Marco Sini
In occasione delle iniziative per 70° anniversario della Liberazione dal nazifascismo del 25 Aprile 2015, nel corso di un incontro tenutosi a Pirri su “La Resistenza e i Partigiani sardi” uno storico, docente universitario, aveva posto e sostenuto il tema della Resistenza e della guerra di Liberazione anche come “guerra civile” riprendendo una argomentazione proposta da Claudio Pavone e ripresa da altri storici.
Qualche giorno dopo ricevetti una lettera personale di un caro amico (e compagno) che aveva presieduto il convegno.
Nella lettera mi scrisse:
Caro Marco,
Mi ha colpito molto, l’altro giorno, la reazione quasi scandalizzata di Franco Boi e tua, alla definizione della Resistenza come guerra civile proposta dallo storico nel corso del suo intervento. Capisco la necessità di affermare che “noi” eravamo la nazione e “loro” erano la barbarie, ricordo l’intervento di Togliatti, appena giunto in Italia che disse ai partigiani che dovevano smettere di chiamarsi “ribelli” e definirsi “patrioti” e che si scelse Garibaldi come simbolo proprio per rafforzare il concetto. Credo, comunque, che quella vissuta dall’Italia sia stata proprio una guerra civile provocata da un re carogna e da una piccola borghesia impazzita. Quelli che resistettero all’inizio erano anche una minoranza che riuscì a vincere grazie al suo eroismo e anche alle circostanze. Se penso a quanto è successo dopo il 25 aprile mi pare di poter dire che neppure quella data riuscì a chiudere la partita, purtroppo. Io cerco di non essere prigioniero di nessun nominalismo. Naturalmente nelle uscite ufficiali non parlerò mai di guerra civile perché sono abituato a fare squadra ma un’idea sul tema me la sono fatta e con te posso parlarne e chiederti una opinione compiuta. Naturalmente sono pronto a mutar parere dinanzi ad argomenti convincenti. Saluti partigiani.
La mia risposta
Caro amico,
In merito ai tuoi interrogativi che prendono spunto dall’intervento del Professore di Storia, peraltro molto ben strutturato e al quale purtroppo non ho potuto (e voluto) rispondere direttamente nella mia replica perché aveva già lasciato la sala, e che comunque avrà questa nota di risposta ai tuoi interrogativi, ti rispondo in modo semplice. Oltre alla considerazione, che condivido, fatte da Franco Boi nell’incontro di Pirri, sulle caratteristiche che una guerra deve avere per essere definita una “guerra civile”, ad esempio la guerra civile americana dove si combatteva fra americani, nordisti e sudisti ma pur sempre americani, o quella spagnola, dove si combatteva fra spagnoli, tra spagnoli repubblicani e spagnoli franchisti, ne aggiungerò anche un’altra che purtroppo non ho avuto modo di esprimere per ragioni di tempo (la sala si stava svuotando) e perché non mi piace replicare polemicamente all’interlocutore che ha posto il tema se è assente. La guerra partigiana e, più in generale, la guerra di liberazione condotta dopo l’8 settembre del 1943 dalle formazioni partigiane, da spezzoni del Regio Esercito italiano del sud e da spezzoni dell’ex esercito italiano, ricostituito con l’apporto di tanti giovani volontari, come Corpo dei Volontari della Libertà (CIL) nelle regioni del centro nord, in simbiosi con gli eserciti alleati, era nelle intenzioni, ed è stata nella realtà, una guerra condotta contro un esercito straniero occupante, la Wehrmacht tedesca unitamente a formazioni delle SS e della Gestapo che dopo l’armistizio dell’8 settembre hanno occupato l’Italia. Una guerra dunque finalizzata a cacciare dal suolo patrio un esercito occupante straniero. Questa è la ragione originaria per cui si parla di “guerra di Liberazione”. Il fatto che Hitler abbia liberato Mussolini ed abbia di fatto costituito, nel centro nord, la RSI (Repubblica Sociale Italiana) con a capo il “liberato” Mussolini ed abbia schierato l’esercito repubblichino con a capo il Maresciallo Graziani e con la GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) e altre famigerate e sanguinarie formazioni fasciste come la Muti o la Decima MAS, al fianco e al servizio dell’esercito tedesco occupante, non alla pari ma come esercito “ausiliario”, non è sufficiente a connotare quella guerra come guerra civile fra due eserciti o fazioni di italiani. Inoltre è ben documentato il fatto che per la “repressione anti-partigiana” fino al maggio del 1944 il compito sta in capo al “Comando Anti-partigiano delle SS” e solo dopo il mese di maggio questo comando si accentrerà nelle mani di Kesserling (cfr. Giorgio Bocca, Storia dell’Italia Partigiana – Parte I).
