Carbonia. La vita politica in città, dall’intesa PCI-PSI ai rapporti con gli altri partiti

2 Agosto 2020
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Gianna Lai
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Anche ad agosto ogni domenica un post sulla storia di Carbonia. L’inizio il 1° settembre 2019.

Negli ultimi mesi del 1943 nasce a Carbonia, con un centinaio di iscritti, la sezione del Partito socialista Italiano, primi segretari A. Craig e poi l’attivista veneto G. Piloni. Subito dopo, la creazione dei Nuclei Aziendali Socialisti in molti cantieri della miniera, secondo le direttive nazionali, a rappresentare il partito nei luoghi di lavoro. E poi  le sezioni  del Partito Sardo d’Azione e della Democrazia Cristiana, durante i primi mesi del 1944 che, mentre riproducevano in città gli schieramenti nazionali, in particolare la seconda,  e il dibattito politico sul futuro dello stato democratico, stringevano alleanze, rimaste spesso invariate nel corso degli anni, ora intervenendo direttamente nel piano  industriale dell’Azienda Carbosarda, ora condividendone apertamente la politica di contrasto rispetto ai comunisti e ai socialisti.  Sempre conflittuale il rapporto tra la sinistra  e gli altri partiti a Carbonia, in primo luogo col Psd’Az, nel quale sostanzialmente si individuavano due anime fra loro antitetiche, quella progressista incline all’alleanza con i socialcomunisti, minoranza legata ad Emilio Lussu, che prponeva la fusione col partito d’azione nazionale,  e quella notabiliare legata ai gruppi dirigenti della Carbosarda e agli stessi americani, antiunitaria e settaria nei confronti della sinistra, che faceva capo a livello regionale all’onorevole G. Battista Melis. Anche in città  emergono presto gli effetti contrastanti della politica interna del movimento sardista isolano, tali da indurre Velio Spano, per esempio, a definirla su Rinascita  ‘espressione di vecchi gruppi e di vecchie clientele, che avevano prosperato  con il fascismo o che al fascismo erano sopravvissute proprio in quanto alleate ed agenti degli sfruttatori continentali delle masse lavoratrici sarde’.2)  Frequenti le intese, nel centro minerario, fra il partito della  Democrazia Cristiana e il Partito sardo che, ancorati entrambi a vecchie concezioni e ideologie, avrebbero quasi sempre espresso di sé non tanto l’ispirazione popolare e interclassista, quanto il carattere conservatore ed antioperaio dei ceti privilegiati, rappresentati in città dai vertici della SMCS, cioè  tecnici e dirigenti della miniera. Insieme avrebbero portato avanti un duro attacco nei confronti del movimento politico e sindacale dei lavoratori, appena temperato dalla volontà di non inimicarsi del tutto quella parte del loro elettorato che si componeva talvolta anche di operai della miniera.
A Carbonia, dirigenti, tecnici ed impiegati della SMCS provenivano quasi tutti dai partiti moderati, la DC e il Psd’Az,  che assumevano toni decisamente conservatori nell’adesione assoluta alle scelte degli Alleati mentre, sempre più numerosi, gli operai aderivano al Partito comunista e, in parte, a quello socialista, pur non mancando tra loro gli iscritti al Psd’az e alla DC, partiti popolari decisamente più forti  nelle campagne, tra i contadini, dove avrebbero a lungo conteso l’egemonia allo stesso Partito comunista.
