Pubblicato il 4 Maggio 2020
Daniela Orrù
Il giovane Orazio quel 25 aprile di settantacinque anni fa non festeggiò insieme agli altri partigiani.
La morte l’aveva preso appena due giorni prima nella campagna di Sant’Albano Stura, in provincia di Cuneo, per mano della “ronda dei Muti”. Così erano chiamati nella zona un gruppo di squadristi che agiva indisturbato, perpetuando violenze e sopraffazioni, tanto da arrivare ad ammazzare a sangue freddo un ragazzino la mattina del 23 aprile 1945.
Orazio all’epoca era da pochi giorni confluito nella 21^ brigata di Giustizia e Libertà, dopo aver fatto parte della 20^ Brigata GL dal 1944: aviere sardo, era approdato in Piemonte in seguito alla diserzione; nel caos dell’Italia dopo l’8 settembre, avrebbe potuto scegliere la fuga ma non lo fece.
Non era ancora un partigiano esperto, però l’ardire dei suoi ventisei anni lo indusse insieme ad altri tre compagni a tendere un agguato ai Muti. Fu un massacro; a nulla servì che Orazio si fingesse morto: fu finito dalle camicie nere a colpi di canna di fucile. Le mani pietose di una donna del posto ricomposero la sua salma, che solo trent’anni dopo poté ritornare a Orroli, il suo paese dove tuttora riposa. Qui lo ricorda una strada, che gli fu intitolata molti anni fa, anche se oggi solo i suoi compaesani più anziani ne conoscono il motivo. Io stessa ho potuto ricostruire parte di questa storia solo pochi anni fa.
Orazio Orrù era mio zio, il più grande dei fratelli di mia madre. Dai suoi sparuti ricordi di bambina ho avuto qualche indicazione circa la famiglia che all’epoca di questi fatti gli fornì protezione in Piemonte, e si preoccupò di concedergli una sepoltura: i Liprandi. Da lì è iniziato quattro anni fa il mio viaggio nella memoria. Internet ha fatto il resto, permettendomi di riallacciare i rapporti con alcune nipoti di questa famiglia. Ci siamo conosciute e incontrate; con grande emozione abbiamo visitato insieme quel che resta dei luoghi della loro infanzia e degli ultimi giorni di mio zio e dei suoi compagni, commemorati da un cippo nel luogo della morte. E’ stato un riannodare di fili della memoria che solo in apparenza si erano interrotti.
Semi che germogliano, sentieri che si incrociano ancora: questo dovrebbe essere ancora il senso del 25 aprile, ancora di più oggi che siamo costretti a vivere a distanza.
Sta a noi, a ciascuno di noi, far sì che il ricordo del sacrificio di Orazio e di tanti, tantissimi altri giovani non vada mai dimenticato.
«E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno». [Da “Il partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio]
P.S.: dedico questo scritto a Claudia che una mattina di quattro anni fa fotografò per me, una perfetta sconosciuta che l’aveva contattata in un social network, il cippo commemorativo di mio zio.
1 commento
1 Aladinpensiero Online
10 Agosto 2020 - 07:52
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=111095
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