Carbonia. Verso una nuova cultura del lavoro

12 Aprile 2020
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Gianna Lai

Si conclude qui il Primo Capitolo della storia di Carbonia, che abbiamo pubblicato con distinti post ogni domenica a partire dal 1° settembre 2019. Benché non riportati a fine ppagina, ciascun articolo è corredato da un apparato di note, che rimandano alle fonti consultate, documenti d’archivio, testimonianze, pubblicazioni, ecc.

Lo scenario verso una nuova cultura del lavoro in Sardegna, si apre già tra la fine del secolo e gli inizi del Novecento, nel quadro storico che precede la nascita di Carbonia, grazie alle ‘prime forme associative  di un movimento operaio, dotato di una propria autonomia e di una propria soggettività di classe’, come bene analizzano gli scritti di  Claudio Natoli, contenuti nella Storia della Camera del lavoro di Cagliari e riferiti  agli eventi  della  provincia durante l’età giolittiana.  Tra ‘le prime organizzazioni sindacali di tipo moderno, volte a coniugare mutualismo e resistenza’, la lega dei battellieri e dei giornalieri di Carloforte (oltre alla Società dei macchinisti e dei fuochisti delle ferrovie sarde di Cagliari, aderente alla Lega dei  ferrovieri italiani, a guida socialista), ‘protagonista nel 1899 di un grande e  vittorioso sciopero, contro la Società Miniere di Malfidano, per il riconoscimento dell’organizzazione, la contrattazione collettiva e la ripartizione solidale del lavoro nel trasporto dei minerali da Bugerru al porto di imbarco’. Il socialista Giuseppe Cavallera vi ‘promosse l’apertura verso l’esterno del socialismo isolano e l’impianto delle leghe e delle cooperative, cioè delle forme associative operaie più avanzate, che si andavano radicando nel Settentrione d’Italia, con un forte stimolo alla sua trasformazione in movimento ancorato a più solide basi di classe’. E in poco tempo la lotta si allargò al  proletariato minerario, ancora ‘in uno stato di disgregazione, sia per la sua recente estrazione agro pastorale,  sia per le condizioni di supersfruttamento nei rapporti di lavoro e di assoluta discrezionalità, da parte di un padronato sostenuto incondizionatamente dai pubblici poteri, sia per l’isolamento dei siti minerari e per l’assenza di ogni attività  e di ogni stimolo esterno verso l’educazione e l’organizzazione dei lavoratori’.  Così ancora Claudio Natoli, che chiama  ‘isole socialiste’  le città e il territorio minerario, sostanzialmente separati dalle aree rurali, a causa della loro scarsa politicizzazione, in quanto ancora legate ad una agricoltura e pastorizia del tutto tradizionali.
Nel territorio in cui sorgerà Carbonia dunque, non solo pastorizia e agricoltura  condotti con pratiche ancora arretrate, ma un complesso di aziende a forte concentrazione  operaia che, a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, già ‘favoriva il formarsi di una coscienza di classe e un più maturo impegno sociale e politico’ come dice Girolamo Sotgiu. Nei comuni minerari, le leghe di resistenza e poi le prime sezioni socialiste, dopo i battellieri, già organizzati in  leghe a partire dal  1897. Fino agli scioperi  sull’orario di lavoro a Montevecchio nel 1903, l’anno del Secondo Congresso del Partito socialista ad Iglesias. Fino agli scioperi del 1904, i duemila  operai della Società Malfidano in sciopero il 4 settembre a Buggerru, la forza pubblica, chiamata dalla direzione della miniera, che apre il fuoco, uccidendo 3 operai e ferendone 11. Subito dopo gli eccidi dei braccianti di Trapani e la  proclamazione del primo sciopero generale in Italia, indetto dalla Camera del lavoro di Milano. E’ l’anno della nascita della Federazione regionale dei minatori, segretario Giuseppe Cavallera, a dare forza alle leghe di resistenza, impegnate anche nella conquista del riposo festivo. Fino al 1906, movimenti  in tutta la Sardegna contro il carovita  e repressione durissima, 2 morti a Cagliari e 110 lavoratori condannati al carcere, 2 morti a Nebida, altri 2 morti e 17 feriti a Gonnesa, il comune in cui si aprivano le miniere di Bacu Abis. Fino alla nascita nel 1908 della Camera del lavoro di Cagliari, anch’essa fortemente orientata a politicizzare l’azione degli operai, mentre si rafforza la rappresentanza dei lavoratori e Cavallera entra, nel 1913, in Parlamento.
E poi il biennio rosso, in piena crisi politica dei governi liberali, ancora la forte presenza sindacale nei movimenti  organizzati del Sulcis-Iglesiente, che chiedono aumenti salariali e riduzione dell’orario di lavoro. Ancora dura repressione. Il 1 dicembre del ‘19, sciopero a Monteponi e nel resto dell’Iglesiente, e l’11 maggio del 1920,  ad Iglesias, sindaco il socialista Angelo Corsi,  la polizia spara contro i minatori in sciopero, uccidendone 7 e ferendone 26 .