Ciò è confermato dalla dichiarazione di Julio Valerio Borghese, comandante della Decima MAS: “Nella Repubblica sociale italiana la funzione amministrativa dell’esercito dipendeva da Graziani, mentre quella operativa per l’impiego dei reparti, dipendeva dall’autorità germanica, […] Noi, per poter impiegare i reparti in operazioni belliche, dovevamo ottenere l’autorizzazione dal Comando tedesco e lo stesso dicasi per i rastrellamenti e le azioni anti-partigiane” (cfr. Zara Algradi, Processi ai fascisti- Parenti, Firenze 1958, pag.199) Fino al periodo compreso fra il 25 luglio e l’8 settembre, cioè dalla caduta di Mussolini e formazione del governo Badoglio e graduale caduta del regime fascista fino al momento dell’armistizio ed al cambio delle alleanze dell’Italia, c’è stata in diverse forme e atti opposizione al fascismo da parte di antifascisti, ma non c’è stata una guerra, nell’accezione compiuta del termine, fra antifascisti e fascisti, né tanto meno fra due eserciti contrapposti formati entrambi da italiani. Se ciò fosse accaduto si sarebbe potuto parlare di guerra civile, tra fascisti fedeli a Mussolini, che non accettano quello che hanno definito il “golpe” del 25 luglio, e gli anti-fascisti. Ma ciò non è accaduto. La Resistenza, con la costituzione delle formazioni partigiane e degli spezzoni dell’esercito, si colloca, subito dopo l’8 settembre del 1943 e insieme agli alleati, contro l’esercito tedesco di occupazione non già contro l’esercito “italiano” della RSI, che, tra l’altro, era ancora in formazione e che sarà solo ausiliario! Il concetto di guerra civile intercorso tra l’8 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945 è stato fino all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso il cavallo di battaglia dei fascisti del MSI (Movimento Sociale Italiano) e anche di altri settori della destra moderata italiana (PLI e componenti di destra della DC). A questa definizione si sono sempre opposti i Partigiani e l’ANPI e tutte le forze della sinistra storica, dal PCI, PSI, PSIUP, PSDI fino al PRI, e della nuova sinistra (Manifesto, PdUP, DP) fino a quando uno storico di sinistra, Claudio Pavone, partigiano combattente della Resistenza, in alcuni scritti a partire al 1990 non introdusse il concetto di guerra civile come categoria della guerra partigiana e ad un suo lavoro di ricerca sulla guerra partigiana uscito nel 1994 diede il titolo “Una guerra civile”. Come era logico, questo titolo che Pavone diede al libro sollevò un grande dibattito a sinistra nel quale alcuni sostennero la bontà della tesi di Pavone mentre altri, ad esempio Norberto Bobbio, quella tesi contestarono. Quel titolo e quel libro vennero dopo accurate ricerche ma anche dopo una fitta corrispondenza epistolare che intercorse tra i due a partire dal 1965. In particolare, così come è riportato nel recente libro pubblicato quest’anno (2015) e curato da David Bidussa “Bobbio-Pavone, sulla guerra civile – La Resistenza a due voci”, Bobbio in una lettera a Pavone del 1983 collocò la Resistenza italiana come guerra di Liberazione nazionale dall’occupazione e dall’oppressione straniera sullo stesso piano delle altre Resistenze europee che si erano sviluppate nei paesi occupati dalla Wehrmacht tedesca. Bobbio individuò anche altre due caratteristiche che distinsero la Resistenza italiana da quella degli altri paesi europei: il suo essere stato anche un moto popolare antifascista e di emancipazione sociale. Claudio Pavone non contestò questa osservazione di Bobbio e nella lettera del 12 maggio del 1987 gli scrisse che in effetti i suoi dubbi (di Bobbio) sulla attribuzione del carattere di guerra civile alla guerra partigiana erano anche i suoi e riconobbe che il concetto di guerra civile per lui non aveva un carattere esaustivo del caratteri della Resistenza ma che ne era componente importante. Aggiunse, Pavone, che la Resistenza