Gianfranco Sabattini
Jared Diamond, noto studioso di fisiologia e di biologia evolutiva dell’Università della California, dopo la pubblicazione di “Armi, acciaio e malattie” (1997) e di “Il mondo fino a ieri. Ciò che possiamo imparare dalle società tradizionali” (2013), ha pubblicato nel 2019 “Crisi. Come rinascono le nazioni”.
La parola “chiave” nella tesi di Diamond è quella di “selezione”; ciò perché non è “possibile, né auspicabile che gli individui e le nazioni – egli afferma - cambino completamente, abbandonando ogni aspetto della loro identità passata”; per rispondere alla sfida diventa allora necessario, tanto per gli individui quanto per le nazioni in crisi, “capire quali parti della loro individualità” risultino ancora appropriate per affrontarla, senza doverle modificare, e “quali invece necessitino di un cambiamento”. A tal fine, quindi, individui e nazioni dovranno trovare le risposte più convenienti e in armonia con la capacità, le caratteristiche e i valori propri di ciascuno di essi.
Il tipo di risposta da contrapporre alla crisi impone quindi la necessità di tracciare il “confine intorno agli elementi fondanti”, quindi non modificabili dell’identità di individui e nazioni; la modificabilità di tali elementi potrà peraltro essere assunta, se la necessità di un loro cambiamento parziale o totale, sulla base del consenso di tutti, è imposta dai rapporti di interdipendenza tra individui appartenenti ad una data nazione e tra nazioni diverse. Quanto sinora detto esprime solo l’area dei più importanti parallelismi tra crisi individuali e crisi nazionali; occorre però tener presente che esistono anche profonde differenze tra risposte individuali e risposte delle nazioni.
Affrontando l’argomento di cosa sia una crisi, dopo aver sottolineato come l’origine terminologica vada ricondotta al greco antico, col significato di “separare” e di “distinguere”, Diamond assume che tale termine possa essere adottato per definire “un momento di verità, un punto di svolta in cui la differenza tra la realtà che precede quel momento e la realtà che lo segue è molto più marcata che nella maggior parte degli altri momenti”. In questo contesto, perché sia definito crisi, ogni punto di svolta nella vita degli individui e delle nazioni deve essere connotato in termini della frequenza, dell’importanza e della durata; pertanto, il concetto di crisi può avere definizioni diverse, in funzione della dimensione di ciascuno di questi connotati.
Nell’esposizione della sua tesi, Diamond assume che il concetto di crisi sia definito dalla misura della frequenza, in base ad una scala temporale che va da pochi decenni a un secolo; inoltre, egli assume che, a livello di individui e di nazioni, una crisi coincida “con un’improvvisa presa di coscienza, o un’improvvisa reazione, al cospetto di tensioni che si accumulavano da tempo”.
Come già si è detto, individui e nazioni non sono la stessa cosa, in quanto – come osserva Diamond – “le nazioni non sono individui in corpo maggiore”; tuttavia, per quanto le differenze tra i primi e le seconde siano tante, può essere utile alle nazioni affrontare le crisi secondo la prospettiva delle modalità seguite dai singoli individui nel risolvere le proprie. Un tal modo di operare può offrire diversi vantaggi: il primo è costituito dal fatto che le crisi personali sono più familiari e, perciò, più immediatamente comprensibili; un secondo vantaggio è dato dal fatto che lo studio delle crisi personali può permettere di individuare alcuni “fattori predittivi”, tali da risultare “un buon punto di partenza da cui disegnare una mappa dei possibili sbocchi di una crisi nazionale”; un terzo vantaggio, infine, è espresso dalla possibilità che le modalità con cui i singoli individui riescono a uscire dalle proprie crisi, facendo appello alla loro esperienza, possano essere estese anche alle nazioni.
Esistono però alcune caratteristiche, proprie delle crisi nazionali, che fanno venir meno le analogie con le crisi personali; il motivo principale di ciò origina dalla circostanza che le nazioni, a differenza degli individui, solo attraverso decisioni collettive possono decidere quali risposte dare alle crisi, mentre i singoli individui riescono quasi sempre a trovare da soli una via d’uscita.
Tenendo conto delle analogie e delle differenza esistenti tra crisi individuali e nazionali, Diamond passa a narrare delle sfide e delle trasformazioni che nel corso di alcuni decenni hanno interessato sette nazioni moderne (Finlandia, Giappone, Cile, Indonesia, Germania, Australia e Stati Uniti); sfide e trasformazioni che Diamond ha studiato nella prospettiva del “cambiamento selettivo” seguito dai sette Paesi. Le risposte date alle sfide affrontate da tali Paesi sono utilizzate dall’autore per svolgere alcune valutazioni riguardo alla possibilità che tutto il mondo si attivi per evitare che alcuni problemi di rilievo globale arrivino a minacciare la sopravvivenza della civiltà; fra i problemi considerati da Diamond spiccano, per le loro implicazioni distruttive, i cambiamenti climatici, l’esaurimento delle risorse del pianeta e le disuguaglianze negli standard di vita.
