Carbonia. Dalla Regia Prefettura di Cagliari al Ministro dell’Interno: ‘altissimo si mantiene lo spirito pubblico’. Note finali su guerra e propaganda di regime

8 Marzo 2020
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Gianna Lai

Nuovo appuntamento domenicale con la storia di Carbonia, a partire dal primo settembre.

Il fascismo si nutre di simbologia, di propaganda e di miti. Se, come abbiamo appreso dalle parole del Prefetto, al luglio del 1941 gli attacchi nemici hanno già causato in provincia oltre 200  morti, 213  dispersi, oltre 380 i feriti e 413 i prigionieri, e già si registrano, nel solo mese  di Ottobre,  6 allarmi e 4 mitragliamenti a bassa quota. Se, ‘nell’anno di guerra’, scoramento ed angustia già opprimono la popolazione in provincia, di fronte all’esaurimento delle scorte alimentari, del grano per la semina, di oli lubrificanti  e gasolio, pur assegnati dal ministero alle popolazioni civili, e tuttavia spesso direttamente requisiti dalle forze armate. Se, mancando tutto in provincia, tutto si deve importare  dal Continente, tranne la carne, il formaggio e il vino, mentre gravissimo si registra, fin da subito, il ritardo delle navi, subito irregolare il traffico nel Tirreno,  in seguito ai continui attacchi nemici sul mare, ormai senza orario e date prefissate lo sbarco delle navi. Se siluramenti e affondamenti di piroscafi, tra Capo Carbonara e Capo Ferrato, provocano morti e impediscono gli approvvigionamenti, se lo sganciamento continuo di mine dai sommergibili nemici, nei porti di Cagliari e di Sant’Antioco, impedisce l’attracco delle navi, obbligando a continue e impegnative operazioni di sminamento. Se il quadro economico. tracciato nelle informative, segnala il fallimento del regime, ‘tranne l’oasi Mussolini, nessuna bonifica è stata ultimata, nella gran parte perduti i lavori eseguiti e le somme spese, mentre su tutta la provincia sempre infierisce la malaria’, a suonare quasi ironiche, in quelle stesse note al ministro, per adombrare forse l’imminente catastrofe, le rassicuranti osservazioni del prefetto Leone. Costretto, evidentemente,  sempre a chiudere, o ad aprire, col più sereno ottimismo. ‘Lo stato di guerra, per l’innato spirito di disciplina e di devozione alla Patria, che anima tutti i sardi, dal più colto professionista  al più umile lavoratore, non ha creato particolare stato d’animo: come si è saputo silenziosamente sopportare  il periodo non favorevole alle nostre armi, così si è sempre virilmente  tenuto alto il sentimento e mai è venuta meno la fiducia nella vittoria’, al mese di luglio del 1941.  Ma già, fin dal novembre del 1940, per esaltare in una nota al ministro, la funzione salvifica di Mussolini, ‘il discorso del Duce alle gerarchie di partito, salutato dal più vivo entusiasmo da quanti credono ciecamente in Lui, è servito a sollevare tempestivamente lo spirito dei deboli e dei sofisticoni pessimisti, i quali pretenderebbero di leggere, in ogni bollettino, vittoriose avanzate e annientamento del nemico, senza pensare al sacrificio eroico dei nostri soldati di terra di mare e dell’aria, che combattono con fede per ottenere la più bella e la più grande delle vittorie. Sui dubbiosi e sui tentennanti si vigila e non si è mancato di adottare opportuni provvedimenti di polizia’.  Proprio come, esemplarmente, è finito quell’amministratore del Fascio a Uta, ‘arrestato il Segretario amministrativo del  Fascio di Uta, per aver troppo drammatizzato la situazione: subito deferito alla  Commissione per il confino’. E poi, sempre sorvegliato nei modi il prefetto Leone, anche di fronte al dramma degli approvvigionamenti, come  nel gennaio del 1941, ‘la popolazione si mantiene tranquilla e fiduciosa e conferma i suoi sentimenti patriottici e la sua devozione al Duce’, dopo la chiusa della nota precedente, ‘altissimo si mantiene lo spirito pubblico nei confronti della guerra; son sicuro che lo spirito di patriottismo, che anima questa popolazione, saprà superare ogni scoramento’. Ed ancora, ‘la popolazione non ha cessato mai di avere fiducia assoluta nel Duce nella forza delle nostre armi e nella vittoria finale’, il 4 marzo dello stesso anno. E poi ancora, ‘il recente discorso del Duce ha avuto vasta e profonda risonanza nell’animo popolare in provincia e ha rinsaldato la sua fiducia nella vittoria, pronta anche a qualsiasi sacrificio’. E il 3 aprile, ‘non scossa la fiducia e anzi rafforzata la volontà di vincere, anche se, per conseguire la  vittoria, si dovranno sostenere nuovi e grandi sacrifici’. E il 2 maggio, ‘nessuna offensiva, neppure ad aprile: […..] la popolazione di questa provincia ha esploso con entusiasmo e gioia alle notizie delle nostre vittorie, dando ancora una volta prova del suo profondo sentire patriottico’.
