Coronavirus. Carte, telefonini: quid juris per il controllo a distanza?

31 Marzo 2020
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Andrea Pubusa

Per combattere il coronavirus tracciamento delle persone tramite telefonini carte di credito e simili? Ci sono molti sedicenti esperti che ammettono senz’altro queste limitazioni sulla base di ragionamenti di buon senso e di pura opportunità (prima la salute poi la riservatezza). Credo sia un modo errato di porre il problema. Il paramtro dev’essere sempre e solo la Costituzione.
Vediamo la questione.
Per combattere i contaggio da molte parti si richiama il modello della Corea del Sud. In cosa consiste? La Corea del Sud ha puntato innanzitutto su test a tappeto (come vuole fare il Veneto di Zaia) e poi sull’uso della tecnologia con applicazioni mobili e attingendo a Gps o carte di credito per creare una mappa del contagio, utile anche per allertare le persone che potrebbero aver incrociato un infetto, di cui nessuno saprebbe nome e cognome (ma tutti saprebbero dove è stato e chi lo conosce potrebbe ricostruirlo).
“La Corea ce l’ha fatta. Questa una misura è un po’ lesiva della privacy,  ma efficace”, dicono soprattuto i medici.  Che gli igienisti esprimano la loro opinione è utile ed è anzi necessario. Bene ha fatto Paolo Bonanni, ordinario di Igiene all’Università degli Studi di Firenze, a esternare il proprio parere da medico e a fini di sanità pubblica: “tracciare tutti i contatti dei positivi può aiutare a contenere il contagio, anche in questa condizione di semi reclusione in cui siamo”. Mi pare invece che valichi il campo di sua competenza o possa valicarlo quando afferma: “Si tratta di una misura eccezionale che dovrebbe essere svolta solo per un determinato periodo». Non me ne voglia il prof. Bonanni e con lui tutti gli igienisti, opinionisti e giornalisti, la parte giuridica e costituzionale non è affar loro.
Da questo punto di vista non è esente da critiche neanche l’amico Antonello Soro (ottimo dermatologo come ebbi modo di constatare quando, ai tempi del Consiglio regionale, mi curò un fastidioso eczema). Cosa dice Soro, garante della riservatezza?
Interpellato dal Corriere, Soro pone giustamente al centro delle sue cautele la necessità inderogabile  di tutela dell’anonimato: “unicamente di dati aggregati e anonimi”. “Laddove, invece, prosegue, si intendesse acquisire dati identificativi, sarebbe necessario prevedere adeguate garanzie, con una norma ad efficacia temporalmente limitata e conforme ai principi di proporzionalità, necessità, ragionevolezza”.
Ecco il punto occorre una norma. Ma qui sorgono due problemi: la Costituzione ammette queste limitazioni? Attenzione!, se non c’è una base costituzionale non c’è norma che tenga, la libertà non può essere violata. Molti opinionisti pensano che se la Carta non prevede una disciplina sulla limitazione di una libertà, questa si può restringere a piacimento con atto amministratico (decreto, provvedimento delle autorità di pubblica sicurezza e simili). E invece è vero il contrario: se la Carta nol consente espressamente, la libertà non può essere compressa.
Si obietterà, ma nel 1946-47, quando l’Assemlea costituente costruiva la nostra legge fondamentale, telefonini, carte di credito e simili diavolerie erano di là da venire. Ed è vero. Tuttavia ci sono disposizioni che possono consentire di risolvere il problema; possiamo esaminare la questione partendo dall’interesse tutelato: “la sanità e l’incolumità pubblica“. Ebbene, ci sono nella Costituzione quasi in sequenza due articoli: l’art. 16 e l’art. 14, che se ne occupano. Il primo consente limitazioni per motivi di sanità e sicurezza pubblica con legge e “in via generale”. La seconda, per le stesse ragioni, ammette “accertamenti e ispezioni”, in deroga alla libertà domiciliare, ma tali atti devono essere “regolati da leggi speciali“. Quindi, volendo disporre controlli su telefoni e carte a tutela della sanità e incolumità pubblica, occorre una legge speciale e in via generale (non ad personas o a gruppi).
Gira, gira, come si vede, si torna sempre alla legge, al fondamento legislativo, come richiesto anche per la madre di tutte le emergenze:  la guerra (art. 78). C’è dunque una riserva di legge, la quale rende illegittimo qualsiasi intervento che non sia disciplinato puntualmente dal Parlamento con legge preventiva. In tema di libertà infatti la riserva di legge è - pacificamante - assoluta e non ammette regolazione dell’esecutivo neanche in casi  straordinari di necessità e urgenza.
Quindi errano coloro (Soro compreso) che parlano di norma provvisoria, alludendo ad una disciplina di rango non legislativo. No, ci vuole una legge ordinaria. Una legge generale, che regoli la materia in tutti i casi di emergenza sanitaria o di sicurezza pubblica, da definire puntualmente nella legge medesima.
Solo in sede legislativa “andrebbe effettuata un’analisi dell’effettiva idoneità della misura a conseguire risultati utili nell’azione di contrasto”, cui si riferisce Soro.  E sempre il Parlamento deve indicare la proporzionalità fra la geolocalizzazione dei cittadini e la effettiva utilità ai fini della tutela della sanità e sicurezza pubblica. Sempre in quella sede devono essere ponderati col bilancino gradualità, anonimato e destino dei dati.
Ha ragione l’amico Soro: “Non è il tempo dell’approssimazione e della superficialità”. Non lo è sopratutto nello stabilire con chiarezza, Costituzione alla mano, ciò che si può fare e ciò che è precluso. Lo so, si rischia di apparire pedanti nel richiamare continuamente i profili costituzonali, mentre il virus imppazza, mietendo vite. Attenzione però! In questi giorni stiamo formando una prassi costituzionale, che come precedente vale per il futuro. Le regole costituzionali - ha detto uno che se ne intendeva - si fanno in tempi tranquilli per i tempi difficili. Oggi Conte sul piano democraticomci traquillizza. Ma domani? Chi ci sarà al governo domani? Nel nostro paese, ahinoi!, ci son anche simpatizzanti di Orban.

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