Gianna Lai
Ancora un appuntamento domenicale con la storia di Carbonia, iniziata il 1° settembre.
Prima parte.
Il prodigio della città nuova, la città del miracolo fascista costruita in 300 giorni, nel discorso del duce ‘Camice nere, camerati ingegneri, tecnici lavoratori’. A togliere importanza, a non usare la giusta cura, il giusto riguardo, per il luogo su cui la città stessa man mano cresce e dal quale provengono la maggior parte dei suoi futuri abitanti, edili, cioè, e minatori e le loro famiglie. Per il territorio intorno e per la sua storia che, il regime prima, i costruttori e l’azienda poi, avrebbero invece dovuto tenere nella massima considerazione. Quella landa quasi completamente desolata di cui parla Mussolini e tanti, scrivendo la storia della città, ne hanno ripreso il modo e se ne sono lasciati convincere, ha sempre riservato tuttavia, col riapparire spontaneo e frequentissimo di antichi tralci di vite, curiose e significative sorprese negli orti che circondano le case operaie, fino a poco tempo fa ancora ricchi di pergolati e di coltivazioni varie.
Un territorio e una storia importanti che, né la demagogia fascista, né l’affrettata, in alcuni casi, ricostruzione delle vicende locali, può cancellare. Così forti ancora i segni delle più antiche e moderne civiltà, sull’ampio insediamento popolare, come denotano gli studi specialistici di archelogi, geografi, naturalisti: ‘nell’area del comune di Carbonia, Su Carroppu-Sirri, che ha restituito alcuni fra i più antichi manufatti del periodo Neolitico della Sardegna, risalenti ad un’epoca databile fra il VII e il VI millennio avanti Cristo’. E ‘la necropoli ipogeica del tipo a domus de janas in località Cannas di Sotto di Carbonia’, gli ipogei a Corea ed ancora, sempre nel territorio di Carbonia, le domus di Monte Crobu, e di Monte Sirai, e così uscendo dalla città, così fino a Villaperuccio, San Giovanni Suergiu, ecc. E poi i segni importanti del nuragico, ancora oggi nei nomi stessi della miniera, e i sentieri ancora intatti di quel tempo e ancora percorribili, 164 i nuraghi già censiti nel Sulcis fino all’anno 1922, dice Giovanni Lilliu, a Serbariu, in particolare, Nuraghe Paristeris, Loddi, Piliu, Sirai, Milanu.
Il Sulcis, insieme al territorio di Cagliari, porta di ingresso della civiltà fenicio-punico nell’isola, che si sviluppa in continuità con la successiva conquista di Roma, ed è Plinio a parlare dei popoli sulcitani e Tolomeo della sua costa, per descriverne i caratteri. Risalgono al tempo dei punici i collegamenti e le strade che, partendo da Sant’antioco, l’antica Sulci, fino al territorio del Cixerri, attraversano la piana sotto la fortezza del Monte Sirai, ‘l’altopiano di Monte Sirai, sede qualificata di parco archeologico, da cui proiettare lo sguardo verso l’anfiteatro naturale sulcitano e verso le isole’. Per giungere fino all’iglesiente, verso le miniere sfruttate già a quel tempo. Come i collegamenti che si allungano oltre Barbusi, versoVillamassargia, nel territorio su cui sorge il monte Tanì, toponimo di evidente derivazione dal culto della dea Tanit. E Pan’e Loriga, fortezza punica sovrapposta a quella nuragica, per controllare la strada che dal golfo di Palmas, attraverso gli attuali Giba e Nuxis, porta ai siti minerari della zona, ricongiungendosi, a mo’ di cerchio, alla piana del Cixerri, presso Siliqua.
Dall’altro versante, la Santadi-Cagliari già nel 1887 attraversa i monti sulcitani che chiudono il territorio a est mentre, fin dal 1926, le Ferrovie Meridionali Sarde percorrono l’intera zona in lungo e in largo, da Iglesias e Siliqua fino a Sirai e Santadi, fino al mare di Sant’Antioco, fino a Calasetta e all’attracco per l’isola di San Pietro. Ancora oggi in evidenza i tracciati che risalgono ai fenici per il trasporto del minerale di Iglesias al golfo di Palmas, in quel tempo il centro dei movimenti e dei traffici nel Sulcis; allo stesso modo gli stradelli a piedi da Carbonia a Matzaccara, attraversando i luoghi della più recente miniera fino al mare, così già ben visibile nelle zone più aperte e panoramiche della città. Essendo l’intero territorio di Monte Sirai dirimpetto all’insediamento di Sulci, Sant’Antioco, e a così poca distanza.
‘Non un sentiero’, aveva detto Mussolini: sembrerebbe invece tutt’altro che landa quasi completamente deserta questo Sulcis! ‘Territorio il più presidiato’, insieme a Cagliari nella storia della Sardegna, ‘lo spazio fisico del Sulcis è una valle costiera delimitata dal fiume Cixerri, ancora oggi il sistema di comunicazione ricalcato su quello romano’, dicono gli studiosi. Una regione aperta sul mare, i caratteri del suo insediamento sparso, affatto originali in Sardegna, medaus e furradroxius determinati dal ripopolamento del Settecento, per intervento del potere politico e religioso, una volta garantite le coste dall’assalto dei mori, che ne avevano determinato l’abbandono nel medio evo. Terre ancora comuni, caratterizzate dagli usi civici, oggi importante testimonianza i secolari e pregiatissimi ulivi de S’Ortu Mannu a Villamassargia, dove conventi e frati, da Chia con gli Scolopi, a Pesus, a Nuxis e frati cappuccini a Domusnovas e Benedettini a Flumentepido, le chiese campestri ancora visibili in alcune zone del Sulcis, danno origine a un paesaggio rurale e ad una nuova cultura abitativa. Che si innesta nel territorio di insediamenti sparsi, già determinato dai pastori transumanti del centro Sardegna, fin dal XVI secolo, per concessione del vescovo. Divenuti poi stanziali e coltivatori, una volta insediate anche le famiglie e costruite le case in muratura.