ebbe un carattere morale e che in molti partigiani convivevano nella stessa persona il carattere patriotico e quello di classe. Lo stesso Pavone nel 1991 era intenzionato a dare come titolo alla sua opera “Le tre guerre” dove convivevano il carattere di Liberazione “Patriottica” contro l’occupante straniero tedesco, la guerra civile contro la dittatura fascista e quello di classe per l’emancipazione sociale. Poi è prevalsa invece l’idea di mettere da parte quel titolo originario e di dargli il titolo “Una guerra civile. Saggio sulla moralità della Resistenza”, uno scritto che ha profondamente segnato la storiografia. Ma a chi, come Pavone ed altri storici, anche di sinistra, e alla destra e centrodestra italiano che usa il termine di guerra civile per definire il conflitto armato che nella penisola italiana ha avuto inizio dopo l’8 settembre del 1943 ed è terminato ai primi di maggio del 1945 con la capitolazione della Germania di Hitler, oltre alla considerazione fatta in precedenza, si potrebbe porre il seguente interrogativo: perché la stessa definizione di “guerra civile” non è mai stata usata, neanche dall’estrema destra francese, per il conflitto armato che c’è stato in Francia fra la Resistenza guidata dal generale De Gaulle e da Jean Moulin, da una parte, e dall’altra l’esercito di occupazione tedesco e l’esercito “ausiliario” del governo francese di Vichy? Perché anche in Francia il conflitto era tra Resistenza francese e esercito occupante straniero. Ciò non significa che non ci sia stato conflitto armato e guerra anche fra italiani, o fra francesi, partigiani da un lato e fascisti dall’altro. Ma questi sono episodi di una guerra altra, non la guerra civile italiana o francese!!
Marco Sini
9 Maggio 2015
3 commenti
1 Valerio Sartini
8 Maggio 2020 - 18:22
Condivido le considerazioni di Marco : la guerra di liberazione dall’8 settembre 1943 all’ aprile 1045 , pur con gli scontri avvenuti tra le formazioni partigiane e anche gruppi armati fascisti della R.S I.,era essenzialmente motivata dall’alto valore patriottico di liberare l’Italia tutta dall’esercito tedesco occupante .
Chiari invece gli esempi di guerra civile americana e spagnola.
2 Franco Boi
9 Maggio 2020 - 11:03
Le tesi esposte da Marco Sini, che ringrazio, sono anche quelle che TUTTE le Associazioni Partigiane hanno sempre sostenuto con grande convinzione e fanno parte, tuttora, del nostro DNA! Con grande chiarezza egli ricorda il dibattito che c’é stato nel merito e l’intervento decisivo di un personaggio che risponde al nome di Norberto Bobbio. In un mio mio scritto recente su FB ho parlato del 25 Aprile come Festa di tutti gli Italiani che, appunto. sentono il 25 Aprile come LIBERAZIONE sia dal nazifascimo che dalla occupazione tedesca dell’Italia. Un cordiale saluto a Democrazia Oggi .Franco Boi
3 Dino Garau
9 Maggio 2020 - 22:32
A sostegno della tesi sostenuta da Marco Sini ed altri sento il dovere di riportare il pensiero di mio padre Nino Garau, il comandante partigiano Geppe ora novantaseienne.
Mio padre sostiene che la loro è stata una guerra di liberazione rifiutando con fermezza le tesi che la definiscono una guerra civile sostenendo energicamente che vi fossero due nazioni, di comune origine, che si fronteggiavano sul territorio italiano.
Una era l’Italia libera, alleata con le nazioni che combattevano contro i nazi-fascisti, e l’altra era la Repubblica di Salò, alleata ai nazisti.
I partigiani hanno combattuto come italiani che si riconoscevano nell’Italia liberata e quindi alleati alle nazioni che combattevano i nazi-fascisti.
Coloro che sostengono che la guerra di liberazione sia stata una guerra civile penso che, sostenendo le medesime tesi, debbano definire le guerre risorgimentali d’indipendenza che hanno portato alla creazione di un’Italia unita come guerre civili.
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