetti il suo antifascismo è già fortemente sottolineato con la designazione di Andrea Nicoletti a sindaco della città, ‘perseguitato e al lungo confinato dal fascismo: poiché è stato reso noto pubblicamente ieri che il sindaco da qualche giorno è stato destituito, per non avere mai saputo tutelare con imparzialità e giustizia gli interessi della popolazione, preferendo soltanto i suoi particolari interessi commerciali, chiediamo alla giunta comunale, che lo sostituisce temporaneamente in attesa del nuovo sindaco, se può darci chiarimenti in merito’. Cui segue la proposta del nome di Andrea Nicoletti a sindaco, che sarà poi approvata dalla Giunta comunale e dal prefetto stesso.p Così, tra l’avvicendarsi in modo alterno dei commissari prefettizi in città, le giunte municipali avrebbero avuto a capo, come sindaci, il ragionier Guido Scano nel maggio del 1944, il dottor Andrea Nicoletti, in agosto,  e poi Ottavio Cucca a dicembre, ancora su proposta del Comitato comunale inviata al Prefetto di Cagliari.

Riferimento politico più diretto  per il Comitato cittadino è il Comitato provinciale di Concentrazione antifascista, che collabora con i rappresentanti del governo in Sardegna e con il Comando militare alleato. Ma quanto la sua presenza sia tenuta in considerazione da dette autorità, lo dimostra la visita  del prefetto a Carbonia, messa in risalto dall’Unione Sarda del 24 novembre 1944, che incontra il Commissario prefettizio,  il comandante del gruppo dell’arma, il commissario di pubblica sicurezza e poi visita il Maggiore Max E. Mathws, capo divisione della Commissione alleata per le miniere di Carbonia e il tenente colonello Price, capo del Comando provinciale e della Commissione alleata, infine il Commissario regionale alleato,  colonello Pennycuick. Solo  a margine l’incontro col Comitato di Liberazione cittadino, in tal modo  confermandosi ‘il carattere moderato dell’antifascismo locale e il terreno arretrato sul quale inevitabilmente si veniva costruendo il postfascismo’, come sostiene molto bene Girolamo Sotgiu. Che, riportando  le parole di Luigi Pirastu, allora vicedirettore de l’Unione Sarda, così prosegue, nella sua ‘Storia della Sardegna durante il fascismo’:  ‘tutto si svolge come prima, con le solite famiglie che dominano il paese, con il maresciallo dei carabinieri che guarda dall’alto la mischia volgare e con il popolo tenuto in disparte, come se queste cose non lo riguardassero’ 6) La stessa preoccupazione in Renzo Laconi, ancora nello scritto Sui Comitati di Liberazione: dopo le prime attese e le speranze iniziali, una nascita stentata,  perché ‘non vi era stata  in Sardegna durante il fascismo nè organizzazione, né vera lotta illegale’. Ed i Comitati rischiano di diventare allora ‘il risultato di un’intesa personale tra esponenti del vecchio antifascismo,….organi di raccordo con le autorità locali’ che, oltre ad escludere le masse dal governo della città, svolgono solo funzioni burocratiche.  Ed ancora, ‘chiesuole, senza contatti con il popolo, per la loro propensione alla collaborazione acritica’. Molto duro nella critica anche Giuseppe Dessì,  ‘poichè i Comitati non potevano essere riconosciuti se tutti i partiti non vi erano rappresentati…..i buoni villici si mettevano l’accordo tra loro….. Ne sortì, in genere, qualcosa di estremamente artificioso e fittizio’, perché a rappresentare i cittadini non erano ‘uomini stretti da un’idea’, ma individui  legati ‘da interessi personali o di gruppo’. Ed ancora, ‘i Comitati di concentrazione  non avevano affatto l’autorità che avrebbero dovuto avere e furono tenuti in poca considerazione sia dai prefetti, sia da tutti gli enti di diritto pubblico, nonché dalle autorità militari’ .

Anche a Carbonia quella condizione di incertezza, come la definisce lo storico Mario Vinciguerra,  nel saggio ‘Da Badoglio all’esarchia’, parlando dei Comitati nelle città del Mezzogiorno liberato: quello ’stato di cose artificioso e illusorio, poiché il popolo non era stato interrogato, né certo poteva essere chiamato alle urne prima che la nazione  avesse completamente riacquistato l’indipendenza, cosa che avvenne solo a gennaio del 1946,  con la cessazione dell’amministrazione militare alleata nelle province settentrionali. Tale sembrava il destino dei Comitati nell’Italia liberata e in Sardegna. E sempre scarsamente collaborativo, anche a Carbonia, il rapporto tra le sinistre  e gli altri partiti, non intendendo, sardisti e democristiani, valorizzarne le funzioni. A Carbonia la fine della guerra al centro del dibattito sull’Italia futura e sul  futuro della miniera, che già delinea gli schieramenti cittadini in opposizione fra loro. Sopratutto di fronte alle prime  rivendicazioni operaie,  fortemente intrecciate, questa volta, alla lotta contro il mercato nero, l’aumento dei prezzi e per il miglioramento delle razioni alimentari. Lo scenario è quello di un tessuto sociale cittadino così devastato durante la guerra, che va ora  lentamente ricostituendosi,  per prepararsi alla pace e al buon governo, già provando a praticarlo attraverso il Comitato di Liberazione. Almeno secondo gli intenti delle sinistre, che non avrebbero tuttavia trovato risposta adeguata e sufficiente nei rappresentanti delle altre forze politiche, più propensi, semmai, ad accordarsi con l’azienda e a subire le imposizioni degli alleati occupanti.

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