Certo difficile pensare che in città il tentativo di costruire un quadro politico nuovo potesse prescindere dalla indeterminatezza della situazione nazionale e internazionale:  definito in un  possibile contesto futuro di pace e di democrazia, con la guerra al nazifascismo si doveva tuttavia anccora fare i conti ogni giorno, l’Italia ormai venuta meno, nella ‘coesistenza conflittuale di tre governi, il regno del sud, la Repubblica di Mussolini, il Comitato di Liberazione, e due regimi di occupazioni, angloamericani al Sud, tedeschi al Nord’, come dice Giovanni  De Luna ne ‘La repubblica inquieta’48. Un’Italia ‘disunita che sembrava riproporre la frattura Nord-Sud, come quella che riassumeva e sovrastava tutte le altre’, ma dove, tuttavia, ci si sforzava con fatica di  intravvedere, in quel poco di ripresa delle zone appena liberate, in quella importante unità nuova della lotta partigiana,  già un paese diverso, in grado di uscire dal caos del conflitto e per il quale bisognava essere pronti, cominciare a ritessere la vita e a ridare significato al lavoro. Probabilmente animata da tale convinzione la nascita dell’intesa unitaria delle sinistre anche a Carbonia, secondo gli accordi di Francia, Partito comunista e Partito socialista, poi  rinnovata nel 1943, e ancora caldeggiata dagli stessi dirigenti ad Iglesias, nella risoluzione del 1^ Congresso regionale sardo del PCId’I. E sempre in tale direzione anche la nascita in città dei  nuovi organismi di base, il Comitato di unità d’azione, volto a promuovere il dibattito sul futuro politico del paese, sostenendo la proposta di un governo del dopoguerra, emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale. E poi il Coordinamento delle sinistre per la lotta in miniera, gruppo ristretto e paritetico chiamato a svolgere un ruolo di dirigenza politica  nelle assemblee degli iscritti, durante le vertenze, gli scioperi, o la ratifica di accordi e di rinnovi contrattuali. In ambedue i casi si trattò di iniziative particolarmente vitali,  ed inoltre aperte alla collaborazione di tutti, perché la prima, dopo la scissione dei sardisti operata da Emilio Lussu, fu in grado di aprire anche al Psd’Az socialista, mentre la seconda, uscita poi quasi indenne dalla  crisi del Fronte popolare, grazie alla forte intesa che ne legava i componenti, avrebbe portato avanti negli anni una vera e articolata proposta alternativa allo smantellamento delle miniere.
Attraverso il Patto di unità d’azione si venne quindi consolidando, anche  a Carbonia, un saldo legame tra PCI e PSI, già visibile fin dai primi tempi, nel fraterno appoggio assicurato dai comunisti ai socialisti quando essi aprirono la loro sezione in città.  Al centro le indicazioni dei dirigenti politici nazionali  e regionali,  primo fra tutti Velio Spano, che così scriveva, ancora  su Rinascita, per sollecitare il partito, in Sardegna, a promuovere, insieme ai socialisti, nuovi processi politici e nuove azioni di intervento unitario,  ‘E’ necessario che le masse sarde si orientino verso il Partito comunista, il quale, strettamente unito al Partito socialista è il solo che possa veramente assolvere la necessaria  funzione di unificazione degli operai, dei contadini, dei pastori e degli intellettuali di Sardegna. Il solo che possa dare alle giuste rivendicazioni autonomistiche delle popolazioni sarde, il loro necessario contenuto sociale e progressivo’. Un’intesa e una collaborazione che avrebbe riportato il dibattito cittadino dentro contesti regionali più ampi, nuova unità fra tutti i lavoratori, per andare verso nuove alleanze tra operai e contadini. E la condizione della Sardegna nell’ambito della  questione meridionale come questione nazionale, secondo la cultura gramsciana dei Quaderni,  pubblicati da Palmiro Togliatti negli anni immediatamente successivi.
Si tratta di una riflessione che proviene, in particolare, dal gruppo dirigente del PCI sardo, impegnato in quel periodo ’su un duplice terreno, come dice con grande chiarezza Girolamo Sotgiu, che era quello delle lotte dei braccianti e dei contadini poveri senza terra e quello  delle lotte degli operai delle zone minerarie: a partire dal 1946 nei bacini minerari si sarebbero posti  infatti problemi complessi  di riconversione produttiva e fu il Partito comunista a porsi alla testa di un movimento che ebbe poi i momenti di maggiore intensità nelle lotte per la terra,  dal 1948 al 1950′ 3).