I cambiamenti climatici sono destinati a condizionare in maniera decisiva l’esistenza dell’umanità nei prossimi decenni; l’origine di tali cambiamenti, secondo Diamond, è riconducibile alla consistenza della popolazione mondiale e al suo impatto medio pro-capite sull’ambiente, indicante quest’ultimo la quantità media di risorse consumate e di rifiuti “scaricati” da ciascun abitante del pianeta nell’arco di un anno. Questi parametri (numero di persone, quantità di risorse e produzione di rifiuti pro-capite) registrano una continua crescita; quindi – ricorda Diamond – “è in costante aumento l’impatto globale della popolazione umana sull’ambiente, in quanto l’impatto totale è il risultato del crescente impatto medio pro-capite moltiplicato per il numero crescente degli abitanti del pianeta”.
Tra i rifiuti importanti vi è l’anidride carbonica (CO2) prodotta dalla respirazione degli animali (uomo compreso) e rilasciata nell’atmosfera; è questa la causa principale del cosiddetto “effetto serra”, all’origine del surriscaldamento dell’intero pianeta e dell’aumento dei “fenomeni climatici estremi”, le cui conseguenze sono ormai nella consapevolezza di tutti: siccità, diminuzione delle produzioni alimentari, diffusione di frequenti epidemie (dovute al fatto che molti animali, veicolo di malattie, per sfuggire al trend del riscaldamento globale si stanno spostando verso le zone temperate densamente popolate) ed aumento del livello dei mari (a seguito dello scioglimento delle calotte polari).
Un’altra insidia della sopravvivenza dell’umanità è l’esaurimento, su scala globale, di alcune risorse indispensabili alla vita dell’uomo; si tratta di una minaccia simile a quella espressa dai cambiamenti climatici, aggravata dal crescente approfondimento delle disuguaglianze distributive tra le varie nazioni e, all’interno di queste, tra i vari gruppi sociali. Quest’ultimo fenomeno è strettamente connesso al modo in cui è stato governato il processo di globalizzazione delle economie nazionali, che, oltre ad essere divenuto motivo di instabilità politica e di guerre frequenti, ha dato luogo a crescenti spostamenti demografici, a loro volta causa di tensioni per le nazioni che occupano le aree del globo verso le quali tali spostamenti tendono ad indirizzarsi.
L’insieme di queste minacce e delle sfide che esse rappresentano per tutte le nazioni del mondo, non sono – sostiene Diamond – incontrastabili; la possibilità di affrontarle con successo dipende “in misura preponderante dall’azione dell’uomo”, che dovrà cambiare le modalità di produzione e gli stili di vita, in funzione dei quali sinora essi si sono evoluti. Il successo non dipenderà certo da un accordo siglato da due o più Paesi, ma dal coinvolgimento di tutte le nazioni di cui attualmente il mondo si compone; è questa la condizione perché possa aver successo qualsiasi sforzo in campo demografico ed economico. Da questo punto di vista, può risultare utile anche la globalizzazione, la quale, se da un lato ha concorso ad aggravare le minacce che attualmente pesano sulle sorti dell’umanità, dall’altro però, può anche contribuire al loro contenimento.
Il punto più preoccupante della globalizzazione è oggi – secondo Diamond – la diffusione delle conseguenze connesse alle minacce che le nazioni sono chiamate ad affrontare; minacce in gran parte dovute alle modalità con cui l’internazionalizzazione delle economie nazionali è stata sinora governata. La corsa all’accaparramento delle risorse, le guerre globali, la crescita degli agenti inquinanti, dei gas atmosferici, delle malattie e delle migrazioni possono essere contenuta (e, al limite, interrotte) solo attraverso un diverso orientamento della globalizzazione, utilizzando il suo potenziale contributo alle soluzioni da adottare per vincere le sfide con cui tutte le nazioni sono chiamate a confrontarsi; ciò nella consapevolezza che il mondo è una realtà composta da nazioni tra loro interdipendenti e che soltanto insieme possono decidere di autocondannarsi o di salvarsi.
A svantaggio dell’umanità, conclude Diamond, sta il fatto che non è ancora chiaro come intendano procedere le diverse nazioni del mondo, nonostante la consapevolezza ormai diffusa che oggi “restano meno decenni a disposizione per agire ed evitare che, nel bene e nel male, l’esito finale si decida da solo”.
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