Little Richard, niente fu come prima

10 Maggio 2020
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Andrea Pubusa

Addio Little Richard, tra i padri del rock 'n roll © AFP

Little Richard ha fatto irruzione nella mia vita che avevo forse 14 anni e nulla fu come prima. Era ancora il tempo di “Vola colomba”, di “Mamma” e di altre sdolcinatezze e si affacciavano i nostri urlatori, Toni Dallara, Mina, Joe Sentieri e i Celentano e Gaber. La grande novità era stata “Volare” di Modugno, ma era un genere che non c’interessava. Per noi, il piccolo gruppo di amici a Carbonia, Little, con la sua  follia, la sua animalità, stava ai rockers bianchi come la pantera sta ai gatti. Non ci fu più partita. Neanche Elvis gli stava vicino. Era la musica nera che ci coinvolse e non ci abbandonò più, ci portò al blues e al jazz. Al paragone di quello del grande Little il “Tutti i frutti” di Elvis ci pareva una veloce filastrocca, inascoltabile, senza anima, priva di nerbo e di forza, la versione di Pat Boone un’offesa (tale la considerò pure Little). Anche la replica di Blueberry Hill di Fats Domino da parte di Elvis e molti altri bianchi ci sembrava improponibile. I Beatles ci parvero una filiazione geniale degli Everly Brothers, fighetti, tutto coretti e violini. Meglio i Rolling Stones, più vicini al blues, ma lontani, anch’essi anni luce dai blusman neri. Imparammo dalla musica, prima che dalla politica e dalla scuola, la grandezza della cultura nera e dei neri. Pensavamo allora e penso ancora che i cantanti che andavano per la maggiore nella (musicalmente) provinciale Italia (da Mina a Celentano) nelle chiese nere degli States non sarebbero stati ammessi neanche a far parte del coro.
Per noi ragazzi a fine anni ‘50/primi ‘60 era difficile sentire Little e gli altri afroamericani. Quei dischi di neri da noi non circolavano e per sentirli alla radio bisognava sintonizzarsi di notte con qualche stazione straniera. Solo qualche militare, specie i marinai, di leva portavano quei dischi, che la facevano da padroni nei nostri balli in qualche povera casa operaia di periferia. Serate senza pretese, qualche studente, molti apprendisti (barbieri, calzolai, muratori) poche studentesse molte donne di servizio, sartine, commesse, ogni domenica immancabilmente dalle 17 alle 20 (poi le ragazze andavano via, per loro iniziava il coprifuoco!) ma quanto divertimento e quanto movimento!
Grazie, Piccolo Grande Richard, non sai quanto ci hai dato!

Ecco un ricordo su Ansa di Paolo Biamonte

“Wop-bop-a-loo-mop-alop-bom-bom … Tutti frutti Aw Rutti”. Uno scat geniale, un urlo singhiozzante e carico di Swing che racchiude la furia e la gioia del Rock’n’ Roll, sillabe senza significato che compongono uno degli incipit di canzone più famosi della storia. In questa sorta di formula magica si racchiude la vita di Little Richard, uno dei Grandi Padri Fondatori del Rock’n'Roll, morto a 87 anni. Un personaggio fuori da ogni schema, con una vena di pura follia, che, come tutti gli artisti di colore dell’epoca, ha sempre giustamente lottato contro il mancato riconoscimento del loro contributo alla nascita di quella nuova musica che ha cambiato il mondo. All’anagrafe di Macon, Georgia, era registrato come Richard Wayne Pennyman, ma fin da bambino il suo soprannome è stato Little Richard. Un’infanzia difficile in un ambiente religiosissimo che non lo ha protetto dagli atti di bullismo subiti per i suoi modi effeminati e la sua andatura sghemba provocata da una congenita differenza di lunghezza delle gambe.
Il piccolo Richard si è accostato alla musica in chiesa e ha fatto una dura gavetta musicale nel circuito della musica nera. La sua fortuna è cominciata quando è andato a registrare a New Orleans nel leggendario studio di Cosimo Matassa, uno dei santuari del Rock’n'Roll, per registrare con gli stessi musicisti di Fats Domino. Nel settembre del 1955 incide “Tutti Frutti” e cambia la storia. Quel brano, così carico degli umori più potenti del Rhythm and Blues, è un successo immediato. Ma com’era abitudine nell’America segregata dell’epoca in cui la musica nera aveva una classifica a parte, il brano fu affidato a cantanti bianchi e così anche Little Richard fu colpito dalla nemesi di Elvis: una volta inciso da “The King” per il pubblico “Tutti Frutti” diventò un brano di Elvis. Come per altri padri del Rock’n'Roll, come Fats Domino o Jerry Lee Lewis, il periodo d’oro di Little Richard è a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60: incide capolavori come “Long Tall Sally”, “Slippin’ and Slidin’”, “Good Golly Miss Molly”: il suo stile era unico. Suonava il piano con furia, aveva un look eccessivo ed ambiguo che ha fatto da modello per generazioni, cantava con un tono acutissimo, come se fosse sempre sull’orlo di una di quelle crisi che travolgono le donne delle cerimonie gospel, esibiva la sua ambiguità sessuale. Una figura dirompente con una carica erotica disturbante per l’America puritana dell’epoca. Sui suoi brani è stato costruito l’edificio del Rock’n'Roll ma anche Little Richard non ha avuto quello che meritava. A complicarsi la vita ci ha pensato anche da solo, soprattutto dopo essere diventato un divo. Crisi religiose che lo hanno portato a lasciare la musica, abusi di droga, una vita sessuale piuttosto complicata che gli ha dato anche qualche problema con la Giustizia. Ha contribuito a inventare il Rock’n'Roll ma non ha saputo adeguarsi ai tempi che cambiavano, anche se le sue intuizioni sono state decisive per gli sviluppi futuri della musica Black.
Una vita costellata di incontri, follie, episodi incredibili: fare con lui un discorso coerente non era facile. La sua voce si impennava in una risata inquietante come quando, ai tempi in cui arrivò a Roma come ospite del “Fantastico” di Celentano, e ammise la verità su uno degli errori più clamorosi della sua carriera di band leader: il licenziamento di Jimi Hendrix. “La verità è che ero geloso: mi rubava la scena, avevo capito subito ch’era un genio”. Risata. All’epoca, Jimi, che era ancora un oscuro session man in cerca di gloria, aveva raccontato una versione molto più prosaica: non aveva ricevuto il compenso pattuito. Molti soldi, pare, gli arrivarono da Michael Jackson che, come aveva fatto per quelle dei Beatles, si era comprato i diritti delle sue canzoni. Nonostante gli eccessi e i clamorosi Up and Down della sua vita leggendaria (raccontava che in una delle sue conversioni buttò in un lago tutti i suoi gioielli) ha continuato ad esibirsi fino a poco tempo fa, anche se aveva qualche problema di salute. Con Little Richard se ne va un altro dei padri fondatori del Rock’n'Roll, un artista che ha scritto la colonna sonora di un’epoca in cui la musica annunciava al mondo che usciva dalla guerra che i giovani erano i nuovi protagonisti della società. E che, nella sua follia, è stato anche uno dei primi ad aver intuito la potenza dell’immagine.

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