E ne parla Nadia Gallico Spano, durante l’intervista concessa nell aprimavera del 1988, dirigente comunista giunta in Sardegna all’inizio del mese di aprile, su incarico della direzione nazionale del Partito, per verificare le condizioni dell’organizzazione  nelle città più importanti dell’isola e per contribuire alla costruzione di un rapporto fra Movimento femminile nazionale e movimento sardo. Guspini e Carbonia i primi luoghi in cui lavorò. Responsabile femminile della Federazione di Roma, avrebbe fatto poi parte dell’Assemblea Costituente e della Camera dei Deputati. E ne parla  Renato Mistroni e Antonio Saba, dirigente del PCI e sindaco di Carbonia negli anni sessanta e Aldo Lai, capostazione delle Ferrovie Meridionali Sarde, dirigente del partito socialista e, in quel tempo, segretario della Lega autoferrotranvieri della CGIL, otre che membro di Commissione Interna, anch’egli poi sindaco della città negli anni sessanta.  Perché, sono i comunisti naturalmente, forti di una struttura ben determinata e di un certo numero di quadri in grado di assicurare  presenza continua,  a definire linee politiche di intervento e ad avere un rapporto più diretto e organizzato con le masse popolari. Decisamente meno numerosi i socialisti, sia in termini di dirigenti, sia  in termini di presenza fra i minatori, i loro nuclei aziendali non avrebbero certamente avuto nel tempo la stessa rfesistenza delle cellule comuniste. Non dimenticando mai come, in questo importante lavoro di riaggregazione sociale, a capo del movimento è ancora un  gruppo abbastanza ristretto di dirigenti  di recente formazione, impegnato certo, prima di tutto, a sollecitare il contributo attivo di militanti e simpatizzanti, ma sempre fortemente  consapevole della impossibilità di  raggiungere in modo efficace tutti quei lavoratori che, a migliaia, partecipano alle assemblee e alle manifestazioni pubbliche. Lo ribadiscono i tre intervistati appena citati, così ricostruisce quel processo, in particolare, Renato Mistroni: ‘durante le affollatissime assemblee di partito o di sindacato,  era impossibile dare la parola a più di venti persone in una sera, tantissimi volevano intervenire, spinti da quella nuova aria di riscatto e di cambiamento, che induceva anche a riporre grande fiducia nei quadri e negli attivisti di partito. Ed era così aperto il dialogo, franco e sincero, da non sentirsi intimiditi, i lavoratori, durante le riunioni di sezione o nelle assemblee pubbliche, neppure alla presenza dei dirigenti più importanti, regionali e nazionali, che spesso giungevano in città a parlare di politica’. Un tratto forte dei minatori di Carbonia, messo bene in luce anche da Nadia Gallico Spano e da Aldo Lai, così abituati a prendere la parola in sezione, i minatori, così impegnati nell’organizzazione delle  manifestazioni pubbliche in  piazza: migliaia i partecipanti fin dagli  anni 1944-1945, importanti sempre i relatori,  da Emilio Lussu del  Partito d’Azione a Giuseppe Sargat, socialista, al ministro comunista delle finanze Antonio Pesenti, nel governo Bonomi.
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NOTE
1)Vedi L’Unione Sarda, 11 dicembre 1943
2) Vedi L’Unità del popolo sardo nella lotta per al sua redenzione, cit.
