Tutori-padrini e, oplà, il PD sardo incasermato

7 Maggio 2009
1 Commento


Andrea Raggio 

Facendo seguito all’intervento di avantieri di Massimo Marini, continuiamo la nostra riflessione sul PD sardo in vista delle elezioni europee con questo intervento di Andrea Raggio.

Giorgio Amendola raccontava che quando andò via da Napoli i compagni gli regalarono una valigia e gli dissero “gira il mondo ma qui non ripassare”. Quando lasciai il Consiglio regionale per il Parlamento europeo, i compagni del gruppo mi regalarono un orologio raccomandandomi di non perdere l’aereo. Questi gesti oggi sarebbero letti maliziosamente ma allora avevano un chiaro senso politico. Erano manifestazioni di stima nei confronti di chi lasciava l’incarico e nello stesso tempo di assunzione piena di responsabilità da parte di chi subentrava. Così procedeva il rinnovamento dei gruppi dirigenti. Senza tutori. La preoccupazione di ciascuno di noi, anzi, era di evitare di fare ombra a chi aveva preso il nostro posto. Non era solo una questione di stile ma un aspetto importante della vita democratica del partito.
Mi guardo attorno e vedo che oggi succede l’esatto contrario. I tutori si sono insediati nel sistema dei partiti, spadroneggiandovi. Quello di Berlusconi è il caso estremo. Le veline candidate alle europee? Ne hanno diritto come ogni altro cittadino, ma non basta la bella presenza. Quando, perciò, il Gran Tutore punta a “velinizzare” la politica per consolidare il suo potere e aggiunge con arroganza padronale “sono le mie candidate e le porterò in giro nei comizi” o, addirittura, considera le candidature come merce di scambio, sta facendo in realtà scempio della democrazia e dell’etica.
Veniamo ai casi nostri, diversi ma egualmente deleteri. Che fa il commissario straordinario del PD sardo quando deve nominare un comitato che lo affianchi nella gestione del congresso regionale? Si rivolge ai tutori e ognuno di loro designa i propri rappresentanti, lui mette il timbro e la direzione approva. Chi ha nominato i tutori? Si sono autonominati. Il titolo non l’hanno neppure conquistato sul campo, reduci come sono da una dura sconfitta elettorale. Ma v’è di più e peggio. E’ stato varato il regolamento “Per il radicamento e la costruzione del partito e per la gestione del congresso”, che concerne la fase iniziale e più importante del processo di formazione dell’organizzazione, quella che ne pone le fondamenta e ne segna i connotati. Ebbene, i connotati che vengono delineati sono quelli di un partito incasermato. Il Comitato regionale per il radicamento etc. etc., nomina i comitati provinciali e definisce persino gli ambiti territoriali dei circoli; i comitati provinciali a loro volta nominano il comitato di ciascun circolo, predispongono il calendario delle assemblee degli iscritti e contestualmente indicano un componente del gruppo dirigente provinciale e regionale col compito di svolgere una relazione politica all’assemblea (gruppo dirigente, ma il partito non è commissariato?) E i circoli pre-esistenti, nati dall’iniziativa dal basso? Sono messi in quarantena, affinché non infettino. E se un cittadino vuole iscriversi al circolo del quartiere nel quale ha sempre svolto attività politica? Non può, il regolamento prescrive, infatti, che deve aderire al circolo territoriale dove ha la residenza e che solo in quel circolo potrà esercitare i propri diritti di iscritto.
E’ vero, negli altri partiti è persino peggio, ma questa non è una giustificazione. I tutori politici si sentono investiti di un’alta missione, occupano i partiti, non demordono, non lasciano la scena. Passano da un incarico a un altro e a un altro ancora e poi ricominciano il giro, oppure occupano contemporaneamente più incarichi, cambiano partito o ne inventano uno personale. Impongono regole cervellotiche per sbarrare la strada a chi rifiuta la tutela, soprattutto se è giovane e capace. E i tutelati sentendosi trattati alla stregua di minorati politici abbandonano sempre più numerosi il campo.
I tutori hanno indubbiamente capacità politica ed esperienza e le loro intenzioni sono certamente sane. Ma il risultato della loro invadenza è l’anchìlosi dei partiti e il mancato ricambio della classe dirigente. E i giovani non entrano nei partiti perché non vogliono essere ingabbiati nelle correnti degenerate a centri di potere.
Questa situazione di tutoraggio abusivo dura da troppo tempo, ha impoverito la politica e provocato grossi danni in tutti i campi. E oggi, dinanzi alla crisi e alla necessità di affrontarla avviando uno sviluppo nuovo, non è più sostenibile. Ecco perché è indispensabile che i tutori siano sollecitati a liberare il campo. Si può fare politica anche senza avere i gradi del comando.
I giovani si lamentano perché i partiti non sono a loro misura: hanno ragione ma le lamentele servono a poco. Quand’ero segretario della federazione di Cagliari del PCI mi recai a Roma in delegazione con altri segretari del Mezzogiorno per sollecitare aiuti per le nostre organizzazioni. Giorgio Amendola, allora responsabile nazionale di organizzazione, ci ascoltò con attenzione poi ci liquidò bruscamente: “Volete un partito forte? Fatevelo”.

1 commento

  • 1 Efis Pilleri
    7 Maggio 2009 - 11:59

    C’era una volta il PAPI (Partito Autonomo Pensionati Italiani). Adesso il PAPI è proprietario del più forte partito del Paese, guida il Governo, dispone di un potere mediatico assoluto. Il PAPI però ha un cruccio. In una democrazia esistono i controlli e siccome la nostra è ancora un po’ democrazia esiste qualcuno (spia o giornalista ?) che si occupa dei Suoi affari, pubblici e privati. La Sua aspirazione è pertanto quella di liberarsi degli ultimi possibili rompiscatole, tipo Lega o IDV e per far ciò conta sul prossimo referendum Segni-Guzzetta e su chi nel principale partito d’opposizione in qualche modo lo segue, lo imita e, sotto sotto, lo invidia.Il Principalepartito Dopposizione non dispone, per sua sfortuna, di un PAPI dispone solo di qualche Padrino nominato da qualche altro Padrino oppure autonominatosi. Anche in Sardegna dispone di un Padrino, nominato dai Padrini romani che da solo decide candidature e incarichi di partito. Tuttavia è pressochè impossibile che in Sardegna o in Italia la strategia del Padrino prevalga su quella del PAPI. Quelli che non sono d’accordo nè con l’una nè con l’altra, sarebbero veramente tanti ma dovrebbero mettersi d’accordo anzichè continuare a dividersi, come hanno fatto anche stavolta. Non ci rimane che sperare nella prossima (si Deus keret e sos carabineris lo permittene).

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