Fino ai toni celebrativi adottati nei primi mesi del 1942, ‘le vittorie su tutti i fronti hanno contribuito a mantenere alti gli spiriti e ad accrescere la fiducia nel trionfo finale. Tale fiducia si è riscontrata  molto più sentita per la popolazione umile che tra i militari, per i quali il mito dell’invincibilità delle forze dell’Impero inglese, dopo l’entrata in guerra dell’America, non è ancora superato. Vinceremo’. Ed esaltanti ancora i toni a maggio, ‘l’incontro di Salisburgo ha suscitato viva soddisfazione, essendo nella coscienza di tutti che i due grandi capi dell’Italia e della Germania, ogni qualvolta si sono incontrati, hanno determinato l’inizio di nuove gloriose imprese’. Così la dedica al ‘radioso maggio per la visita del Duce: le masse operaie e rurali di questa provincia, dimenticando ogni personale angusta restrizione e dolore, hanno tributato al Duce calorosissime accoglienze, confermandogli completa dedizione e ferma certezza nella vittoria’.
Poco importa se, proprio dal giugno successivo di quell’anno 1942, si intensificano i bombardamenti sul capoluogo e sulla  provincia, provocando a Cagliari lo sfollamento di 15mila persone, verso un territorio stremato dalla fame, che non riceve più beni di prima necessità dal Continente,  il grano distribuito in quantità irrisorie una tantum. ‘15 mila persone lasciano la città, mantenendo un contegno fermo e dignitoso’. Perché in quella stessa nota si comunica come sia  ’svanita la depressione, all’annuncio della brillantissima vittoria aerea e navale: nei giorni 13, 14 e 15 giugno vendicati i danni prodotti dal nemico in città, con viva soddisfazione della cittadinanza’. E poco importa se, ad agosto, il mitragliamento nel Sulcis provoca feriti tra la popolazione dell’isola di Sant’Antioco, dato che  ‘l’offesa contro un convoglio nemico, dopo il mitragliamento di  Calasetta, è stata seguita con vivo interesse dalla popolazione, manifestando la propria soddisfazione per gli efficaci risultati conseguiti. Confermo che lo spirito pubblico si è mantenuto sempre all’altezza della nazione in guerra’.  Così come nella nota successiva, ‘lo spirito della popolazione si è mantenuto altissimo, sorretto principalmente dalle vittorie conseguite dalle truppe dell’Asse sul fronte dell’Est’. E poco importa se poi, nel mese di ottobre, la popolazione risulta ’scossa alla  notizia dei danni e delle vittime delle incursioni aeree nell’Italia settentrionale e per il  ripiegamento delle truppe, in seguito alla  fortissima pressione del nemico’: di fronte a un ‘ morale un pò depresso’, il dato fondamentale resta, ‘come anche rilevasi dalla censura postale, che la fiducia nella vittoria non è venuta meno e solo si depreca il momento poco favorevole che si attraversa e che coincide (sic) con un periodo scarso di generi alimentari, scarsi i mangimi e scarsa la carne, mentre non arrivano dal Continente  patate e legumi’. E poco importa se tra la popolazione  si è diffuso il convincimento che la difesa della Sardegna non sia molto efficiente, avendo imposto, l’occupazione della  Corsica, il distaccamento di  una delle tre Divisioni di stanza nell’isola’; o se nella popolazione si riscontra una certa ‘depressione per le notizie dei bombardamenti nelle città del Nord e per effetto dell’attività aerea su questo territorio, durante il mese’, dato che, ‘per quanto un pò depresso, lo spirito pubblico si mantiene fiducioso e nessun perturbamento è da prevedere nell’ordine pubblico’. Pur avendo, il Comando di corpo d’armata, chiesto alla Questura ‘ausilio per uno studio sull’ordine pubblico nel capoluogo’, di fronte al nuovo sfollamento di oltre 10mila persone, in un capoluogo che, a detta delle autorità, avrebbe dovuto essere  del tutto evacuato: ad impedirlo la malaria su buona parte del  territorio e la mancanza di abitazioni.