3) Vedi G. Sotgiu, Storia della Sardegna durante il fascismo, cit., pag.319

17) Ministri e dirigenti nazionali a Carbonia - 9 agosto      3

E parlano, Renato Mistroni e Aldo Lai, di come la  presenza dei dirigenti nazionali a Carbonia contribuisse al radicamento di vincoli solidaristici forti, primo vero sostegno agli organismi di rappresentanza, e di come il dibattito si animasse, in quelle occasioni, sui temi della resistenza popolare al nazifascismo e sulla nuova Italia democratica pronta a nascere. E dicono  come trovassero collocazione in quel quadro ampio, la città e la miniera, a partire dalle  proposte di riconversione  economica della zona, come soluzione ai problemi dello sviluppo territoriale, già nel Convegno del 1944, il primo organizzato su tali temi dal comunista ingegner Russo, dipendente della SMCS e dall’avvocato Marco Giardina, futuro segretario della Camera del lavoro, si riferiva all’uso dei sottoprodotti del carbone in impianti speciali. Seguito poco dopo dall’importante ed articolato intervento di  Emilio Lussu, poi ministro dell’Assistenza bellica nel governo Parri e per i rapporti con la Consulta nel primo governo De Gasperi, ……. durante la sua visita al ‘complesso  della Carbonifera Sarda’. Lussu è ospite della presidenza ACaI  a Villa Sulcis, nel luglio del 1944 e ‘accompagnato dall’ingegner Bruno Sanna, dal direttore generale ingegner Arminio Piga,  e dai direttori dei due gruppi, Nord e Sud, ingegneri Giorgio Carta e Vincenzo Busonera’, ispeziona le miniere, che poi avrebbe di nuovo visitato in ottobre. Ed apre nuove e del tutto inedite prospettive, ipotizzando la costruzione, nel Sulcis, di ‘un’azienda popolare……una grande azienda socializzata, dove minatori, tecnici e impiegati, in una sola forza costruttiva, daranno vita al più grande bacino carbonifero del Mediterraneo’. Come leggiamo su L’Unione sarda del 9 luglio 1944, che vi dedica un servizio ampio e approfondito, ‘davanti a una folla acclamante’, Lussu parla di fascismo, di guerra e della prossima fine di Hitler. E ancora soffermandosi sul futuro del Sulcis, ‘noi tutti trasformeremo in collaborazione permanente di lavoro e di pace questa immensa azienda industriale, concepita come autarchia di guerra: essa era stata concepita per produrre indirettamente corazzate e cannoni, ebbene noi la ricostruiremo per dare lavoro agli agricoltori e par dare alimento alle nostre ferrovie, nel libero commercio, per dare il via alla pace’. E prosegue Lussu, ‘io penso in questo momento quale sarà la Carbonia di domani. Sarà Carbonia trasformata da azienda imperiale in azienda popolare. Carbonia dei minatori e degli impiegati e dei tecnici, assieme in una sola forza costruttiva in cui ognuno sia al suo posto, come le varie membra del corpo umano sono unite per dare movimento e vita al corpo stesso. Carbonia oggi è un’azienda statizzata, burocratizzata, diretta da molto lontano, oltre il mar Tirreno. I dirigenti guardano qui col binocolo e vedono molto poco. Carbonia oggi è un’azienda statale, una grande azienda statale. Essa dovrà diventare una grande azienda statalizzata, questo è l’avvenire di Carbonia ….. E quello che ho detto di Carbonia, grande azienda di domani, diretta qui, costituita qui, accompagnata qui dal lavoro comune degli operai e dei tecnici, è un principio di autonomia. Autonomia è vita, è libertà è controllo di popolo’. E’ questa una visione forte, quasi avveniristica, del futuro della città, che incontra ‘la piena approvazione da parte dei grandi partiti di massa,  socializzazione di Carbonia  e  gestione diretta dei lavoratori, attraverso le forme della cooperazione’, secondo L’Unione Sarda del 3 agosto 1944, valida alternativa alle previsioni del  Commissario ingegner Sanna. Che, dopo aver porto a Lussu  i saluti dell’ACaI e della SMCS,  in atteggiamento del tutto diverso di fronte al ministro, rispetto ai comportamenti abituali tenuti con gli operai, svolge la sua relazione sullo stato delle miniere, denunciando ‘errori, abusi e sperperi di ogni specie’, commessi durante il fascismo’. E denunciando pure che l’ACaI fu allora ‘covo di profittatori e avventurieri’, fino a  paventare per l’immediato dopoguerra, la smobilitazione dei pozzi e la fine del carbone sulcis: ‘e io voglio mettere fin d’ora in guardia tutti i miei collaboratori sulle manovre subdole e pricolose, perché pagate, di alcuni gruppi industriali e minerari italiani, di quei gruppi, cioè, che nel ventennio vollero l’affermazione del fascismo, di quei gruppi che per i loro bassi interessi tutto faranno, tutto tenteranno perché Carbonia cada’
