di Simone Angei con chiosa di Andrea Pubusa
Pochi giorni fa riflettevo sul fantasioso fiorire di ordinanze sindacali dai contenuti più disparati, tutte accomunate dal fatto di incidere pesantemente sulle libertà fondamentali costituzionalmente tutelate dei cittadini.
In questo contesto alcuni cittadini di Pula hanno impugnato l’ordinanza del sindaco, con la quale viene loro vietato di recarsi per più di due volte la settimana presso i supermarket e per più di una volta al giorno in panifici, macellerie, pescherie e altri generi alimentari.
Il giorno dopo, sui giornali: “Pula, vince la sindaca Medau: il Tar non ferma la spesa due volte alla settimana, alt al ricorso”.
Ma quindi, almeno secondo il Tar Sardegna, queste ordinanze sono legittime?
In realtà, le cose stanno diversamente.
Infatti, chiunque assuma l’illegittimità di un provvedimento e ne chiede l’annullamento con ricorso davanti al Tribunale Amministrativo può altresì domandare che quel provvedimento sia sospeso nell’attesa della conclusione del giudizio principale - e ciò in quanto il ricorso di per sé non sospende l’esecutività del provvedimento.
In una situazione di normalità, si tiene una camera di consiglio in cui il collegio (tre magistrati) è chiamato a decidere se il provvedimento merita di esser sospeso immediatamente, valutando sommariamente la probabilità di accoglimento del ricorso (fumus boni iuris) e insieme la possibilità che il ricorrente subisca un pregiudizio grave ed irreparabile nell’attesa della decisione di merito (periculum in mora). In sostanza, si chiede di “cristallizzare” la situazione ed attendere la decisione finale.
Se manca uno di questi due presupposti, a prescindere dal fatto che si possa aver ragione nel merito, il Tar rigetta la domanda cautelare e il giudizio prosegue: in tutto ciò, nulla ancora si è detto sulla legittimità o meno del provvedimento impugnato.
In questa fase storica, peraltro, il legislatore ha previsto all’art. 84 del d.l. 17.03.2020 n. 18 che “I procedimenti cautelari, promossi o pendenti nel medesimo lasso di tempo, sono decisi con decreto monocratico dal presidente o dal magistrato da lui delegato, con il rito di cui all’articolo 56 del codice del processo amministrativo, e la relativa trattazione collegiale è fissata a una data immediatamente successiva al 15 aprile 2020“. In parole povere: a decidere nell’immediato è un singolo magistrato (il Presidente) sulla base dei detti presupposti del fumus e del periculum. Nel decreto del Presidente viene fissata poi la data della successiva camera di consiglio in cui tutto il collegio valuterà nuovamente se sospendere o meno il provvedimento. Solo in seguito si terrà un’ulteriore udienza in cui verrà valutato il merito della questione.
E quindi?
E quindi qualsiasi articolo di giornale che oggi riporta titoli del tipo: “respinto i ricorso x, vince il sindaco y” è quantomeno fuorviante, posto che ancora non vi è un vinto né un vincitore.
La realtà è che, semplicemente, la valutazione piena sulla legittimità dei provvedimenti impugnati da parte del giudice amministrativo è destinata a svolgersi in un momento futuro.
E ciò anche se, come nella vicenda dell’ordinanza del sindaco di Pula, il Tar si è spinto ad affermare che “nella valutazione dei contrapposti interessi, nell’attuale situazione emergenziale, a fronte di una compressione di alcune libertà individuali deve essere accordata prevalenza alle misure approntate per la tutela della salute pubblica”. In realtà, un’affermazione di questo tipo è preoccupante. Non appare esorbitante rispetto alle attribuzioni spettanti in questa fase al giudice amministrativo? Non è eccessivo che sia il Tar l’arbitro delle nostre libertà fondamentali? Il Tar che non è giudice di costituzionalità delle leggi né è chiamato ad individuare il punto di equilibrio nell’incisione delle libertà fondamentali.
Ciò che emerge in modo è l’assenza di un rimedio che consenta di sindacare in tempi celeri la legittimità costituzionale di misure gravemente lesive delle libertà costituzionali adottate dal potere, qualcosa di simile al “recurso de amparo” spagnolo o al “Verfassungsbeschwerde” tedesco, con i quali il cittadino può investire della questione direttamente la Corte Costituzionale, così prescindendo dagli stretti confini di ammissibilità della tutela cautelare assicurata dai Tar in una materia così delicata.