Solo dopo i bombardamenti di febbraio, di marzo e di maggio, pur tranquillizzato il ministro, non essendo registrata  alcuna ‘manifestazione contraria al  regime in provincia’, si annuncia drammaticamente ‘di nuovo piombata in stato di depressione l’opinione pubblica’ nel territorio: a Cagliari ‘i superstiti, dentro i rifugi, non escono neppure a cercare  cibo’, e si propagano incontrollate le malattie infettive. E mentre si registrano proteste di donne  ad Iglesias e a Fluminimaggiore e, dapertutto, circolano voci sul prossimo intensificarsi  degli attacchi aerei e su possibili sbarchi nella Sardegna meridionale, ci sono 85mila persone che vorrebbero, per questo, allontanarsi dalla costa, mancando del tutto nell’entroterra i mezzi di trasporto e gli alloggi. Grande disordine nella vita civile, si denuncia il totale assenteismo delle autorità anche per la mancata rimozione delle macerie, e quindi delle vittime, e per il mancato soccorso alla popolazione, tanto che a marzo, nell’informativa del prefetto, resta  ‘ancora imprecisato il numero dei morti’, dopo il bombardamento di febbraio.  ‘Irreperibili i capi di industria e di aziende e gli impiegati’, denunciano i Carabinieri Reali indignati contro le autorità locali, ‘dirigenti, funzionari, ed impiegati hanno abbandonato Cagliari presi dal panico e mischiandosi alla folla in fuga’. Assoluta  mancanza di assistenza agli sfollati e ai sinistrati, così  nelle note dei carabinieri come nelle relazioni  del prefetto, quelle autorità esse stesse ‘confuse col popolo nel panico e nella fuga senza controllo’. Fino alla informativa sulla  ‘distruzione di Cagliari’ quando il prefetto annuncia  ‘non dissimula il suo vivo malcontento la popolazione, anche per il disservizio degli uffici pubblici e delle organizzazioni sindacali’. Apparendo fulgida protagonista di questi ultimi giorni di guerra in provincia, una classe dirigente imbelle, sempre al riparo della politica del regime e ora in stato di completa disgregazione, di fronte agli esiti di tale sciagurata alleanza. In fuga, come nel resto d’Italia, ma pronta, nella fuga stessa, a costruirsi nuove fortune e garantirsi continuità alla fine del conflitto. Mentre esposta inesorabilmente alla guerra resta l’intera popolazione, priva di protezione alcuna  e di difesa,  neppure sfiorati i dirigenti dall’idea di preparare e attuare seri piani di sfollamento, come avviene invece in tante altre città italiane. Malumori, reclami, lamentele, lagnanze,  ‘le donne brontolano’, ’si registra un certo malcontento tra i lavoratori’, ‘ un po’ depresso risulta il morale degli abitanti’, frasi fatte ed eufemismi, attraverso i quali le note prefettizie descrivono terrore e morte sotto i bombardamenti, o per fame e malattie da denutrizione. Riuscendo a  mantenersi  dentro gli schemi rigidi e propagandistici di una informativa ufficiale sempre, a dir poco, scarsamente attendibile, anzi reticente, nel descrivere le condizioni di vita dei ceti meno abbienti e, per questo direttamente responsabile, a sua volta, del mancato soccorso.

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