A sottolineare la presenza organizzata dei lavoratori isolani, ‘i dolori della Sardegna’, la testimonianza degli operai socialisti  sardi, al Convegno della Federazione dei Circoli sardi di Torino, nel commento di Antonio Gramsci, sull’ Avanti del 17 febbraio 1920: ‘la miseria dei contadini e degli operai sardi, sfruttati da tutti i capitalismi, da quello inglese che sfrutta le miniere, a quello piemontese che sfrutta le ferrovie, a quello romano che sfrutta la pastorizia,  allo Stato italiano che si porta via ogni anno milioni e milioni di imposte, non restituite in nessuna forma e che servono a sgravare il carico tributario del Continente’.
Fino a quando, nel 1922, l’offensiva antioperaia e antisindacale ad opera ‘dello squadrismo fascista,  finanziato nell’Iglesiente dagli industriali delle miniere, organizzati nell’Associazione Mineraria Sarda, di stampo padronale, contro sindacati, partito socialista e sedi delle Camere del lavoro’, non ebbe la meglio.   Rafforzata, poco dopo, dalle leggi fascistissime di Mussolini e dalla messa fuori legge di partiti e sindacati.
Riduzioni salariali e licenziamenti di massa dopo che, negli anni immediatamente precedenti, gli operai avevano ottenuto una riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore, 7,30 per i minatori, e ancora attacchi squadristi contro il movimento popolare sardo e del Sulcis-Iglesiente.  1921 e 1922, ad Iglesias e nel bacino minerario le violenze contro le Camere del lavoro e le sedi di partito, così come a Cagliari e a Sassari e provincia, dove gravissimi furono gli incidenti che ne seguirono e che così bene descrive Emilio Lussu in ‘Marcia su Roma e dintorni’. E attacchi contro i dirigenti poltici del Sulcis-Iglesiente, ancorché parlamentari, Angelo Corsi e Giuseppe  Cavallera. E furono allora ‘privati della legittima rappresentanza i comuni amministrati dai social-comunisti  dell’Iglesiente’, nel Cagliaritano Pirri, Sestu e Monserrato e, ‘con la violenza, strappati alle amministrazioni rosse i comuni di Gonnesa, di Arbus, di Fluminimaggiore, dopo l’assalto a quello di Iglesias’, i sindaci elettivi, sostituiti dai commissari prefettizi di nomina governativa e poi dai podestà. Fino all’eccido dei fratelli Fois a Portoscuso, in occasione dell’attacco alla Federazione dei battellieri, significativa rappresentanza operaia nel porto, che imbarcava la produzione delle miniere  di Iglesias. Sciolta l’amministrazione e, poco dopo, anche quella socialista di Carloforte, ‘la roccaforte socialista della Sardegna, l’Iglesiente, era sgominata’.
‘Una landa quasi completamente deserta: non un uomo, non una casa, non un sentiero, non una goccia d’acqua; solitudine e malaria’, aveva detto Mussolini nel discorso di inaugurazione della città. Ad appena  quindici anni di distanza dalla storia, ad appena pochi chilometri dai luoghi della storia, forse pensava già dimenticate le ultime prodezze fasciste in quel territorio, ricco invece di uomini importanti,  operai  che si erano battuti per difendere il lavoro, sindaci socialisti e dirigenti sindacali e di partito, fieramente  antifascisti?
Subito dopo la liberazione dal nazifascismo,   questione contadina e ’superamento della separatezza del movimento operaio’, procedono ‘attraverso la sedimentazione  di nuove culture politiche, le cui prime anticipazioni sono ravvisabili nel pensiero di Antonio Gramsci e nella migliore elaborazione di Emilio Lussu e del Partito d’Azione, capaci di conferire un respiro nazionale al tema dell’autonomia e alla questione meridionale e di coniugarle  al problema storico della democrazia’. Così Claudio Natoli nell’opera già citata sulla Camera del lavoro di Cagliari, a definire il passaggio verso la Repubblica e verso il secondo dopoguerra
Rispetto a quello di fine Ottocento-primi Novecento, determinato dalla presenza del Partito socialista e delle leghe socialiste, nasce nelle miniere di Carbonia un  movimento affatto originale, a forte impronta comunista e sostenuto dal Sindacato CGIL, appena ricostituito  nel corso della Resistenza stessa al nazifascismo. Che non avrebbe mai dimenticato l’insegnamento e i sacrifici di battellieri, minatori e abitanti di quel territorio, ancora così presenti nella memoria dei lavoratori di Serbariu, molti dei quali da lì provenivano per aver, già prima della guerra, conosciuto i pozzi di Bacu Abis e dell’intero Sulcis-Iglesiente ed avervi promosso, in condizioni di rigida clandestinità, le prime azioni antifasciste, le prime cellule aderenti al Partito comunista.

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