Massimo Sestili da Patria indipendente maggio 2014
Nell’ambito del ricordo dei partigiani sardi a cura dell’ANPI Cagliari ecco la vita ribelle di un generoso partigiano di Austis. Quando Francesco Curreli voleva andare in URSS a piedi da Algeri. Antifascista da sempre, combattente in Spagna contro Franco ● Poi a Roma nei GAP centrali con Calamandrei ● Era presente anche in via Rasella ● Tante azioni contro i nazifascisti.
Si chiamava Francesco. Aveva un sogno. Era il progetto di un’esistenza ribelle che testardamente rifiutava l’ordine imposto in Europa dal nazifascismo. Partendo a piedi da Algeri insieme ad altri due compagni di avventura, voleva arrivare in Unione Sovietica.
Il suo sogno lo raccontava a Franco Calamandrei e Giorgio Labò nella villetta rifugio di piazza Bainsizza per stemperare la tensione durante le lunghe ore di attesa prima di un’azione. E ancora ne traeva coraggio e speranza. «Il compagno Francesco» è il titolo di un articolo che Franco Calamandrei ha pubblicato sulla rivista «Mercurio»1. Quel nome appare al lettore d’oggi sbiadito come le pagine della vecchia rivista: rischia di rimanere un nome senza volto, privo di memoria. Pochi sanno l’esistenza ribelle che quel nome ha incarnato. Un nome, un corpo, una vita, un sogno. È qui che inizia il lavoro dello storico.
Nato ad Austis l’11 maggio 1903, Francesco Curreli, abbandonata la scuola in seconda elementare, lavorava come servo pastore2. Vigilava e custodiva le greggi in aperta campagna. Lunghe notti trascorse a difendersi dal freddo e dalla paura, ad ascoltare il sibilo del vento, gli ululati dei cani, a guardare le stelle e tracciare con la fantasia una scia luminosa che potesse preigurare una via d’uscita da quella miserabile condizione. Erano notti in cui sentiva salire una rabbia feroce, un moto di ribellione che presto esploderà: quel cielo buio e spesso lui lo squarciava a denti stretti.
Aveva solo 17 anni quando veniva denunciato dai carabinieri di Oristano per rapina a mano armata commessa nel comune di Neoneli. Ricercato, fuggiva in Francia. L’anno successivo veniva emesso nei suoi confronti un mandato di cattura per rapina e denunciato per renitenza alla leva. Dalla scheda riservata della Prefettura di Nuoro risulta che «con sentenza del 24-11-1923 fu assolto in istruttoria dall’imputazione per insufficienza di prove»; mentre nella Cartella Biografica risulta che il 4-11-1925, con sentenza della Corte d’Assise di Oristano, veniva condannato in contumacia a quattro anni e otto mesi di reclusione per rapina e lesioni. Una vicenda dunque controversa che il fascicolo del CPC non chiarisce definitivamente. Tuttavia, vi si possono già leggere le caratteristiche di una personalità ribelle e matura, pronta ad affrontare un’esistenza contando solo sulle proprie forze. Arrestato a Menton in Francia mentre cercava di rientrare in Italia, viene tradotto a Nuoro, dove il 16-8-1941 subisce un interrogatorio nella locale Questura. Nel verbale è raccontata, naturalmente in parte, la sua autobiografia di ribelle:«Verso il 1920, all’età di diciassette anni, senza passaporto per l’estero, ma munito solo di passaporto per l’interno, mi recai a Ventimiglia per espatriare a scopo di lavoro. Lì fui soccorso da una società umanitaria di cui non rammento il nome preciso, la quale mi munì di un lasciapassare. Mi fu così possibile entrare in Francia. Lavorai tra il ’20 e il ’21 a Gardenne, nei pressi di Marsiglia, come minatore, poi mi trasferii in quest’ultima città, dove trovai lavoro presso i cantieri per la costruzione della galleria del Rodano. Nel ’24 fui muratore a Valse-les-Bains e nel ’25 a Lione. Mi trasferii nel ’27 a Cannes dove lavorai ino al ’31, sempre da muratore. Nel ’31 passai in Algeria rimanendovi fino al giugno ’36, quando passai in Spagna. In Ispagna mi arruolai con le truppe rosse e mi trovai alle dipendenze della Divisione Lister: ero al 5° Reggimento Fanteria e partecipai alle battaglie attorno a Madrid e nella Catalogna, alle foci dell’Ebro. Ero semplice soldato. Fui ricoverato per malattia nell’ospedale di Castellon de la Plana. Feci parte del Soccorso Rosso e della società CGT. Nel febbraio 1939, spinto in Francia dall’avanzata del generale Franco, fui internato successivamente nei Campi di concentramento di Argèles (Pirenei Orientali), a Gurs (Bassi Pirenei), infine a Vernet (Ariège) donde sono stato rimpatriato». Francesco ammette l’ovvio. Sapeva benissimo che la polizia era a conoscenza dei suoi spostamenti tra Francia, Algeria e Spagna. Rinviato alla Commissione Provinciale di Nuoro viene condannato a cinque anni di confino da scontare nella colonia penale di Ventotene.