Il Sulcis dei medaus e dei furriadroxius, che si ampliano, radicandosi nel territorio, per dare origine a nuovi centri abitativi chiamati boddeus, ogni agglomerato fondato su pascolo e coltivazione della terra, dove convivono pacificamente contadini e pastori, senza rivalità e conflitti nella divisione dei terreni da destinare all’allevamento o alla semina. Del tutto inensistenti fenomeni di banditismo e di delinquenza legata all’abigeato, così tristemente caratteristici, invece, dei territori di campagna nel resto dell’isola. Si può leggere la prof. Angela Asole, ‘ Già nel 1763, anno in cui viene ricostituita la diocesi di Iglesias, una trentina di boddeus fanno capo ciascuno ad una chiesa’ così, ‘accanto alle tante case sparse’ altri nuclei ’si sono talmente ingranditi da trasformarsi in villaggi per sovente assumere la dignità di capoluogo comunale, Giba, Masainas, Narcao, Perdaxius Santadi, Sant’Anna Arresi, San Giovanni Suergiu, Teulada, Tratalias, Villaperuccio, Serbariu’. Oltre all’allevamneto ovino e caprino, coltivazione di orti e campi, poi seminativi e vigneti recintati, oliveti e frutteti, per una produzione finalizzata al consumo interno. Se non per il formaggio, venduto ai commercianti di Cagliari, se non per le vigne di Carloforte e di Sant’Antioco e quelle sulla costa prospiciente, in terraferma, presso Portoscuso e Masainas, come dalla cartina di Le Lannou, a pag.286 del suo Pastori e contadini di Sardegna. Le cui uve da taglio, attraversano regolarmente il Mediteraneo, impegnando continuamente le navi del porto di Sant’Antioco.
Così Lamarmora, nel suo ‘Itinerario dell’isola di Sardegna’, ‘Questa vasta regione del Sulcis passa per una delle più fertili della Sardegna. Ora mezzo secolo era tutta incolta per le frequenti invasioni dei barbareschi e per causa della sua insalubrità, che era conseguenza naturale dell’abbandono delle terre. Ora esse sono in gran parte restituite all’agricoltura e il dissodammento si accresce tutti i giorni, come in proporzione vanno crescendo le case rurali in gran numero’ Ed ancora, ‘gli abitati del Sulcis hanno generalmente un carattere agricolo….questi gruppi di case agricole presero il nome di boddeus, molti dei quali dopo la legge 11 luglio 1895….. furono eretti in comuni….. In meno di un secolo questa importante regione, dallo stato di barbarie, passò a quello agricolo ben inteso, perchè nelle case rurali si devono cercare i veri agricoltori’. E definisce, Lamarmora, ‘magnifico’ il golfo di Palmas, ‘questo è il punto dove più frequentemente si imbarcano i prodotti del Sulcis’. E così parla di Teulada, ‘un bel villaggio collocato alla sponda di un grosso fiume che scorre in suolo fertile’. E di Santadi, ‘la principale popolazione di questa regione abitata da borghi è quella di Santadi recentemente eletta in capoluogo di mandamento, con la residenza del giudice e d’una stazione di carabinieri. Presso Santadi si trova il borgo di Piscinas…probabilmente il suo nome da una sorgente di acque termali molto abbondante’. E il borgo di Pesus, il cui suolo definisce ‘molto ferace’ e, lì presso, ‘la bella proprietà di Mitzajusta’. E Sant’Antioco, che ha dato il nome al Sulcis, ‘ivi si trovano le rovine di questa opulenta città… dal tempo dei cartaginesi’117. E, sempre in lode, ‘io non finirei più, se dovessi qui enumerare tutti gli oggetti di antichità che si sono raccolti in questo luogo, e che vi si scuoprono giornalmente…..una delle città più importanti dell’isola al tempo dei romani’. E poi Portoscuso, ‘popolato nella stagione della pesca del tonno, con una tonnara, che ragguaglia in prodotto quella dell’Isola Piana’. E Flumentepido, ‘Santa Maria di Flumen tepido, da una sorgente termale che vi sgorga lì vicino’. E Domusnovas, infine, ricordata per i due grossi ruscelli, che scorrono tra i giardini d’arance, come già aveva raccontato Valery, negli anni Venti dell’Ottocento, quando ne descriveva, appunto, le acque e le coltivazioni di aranci, ‘le belle e dolci arance di Domusnovas’ e la Grotta di San Giovanni d’Acqua Rutta, ‘i festoni di una vegetazione lussureggiante decorano una specie di portico’ e i ‘magnifici resti dell’acquedotto romano’, che conduceva a Cagliari ‘l’eccellente acqua di Domusnovas’ e le coltivazioni dei frati Cappuccini, ‘industriosi, persone allegre e buone’.
‘Non una casa’, aveva detto Mussolini: tutt’altro che landa quasi completamente deserta, invece, questo Sulcis!
1 commento
1 aladinpensiero
29 Marzo 2020 - 10:35
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=106023
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