Interessante anche la breve storia dell’Azienda, appena delineata nel discorso del commissario Sanna, e il quadro di azione in cui essa si muove,  ‘L’ACaI svolgeva prima dell’armistizio attività di ricerca in Toscana e in  Albania; io venni eletto in aprile commissario  per l’ACaI, nelle  regioni liberate, e commissario della Carbosarda nell’isola…e potei rilevare un passato di errori abusi e sperperi di ogni specie, su queste aziende, che occorre portare oggi, e siamo già in questa via, ad una attività sana, economicamente e moralmente. La Commissione mineraria alleata di Carbonia, costituita da tecnici minerari e meccanici di valore, ci affianca lealmente e io son del parere che tutte le attività ACaI in Sardegna, e cioè Carbosarda, Ferrovie Meridionali sarde, Istituto Case Popolari, ACaI bonifiche, Stabilimento per la distillazione a Sant’Antioco, vengano riunite in un unico ente, con sede a Carbonia, lasciando a Roma solo un ufficio di rappresentanza e di collegamento coi ministeri 1).
Per giungere poi, in  questa prospettiva di grande apertura, a toccare il vero  tasto dolente della condizione del Sulcis,  la fine di ogni rapporto tra Azienda e amministrazione della città, come scelta immediata, la fine di ogni ‘interferenza da parte dell’ACaI e della  SMCS nella amministrazione pubblica di Carbonia’. La Società mineraria, si disse in quell’occasione, avrebbe dovuto ‘estraniarsi del tutto dalla vita politica della città, e solo interessarsi di problemi tecnici, cedendo in particolare tutto il territorio sotto il suo controllo al Comune e non costruendo più altre case SMCS’. Solo così Carbonia sarebbe diventata città libera,  con  una popolazione finalmente stabile, come  scrive  Salvatore Fois in ‘Carbonia città libera’, L’Unione Sarda 27 luglio 1944, ancora  in prosecuzione del discorso di Emilio Lussu. Carbonia libera dalla SMCS: ‘ritengo poco morale che l’Ente più direttamente soggetto ai diversi tributi comunali, debba comunque interessarsi alle faccende amministrative del Comune stesso… E’ necessario che la SMCS lasci al Comune la libertà di amministrare il bene pubblico…E’ necessario creare una popolazione stabile, e molto vi è da fare in questo senso, perché buona parte dei cittadini hanno ancora la mentalità degli avventurieri, per i quali Carbonia rappresenta un qualunque punto di appoggio per fare danari con qualunque mezzo, pur che sia rapido. Di questa gente di tutte le risme e di tutte le categorie la città ne ha ancora molta, mentre  quelli che non sono riusciti, persistono a ritenere possibile, o probabile, ogni qualsiasi avventura che li rimandi pingui di danaro ai loro paese d’origine’. E ancora in prosecuzione, il 3 agosto 1944, ‘Verso la socializzazione di Carbonia’, lo stesso autore entra nello specifico della proposta, dandole un suo significato, ‘per la socializzazione di Carbonia,  che non vuol dire statalizzazione, non si può intendere il modello delle grandi aziende statali russe’, piuttosto ’suddivisione delle diverse attività affidate a singole cooperative di lavoratori  con amministrazioni proprie, facenti capo ad un consorzio, con compiti di controllo tecnico-amministrativo’. Onde porre fine alla ‘turba di appaltatori e di profittatori e ad ogni altra interferenza di natuta politica’ 2). Per poi riprenderlo ancora Emilio Lussu, il discorso su Carbonia, nel successivo viaggio in città, il 5 ottobre, come leggiamo su L’Unione Sarda del 7 ottobre 1944, precisando di nuovo i termini della socializzazione aziendale e della gestione operaia, nonchè l’assoluta autonomia della città rispetto all’ACaI.