Dopo il 25-7-43 si imbarca insieme ad altri antifascisti per Roma dove dopo l’8 settembre si arruola nei GAP Centrali per continuare la lotta contro i nazifascisti. Durante i nove mesi dell’occupazione di Roma, faceva parte del GAP Centrale “Gastone Sozzi” comandato da “Cola”, ovvero Franco Calamandrei. Insieme a Giorgio Labò, l’artificiere dei GAP prima massacrato a via Tasso e poi fucilato a Forte Bravetta, vivevano in una villetta a piazza Bainsizza. Ricorda Franco Calamandrei: «Sedevamo sui nostri letti, Francesco arrotolava per noi e per sé una sigaretta, io lo interrogavo, e la sua memoria, ritrosa ed un poco lenta, ma gremita e precisa, si dipanava. Raccontava di quando, ragazzo, portava a svernare le pecore al mare, e si nutriva di formaggio e di latte, del paese dei pescatori. Di quando, nella miniera, un caposquadra tirannico, altercando con lui, aveva tratto il coltello, ed egli rapido gli aveva spezzato il braccio con una bastonata. Raccontava com’era stato il più veloce di tutti, in cima ai piloni dell’alta tensione, sul confine svizzero, nell’avvitare i grossi isolatori di porcellana, lavorando a trenta metri dal suolo, stretto con le ginocchia alle sbarre, a testa all’ingiù. E come, a Lione, il suo picchetto di sciopero aveva precipitato giù dalle impalcature un crumiro. E come, ad Algeri, abbandonato il lavoro gli arabi portuali avevano buttato in acqua i sargos che venivano a sostituirli. Raccontava di Madrid, delle spie giustiziate, di una ragazza bellissima uccisa con un colpo alla nuca. Raccontava della guerra, di speranze e di delusioni, del concentramento al Vernet, di scorbuto e fame. Francesco raccontava, e negli occhi di Giorgio io vedevo la mia stessa sorpresa, sorpresa felice e invidiosa, dinanzi a quell’esistenza così guadagnata3».
Francesco con la profonda semplicità del ribelle parlava ai suoi compagni della vita e della morte. Ora il cielo di Roma aveva sostituito il cielo della Sardegna e della Spagna, e di nuovo era lì attento e silenzioso, pronto a sgretolarlo, sempre a denti stretti. Maria Teresa Regard racconta di quando in via Cola di Rienzo insieme a Francesco uccisero un fascista; di quando spararono a un tedesco in via Barberini e tentarono di far saltare un’autorimessa in via San Nicolò da Tolentino4. Rosario Bentivegna (Sasà) sull’attacco di via Rasella ricorda la presenza di Francesco che aveva l’ordine di entrare in azione dopo la prima esplosione con un lancio di bombe a mano sui tedeschi: «Era un uomo meraviglioso e modesto, asciutto e duro ma semplice e gentile come sanno esserlo i sardi5». E ancora ricorda l’attacco ad un corteo fascista. Poi, terminata la guerriglia urbana a Roma, i GAP furono spostati in provincia in appoggio ai gruppi di partigiani. Francesco insieme a Sasà e Carla Capponi venne inviato nella zona di Palestrina: «Francesco cominciò a raccontarmi la sua vita e solo allora capii quanto avessi sbagliato a sottovalutarlo e quanto fosse prezioso un uomo come lui. La sua riservatezza, quel suo carattere modesto e l’aria decisa ma dolce, i modi semplici così diversi da quelli di noi giovani romani esuberanti e un po’ spacconi mi avevano dato un’impressione inesatta delle sue capacità6».
Francesco era il più anziano e il più coriaceo tra i gappisti. Era un ribelle animato da un antifasci-smo istintivo; combatteva contro i soprusi, le violenze, l’ottusità e la retorica di un potere fondato sul razzismo. Era un uomo d’azione schivo e silenzioso. A parlare era la sua paziente irrequietezza nel preparare un attacco, i suoi muscoli tesi nell’attesa, il suo corpo saettante nel mezzo di un’azione di guerra, la forza mentale di chi sa che quella potrebbe essere l’ultima volta. Le più belle parole sul suo conto le ha scritte Franco Calamandrei: «Francesco era il più onesto di noi, il compagno migliore. In Roma liberata c’è stato per lui un posto di cuoco in una cucina militare francese. Lì ha sudato l’estate, e la notte faceva il guardiano nella sede di una nostra sezione. Ora ha avuto il biglietto per la Sardegna, e mi ha salutato. Portava lo stesso vestito che il Soccorso Rosso gli dette quando arrivò dal confino. In più aveva soltanto un pacco di giornali e di opuscoli da distribuire al paese 7».
Era arrivato a Roma in punta di piedi e se n’è andato in silenzio. Lui, il ribelle, la sua guerra l’aveva vinta. Francesco nel dopoguerra lavora come guardiano nella sede centrale del Partito Comunista. Poi una lunga malattia e l’amputazione di una gamba lo costringeranno a vivere il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle. Muore lunedì 27 marzo 1972. Ad Austis, al nome di Francesco Curreli sono state intitolate una via e la Biblioteca comunale.
NOTE 1.- F. Calamandrei, Il compagno Francesco, «Mercurio», A.I, N.4, dicembre 1944, pp. 311-313.- 2. Tutte le informazioni biograiche, i rapporti della polizia, l’autobiograia, se non diversamente indicato sono ripresi dal fascicolo personale di Francesco Curreli; ACS, CPC, fasc. Francesco Curreli, n. 126171, b. 1562.- 3. F. Calamandrei, cit..- 4. M. T. Regard, Autobiograia 1924-2000, Milano, Franco Angeli, 2008, pp.37-38.- 5. R. Bentivegna, Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella, Milano, Mursia, 2004, p. 191.- 6. R. Bentivegna, Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista, Torino, Einaudi, 2011, pp. 1.- 7. F. Calamandrei, cit..
1 commento
1 Aladinpensiero online
8 Agosto 2020 - 09:11
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=111024
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