Carbonia. Da partito di quadri a partito di massa, in città le prime esperienze dei comunisti

7 Giugno 2020
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Gianna Lai

 

 Altro momento importante della storia di Carbonia: la nascita del partito comunista. I precedenti articoli ogni domenica dal 1° settembre 2019.

 


Partito di quadri nella clandestinità e nella lotta contro il fascismo, il PCI diveniva ora  organizzazione  impegnata a costruire una democrazia progressiva, ‘per scardinare dal basso, con l’apporto decisivo delle masse popolari, il vecchio Stato accentrato, dinastico, autoritario’. E proprio su come costruire il nuovo grande partito  e svilupparne l’azione, su come dare gambe a questa idea di un profondo radicamento a livello popolare, che  si sarebbero presto manifestate le prime difficoltà e incomprensioni anche a Carbonia. Il modo, cioè, di intendere il PCI come partito di massa e insieme  di quadri, secondo le indicazioni di Palmiro Togliatti  e di tutto il gruppo dirigente nazionale.  I più tradizionalisti infatti, tra i quali Vincenzo Pirastru, legati a una concezione ancora settaria e centralizzata del partito della clandestinità,  non sapevano cogliere il valore insito in questa idea di nuovo partito a forte caratterizzazione popolare, né di come esso potesse articolarsi, nella costruzione dell’Italia post fascista, di fronte ai diversi soggetti sociali e politici da coinvolgere, operai, contadini, intellettuali e ceto medio. I più tradizionalisti erano fermamente convinti di dover rifiutare l’iscrizione al partito a tutti coloro che avessero avuto la tessera  fascista e si scontravano duramente, perciò,  con i dirigenti più giovani, secondo i quali, invece, avrebbero dovuto essere esclusi dal partito solo le persone realmente compromesse col regime, essendo stata l’adesione al fascismo obbligatoria, se si voleva trovare o mantenere un posto di lavoro. ‘Perché, in base a quella logica, il 90% degli italiani era da condannare e noi non avremmo potuto costruire né il grande partito né una grande democrazia, che portassero  gradualmente alla trasformazione della società’, dice Renato Mistroni, ricordando come quell’acceso dibattito coinvolgesse tutte le sezioni cittadine. Ed anche la democrazia interna poteva svilupparsi solo concependo il lavoro politico come continuo coinvolgimento di simpatizzanti e di iscritti, capaci poi di divenire nuovi dirigenti, per gestire le  istanze  intermedie dell’organizzazione,  per costruire un vero partito di quadri e di massa. Contro una  visione verticistica, che  tendeva invece ad accentrare ancora la direzione dell’attività politica tutta nelle mani di pochi,  come apprendiamo dal Verbale della riunione  20 febbraio 1944, quando Enzo Montagna individua in un  Comitato direttivo ‘poco numeroso e sovraccarico di responsabilità’, le ragioni del cattivo funzionamento e della disorganizzazione della sezione. E, rivolgendosi a chi accusava  il segretario provvisorio, Vincenzo Pirastru, di incompetenza, sottolineava come la vera mancanza del direttivo in carica consistesse  piuttosto nel non essersi fatto sostenere, ‘coadiuvare da altri elementi già esistenti a Carbonia  e di non essersene servito opportunamente’. E siccome, in una precedente riunione ristretta, la rosa dei nomi per l’allargamento del direttivo ad altri 8 membri era già stata definita, Pirastru, Montagna, Contorni, Poletti, Alcidi, Suella, Corona, Murgia, Mongittu, Tolu e Arrius, avrebbero composto da quel momento il nuovo direttivo allargato, tutti provenienti dall’organizzazione dell’antifascismo clandestino. Il primo Comitato direttivo eletto dall’Assemblea degli iscritti all’unanimità, essendo stato, il precedente, costituito in modo provvisorio, nelle prime settimane di vita del partito. D’ora in poi, le assemblee generali e di cellula, che ci si proponeva di convocare ogni domenica, avrebbero avuto il compito di discutere ed approvare il  lavoro svolto dal Comitato direttivo e, quindi, quello di  garantire una gestione più democratica del partito e più aperta alla militanza degli iscritti operanti nelle varie realtà sociali. Ai quali pertanto si assicurò, da allora in poi, ‘il funzionamento quotidiano  della sezione cittadina, mattina e pomeriggio’, mentre ci si impegnava nello svolgimento delle riunioni allargate, presso i dopolavoro operai distribuiti nei vari quartieri, fin da subito tacitamente ‘occupati’, in occasione delle assemblee dei lavoratori.
La ricomposizione interna consolidò il partito e ne avrebbe presto accreditato, tra i lavoratori in città, l’immagine di forza organizzata e credibile, dimostrando come poteva man mano maturare, anche a Carbonia, una linea di riferimento al quadro politico nazionale. Quella volontà delle sinistre di imprimere una svolta radicale alla guerra e alle scelte governative dei gruppi più tradizionalisti, verso la costruzione di un’Italia democratica e dell’uguaglianza fra i cittadini.
Naturalmente l’elaborazione della linea politica  e della sua verifica in città, era compito del Comitato direttivo che, una volta allargato a un numero più ampio di dirigenti, vedeva ciascuno responsabile di un settore specifico, dell’organizzazione, dell’amministrazione, stampa e propaganda, lavoro operaio e sindacato. Ma nel mentre le istanze intermedie, impegnate in un’azione assidua nella miniera e nella città, spingevano per l’istituzione di una vera e propria Scuola quadri, che caratterizzasse politicamente tutta l’esperienza organizzativa del PCI  a Carbonia. Giovani dirigenti impegnati a promuovere, attraverso la maturazione degli iscritti,  nuovi attivisti più istruiti e consapevoli, ‘affinché tutti sappiano cosa vuol dire comunismo, quali i diritti e i doveri di ogni compagno’. Per un rapporto diretto fra Comitato direttivo e  istanze intermedie, dunque, ‘mancando tuttavia la forza di allargare ancora le nostre attività,  fin  dalla Scuola di partito, dice Renato Mistroni, di cui, naturalmente,  non eravamo grandi esperti, dedicando spazio, in particolare nei primi tempi, alle lezioni di storia e agli interventi sulle modalità dell’organizzazione partitica’.
Questa la prima fase di crescita, una volta che già il lavoro in sezione tentava di articolarsi sulle attività delle singole commissioni e, in particolare, di quella operaia, la prima ad essere costituita  ed a funzionare assiduamente, per promuovere e discutere i problemi della  miniera, il responsabile, come abbiamo visto, inserito nel Comitato direttivo. E l’attività  della Commissione operaia cittadina come primo impegno, che illustra il suo programma di lavoro tra i minatori,  partendo dalla storia delle organizzazioni operaie, partiti e sindacati, struttura degli  organismi dirigenti. Tutti temi ricorrenti di un intenso dibattito, che andò man mano sviluppandosi, sopratutto quando si stabilirono col Partito comunista nazionale i primi rapporti, destinati a rafforzarsi nel tempo e ad ispirare le scelte politiche dell’intero movimento operaio sulcitano. Queste le prime esperienze politiche dei comunisti in città, nei mesi immediatamente successivi all’armistizio, allorché si stava  già pensando alla costruzione delle strutture intermedie dell’organizzazione, per rendere concreto e attuabile

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