E frequentavano Carbonia il ministro comunista Antonio Mario Pesenti, ministro delle Finanze nel secondo governo Bonomi, Ieri il ministro Pesenti a Carbonia, titolava l’Unione sarda del 31 marzo 1945, che di nuovo interveniva sullo stato delle miniere di Carbonia e di Iglesias 3)  e  il socialista Giuseppe Saragat, celebre il suo atto d’accusa contro la dirigenza SMCS, ‘una  mentalità fascista….che, in omaggio alle gerarchie di valori, considera il produttore operaio un paria e l’azzeccagarbugli, o il ruffiano, come della gente perbene’ . Per giungere poi alle presenze via via sempre più numerose dei dirigenti Velio Spano,  Renzo Laconi e Nadia Gallico Spano. E a ncora Lussu e Romita nel luglio 1945, tra comizi e conferenze di partito 4).
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NOTE..

1)Vedi L’Unione Sarda, Emilio Lussu a Carbonia, 17 luglio 1944.
2)Vedi Salvatore Fois, L’Unione Sarda, l’Avvenire di Carbonia, 21 luglio 1944 e Carbonia città libera 27 luglio 1944 e verso la socializzazione di Carbonia, 3 agosto 1944. Vedi  L’Unione Sarda, 7 0ttobre 1944 e L’Unione Sarda, 21 settembre 1944
3) NOTA Vedi Relaz trimestrale regia prefettura gab1168 gennaio marzo ‘45, cart 17 fasc 63-(64)
4) luglio 45, Regia pref ca gab 2632 cart 17, fasc 64).

18) Il Comitato di Concentrazione Antifascista a Carbonia, riflette i caratteri dei Comitati sardi    -16 agosto  4

Dai primi incontri fra le forze politiche cittadine prese corpo anche a Carbonia, nell’ottobre del 1943,  il Comitato di Concentrazione Antifascista, formato da sette membri rappresentanti dei partiti democratici, che avrebbe dovuto procedere innanzitutto alle epurazioni. Così, come in tutto il Mezzogiorno liberato, sulla base di accordi stabiliti   a livello generale,  fra le persone fortemente compromesse col regime in città, sarebbe stata esaminata la posizione di due fascisti, Pasqui e Cioni, già ingegnere della Carbosarda quest’ultimo, entrambi ’squadristi e sciarpa littoria’. Nei confronti dei quali non ci sarebbe stato alcun provvedimento di carattere censorio, nè tantomeno di natura punitiva, come da qualche parte invece richiesto, specie tra gli operai, cui il comportamento dei due, durante il fascismo, era a tutti ben noto: sede nuova assegnata loro, la direzione mineraria di Bacu Abis. Mentre si registrano ancora episodi ‘di manifesta adesione al disciolto partito fascista, parole inneggianti al suo capo: a Sant’Antioco, arrestati i responsabili e sono in corso provvedimenti per l’invio al campo di concentramento di quei maggiori responsabili fascisti, che ancora tentano di svolgere attività politica’ 1)Nota (Prefettura ca 29.2.44 gab 411/1.ll’on Ministero Interno a Salerno cart 17, fasc 63.
