Avviso ai sindaci! Il potere di ordinanza non è libero

8 Aprile 2020
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Simone Angei

L’emergenza sanitaria, come ormai evidente, ha colto tutti impreparati. Si sostiene persino che il nostro ordinamento non sarebbe dotato degli strumenti giuridici necessari a fronteggiare questa situazione, o che questi siano del tutto inadeguati.
Fin dai primi atti di carattere nazionale abbiamo assistito (e stiamo assistendo) ad un continuo rincorrersi di provvedimenti - nazionali, regionali, locali - sempre più restrittivi delle libertà di circolazione dei singoli, fino al punto da straripare abbondantemente in una evidente limitazione della libertà personale, equiparabile solo a quella degli arresti domiciliari, in patente elusione del disposto dell’art. 13 della Costituzione.
L’art. 16 della Carta è chiaro: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”.
Tecnicamente dunque, solo la legge - o comunque, atti aventi forza di legge - può imporre limitazioni alla circolazione dei cittadini: questo è avvenuto, da ultimo e volendo soprassedere su tutta una serie di ulteriori questioni, con il decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, il quale ha abilitato il Presidente del Consiglio dei Ministri ad adottare una o più “misure di contenimento” tassativamente individuate all’art. 1 dello stesso provvedimento.
L’art. 3 del decreto legge abilita poi le regioni, nelle more dell’emanazione di detti DPCM, all’adozione di misure ulteriormente restrittive, le quali devono però giustificarsi in relazione a “specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio”.
E i sindaci? Possono ancora adottare fantasiose ordinanze limitative delle libertà dei singoli, imponendo limitazioni ulteriori?
I sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto di cui al comma 1” - art. 3, comma 2, d.l. 19/2020″.
Ora, a me pare abbastanza evidente che una disposizione di questo tipo, in vigore ormai dal 26 marzo, sia stata introdotta proprio al fine di escludere (e chiarire, se mai ve ne fosse bisogno) che le autorità locali possano intervenire di propria testa introducendo limitazioni alla libertà di circolazione delle persone o obblighi ulteriori, riservando invece all’autorità nazionale la valutazione circa l’adozione delle specifiche misure, anche ove limitate a specifiche porzioni del territorio nazionale.
Una esplicitazione di questo tipo fa seguito a quanto già previsto in sede di conversione del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6: il Parlamento aveva specificato che le “autorità competenti” ad adottare “misure urgenti per evitare la diffusione del Covid 19” avrebbero dovuto farlo seguendo il procedimento di cui all’art. 3 dello stesso decreto, e dunque con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri. Solo nelle more dell’adozione di detti decreti - in casi di necessità ed urgenza - le misure avrebbero potuto esser adottate anche dalle altre autorità (quali appunto i sindaci).
Tuttavia, molti sindaci hanno comunque continuato ad adottare ordinanze dal contenuto più fantasioso, spesso richiamandosi alla versione originaria dell’art. 2, d.l. 6/2020 e “dimenticando” che tale disposizione era stata invece modificata in senso restrittivo dal Parlamento.
È forse comprensibile che l’istinto primario dei rappresentanti delle comunità locali sia quello di cercare di “fare” qualcosa o, quantomeno, “dar a vedere che qualcosa si sta facendo”, anche e soprattutto per tranquillizzare l’animo spaventato e impotente di ciascuno di noi. Meno comprensibile e giustificabile è il fatto che ogni autorità pretenda in questa fase di poter dire e imporre la propria personale decisione, spesso non supportata da evidenze scientifiche né da ragioni di buon senso, scavalcando quegli equilibri che i Costituenti - e da ultimo lo stesso legislatore - avevano cristallizzato proprio in previsione di situazioni di emergenza.
Forse sarebbe opportuno che sindaci e autorità locali, restando negli ambiti di propria competenza, intervengano sul piano della persuasione, invitando e responsabilizzando i cittadini all’adozione di buone condotte e, non, ponendo divieti e pronunciando ordinanze di dubbia legittimità costituzionale, così lasciando trasparire la scarsa considerazione che si ha degli stessi concittadini, trattati alla stregua di minorenni cui impartire ordini e divieti in quanto incapaci di comprendere da sé la situazione.
Ieri le passeggiate e le corse, oggi le tessere per le uscite settimanali, domani, sulla scorta della rabbia montante verso chi viene notato uscire di casa - a prescindere dalle ragioni per cui lo fa - ci dobbiamo aspettare un’estensione per ordinanza delle ipotesi di facoltà di arresto in flagranza da parte dei privati?

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