Preoccupa poi un’altra questione, eminentemente processuale: il collegio, chiamato a rivalutare la decisione del Presidente del Tar sui medesimi presupposti, avrà davvero la forza di stravolgerla o si limiterà a ratificarla? E ancora, cosa accadrà una venuta meno l’efficacia delle misure emergenziali e con essa l’interesse a coltivare il ricorso? La compressione della libertà a quel punto è già avvenuta, senza la garanzia che solo la Corte costituzionale può dare.
È vero che il Tar potrà comunque accertare l’illegittimità delle ordinanze in presenza di interesse a fini risarcitori, ma un’eventuale risotoro del danno non ridarà la libertà in ipotesi illegitimamente compressa.
Si dirà, perchè rompersi tanto la testa per questioni del genere?
Perchè, per quanto sia difficile da immaginare, anche in questa fase d’emergenza esiste una Costituzione che prevede che determinate limitazioni o determinati obblighi possano venire imposti solamente con delle forme precise (la Legge) e da parte di organi precisi (il Parlamento).
Ora, possiamo anche esser tutti d’accordo sul fatto che “certe misure vadano prese“, e magari qualcuno può anche convenire sul fatto che “chi se ne frega di chi le prende, l’importante è che vengano adottate“.
In questa logica per cui le libertà fondamentali protette dalla Costituzione possono esser altrettanto liberamente compresse, cosa succede se domani un sindaco si rende conto che non è sufficiente imporre la mascherina o la tessera market, ma l’emergenza richiede anche di limitare la libertà di manifestazione del pensiero (21 Cost.)? Non ci ha provato proprio in Sardegna un assessore nei confronti di un operatore sanitario, sotto minaccia di sanzioni?
No, non bisogna parlar d’altro, anche questo è un tema da trattare e con forte impegno.
Chiosa di Andrea Pubusa
Caro Simone,
il tuo scritto conferma quanto già avevo capito fin da quando ti vedevo a lezione sempre attento e pronto a rispondere alle mie domande sui casi che sottoponevo alla vostra attenzione. Eri tanto pronto che a un certo punto - come si fa coi fuoriclasse - ti vietai di intervenire subito, volendo sentire anche gli altri studenti.
Qui, confermando la tua sensibilià giuridica, tocchi un punto delicato. Sulle libertà fondamentali si può lasciar decidere ai giudici ordinari o speciali con riti abbreviati ma sempre lunghi, col rischio che la illegittimità della restrizione venga accertata quando i buoi sono già scappati, ossia a violazione consumata?
Nel caso di Pula, tu dici correttamente che il giudizio finale avverrà solo a emergenza finita, quando l’ordinanza della sindaca non avrà più effetto, ma la libertà, a quel punto, sarà stata irrimediabilmente limitata. Manca l’effettività della tutela, principio insito nella garanzia giuridizionale assicurata dall’art. 24 Cost.
Son d’accordo con te nel porre il tema: almeno in questi casi, un ricorso diretto alla Consulta, da decidere subito, in forma semplificata, potrebbe essere un rimedio efficace e sopratutto garantista al massimo. Chi più della Corte costituzionale può essere custode dei diritti fondamentali? Discutiamone.
Tornando però al decreto del Presidente del Tar su Pula, mi pare (ma non ho visto le carte) che l’ordinanza della sindaca fuoriesca dal dettato dei decreti governativi, che quei limiti non hanno previsto. E - si badi - non può darsi luogo ad una intepretazione analogica o estensiva, perché questi criteri ermeneutici non sono applicabili in tema di limitazioni di libertà. Mi pare che nella decisione del Tar non si tenga conto del fatto che la comparazione fra tutela della salute e libertà di circolazione sia già contenuta a monte, in leggi del parlamento e decreti del governo, senza che i sindaci o i presidenti di regione o gli assessori possano aggiungere alcunché. Non è affare dei sindaci il bilanciamento ma del legislatore, stante la riserva di legge assoluta in materia di limiti alla libertà di circolazione (art. 16 Cost.).
Questi sono però principi ben radicati nel nostro ordinamento, primo fra tutti il principio di legalità, che non ammette le c.d. ordinanze libere, ossia senza puntuale base legislativa.
1 commento
1 aladinpensiero
10 Aprile 2020 - 10:33
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=106503
Lascia un commento