E poi, tra gli impegni del Comitato, apertura del dialogo  sulla città e i suoi gravi problemi,  la questione degli approvvigionamenti, la mancanza di abitazioni per centinaia di lavoratori. Una sorta di governo provvisorio, in quanto emanazione dei Comitati di Liberazione Nazionale, come spiega bene Renzo Laconi, da poco rientrato in Sardegna ed eletto Commissario della Federazione del Partito comunista di  Sassari: ‘Nei primi mesi  del ‘44 questo organismo si chiamava ancora  Comitato di Concentrazione Antifascista, ma poi la rapida evoluzione  della situazione politica e militare, il passaggio delle forze dell’antifascismo dalla posizione di resistenza all’attacco e all’aperta battaglia, li tramutò in Comitati di Liberazione’ 2).  E L’Unione Sarda del 24 ottobre 1944 precisava: ‘Strumenti di coesione e di coordinamento tra i partiti nella lotta comune per la ricostruzione’, essi tuttavia ‘non devono ingerirsi nelle attività delle amministrazioni comunali, essi devono essere informati quando si tratti di questioni politiche o abusi o irregolarità’. E c’è incompatibilità tra la carica di assessore e quella di membro del Comitato di Liberazione, ‘che vigila sul disagio della popolazione per prevenire  ogni forma di violenza, e vigila anche  nei confronti delle amministrazioni locali’. E poichè si trattava di un organismo unitario, i cui esponenti venivano liberamente  espressi  dai singoli partiti, sarebbero stati sopratutto i rappresentanti comunisti, Pirastru, Suella e Mangiardi,  a battersi per far assumere al Comitato un ruolo e un indirizzo ben definito, che tuttavia gli Alleati occupanti avrebbero sempre stentato a  riconoscergli: formulare proposte sui problemi della città, sulla composizione delle Giunte municipali, sui nominativi dei sindaci. Impegnato come era, il partito, in tale direzione, fin dal Primo Congresso regionale sardo  di Iglesias nel 1944, secondo una linea politica che così viene riassunta da  Il compagno, numero unico del 13 aprile 1944: ‘E’ stato anche  deciso di continuare a collaborare nei Comitati di Concentrazione Antifascista con gli altri partiti, specialmente con quelli di sinistra, Partito Socialista Italiano e Partito d’Azione, per intensificare la lotta contro ciò che ancora rimane del fascismo nelle istituzioni politiche  ed economiche del paese’3).
Ed a Carbonia comunisti e socialisti si impegnarono per fare del  Comitato ‘un nuovo organo autonomo e diretto della nuova democrazia popolare’, così come già si era espresso Renzo Laconi, nell’appena  citato ‘Sui Comitati di liberazione’. In effetti il suo antifascismo è già fortemente sottolineato con la designazione di Andrea Nicoletti a sindaco della città, ‘perseguitato e al lungo confinato dal fascismo: poiché è stato reso noto pubblicamente ieri che il sindaco da qualche giorno è stato destituito, per non avere mai saputo tutelare con imparzialità e giustizia gli interessi della popolazione, preferendo soltanto i suoi particolari interessi commerciali, chiediamo alla giunta comunale, che lo sostituisce temporaneamente in attesa del nuovo sindaco, se può darci chiarimenti in merito’. Cui segue la proposta del nome di Andrea Nicoletti a sindaco, che sarà poi approvata dalla Giunta comunale e dal prefetto stesso.4) NOTA Vedi L’Unione Sarda del 29 luglio 1944 e del 10 agosto 1944.
Così, tra l’avvicendarsi in modo alterno dei commissari prefettizi in città, le giunte municipali avrebbero avuto a capo, come sindaci, il ragionier Guido Scano nel maggio del 1944, il dottor Andrea Nicoletti, in agosto,  e poi Ottavio Cucca a dicembre, ancora su proposta del Comitato comunale inviata al Prefetto di Cagliari.5)
Riferimento politico più diretto  per il Comitato cittadino è il Comitato provinciale di Concentrazione antifascista, che collabora con i rappresentanti del governo in Sardegna e con il Comando militare alleato. Ma quanto la sua presenza sia tenuta in considerazione da dette autorità, lo dimostra la visita  del prefetto a Carbonia, messa in risalto dall’Unione Sarda del 24 novembre 1944, che incontra il Commissario prefettizio,  il comandante del gruppo dell’arma, il commissario di pubblica sicurezza e poi visita il Maggiore Max E. Mathws, capo divisione della Commissione alleata per le miniere di Carbonia e il tenente colonello Price, capo del Comando provinciale e della Commissione alleata, infine il Commissario regionale alleato,  colonello Pennycuick. Solo  a margine l’incontro col Comitato di Liberazione cittadino, in tal modo  confermandosi ‘il carattere moderato dell’antifascismo locale e il terreno arretrato sul quale inevitabilmente si veniva costruendo il postfascismo’, come sostiene molto bene Girolamo Sotgiu. Che, riportando  le parole di Luigi Pirastu, allora vicedirettore de l’Unione Sarda, così prosegue, nella sua ‘Storia della Sardegna durante il fascismo’:  ‘tutto si svolge come prima, con le solite famiglie che dominano il paese, con il maresciallo dei carabinieri che guarda dall’alto la mischia volgare e con il popolo tenuto in disparte, come se queste cose non lo riguardassero’ 6) La stessa preoccupazione in Renzo Laconi, ancora nello scritto Sui Comitati di Liberazione: dopo le prime attese e le speranze iniziali, una nascita stentata,  perché ‘non vi era stata  in Sardegna durante il fascismo nè organizzazione, né vera lotta illegale’. Ed i Comitati rischiano di diventare allora ‘il risultato di un’intesa personale tra esponenti del vecchio antifascismo,….organi di raccordo con le autorità locali’ che, oltre ad escludere le masse dal governo della città, svolgono solo funzioni burocratiche.  Ed ancora, ‘chiesuole, senza contatti con il popolo, per la loro propensione alla collaborazione acritica’. Molto duro nella critica anche Giuseppe Dessì,  ‘poichè i Comitati non potevano essere riconosciuti se tutti i partiti non vi erano rappresentati…..i buoni villici si mettevano l’accordo tra loro….. Ne sortì, in genere, qualcosa di estremamente artificioso e fittizio’, perché a rappresentare i cittadini non erano ‘uomini stretti da un’idea’, ma individui  legati ‘da interessi personali o di gruppo’. Ed ancora, ‘i Comitati di concentrazione  non avevano affatto l’autorità che avrebbero dovuto avere e furono tenuti in poca considerazione sia dai prefetti, sia da tutti gli enti di diritto pubblico, nonché dalle autorità militari’ 7)
Anche a Carbonia quella condizione di incertezza, come la definisce lo storico Mario Vinciguerra,  nel saggio ‘Da Badoglio all’esarchia’, parlando dei Comitati nelle città del Mezzogiorno liberato: quello ’stato di cose artificioso e illusorio, poiché il popolo non era stato interrogato, né certo poteva essere chiamato alle urne prima che la nazione  avesse completamente riacquistato l’indipendenza, cosa che avvenne solo a gennaio del 1946,  con la cessazione dell’amministrazione militare alleata nelle province settentrionali 8). Tale sembrava il destino dei Comitati nell’Italia liberata e in Sardegna. E sempre scarsamente collaborativo, anche a Carbonia, il rapporto tra le sinistre  e gli altri partiti, non intendendo, sardisti e democristiani, valorizzarne le funzioni. A Carbonia la fine della guerra al centro del dibattito sull’Italia futura e sul  futuro della miniera, che già delinea gli schieramenti cittadini in opposizione fra loro. Sopratutto di fronte alle prime  rivendicazioni operaie,  fortemente intrecciate, questa volta, alla lotta contro il mercato nero, l’aumento dei prezzi e per il miglioramento delle razioni alimentari. Lo scenario è quello di un tessuto sociale cittadino così devastato durante la guerra, che va ora  lentamente ricostituendosi,  per prepararsi alla pace e al buon governo, già provando a praticarlo attraverso il Comitato di Liberazione. Almeno secondo gli intenti delle sinistre, che non avrebbero tuttavia trovato risposta adeguata e sufficiente nei rappresentanti delle altre forze politiche, più propensi, semmai, ad accordarsi con l’azienda e a subire le imposizioni degli alleati occupanti.
Gianna Lai

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