Procedere o no vs. Salvini? That’s the problem

22 Gennaio 2020
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Andrea Pubusa

I fatti non le opinioni mi convincono sempre di più che ogni revisione della Costituzione sia dannosa e vada scongiurata. Sull’onda di suggestioni momentanee vengono cambiate norme attentamente meditate, che creano bilanciamenti delicati e co0mplessi. Prendete la richiesta a procedere per Salvini davanti ai giudici siciliani sta sollevando un putiferio, su cui si consumano energie parlamentari che  meglio sarebbe dedicare ai gravi poblemi del Paese.
Ma veniamo alle carte. L’art. 96 vigente recita:  “Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale”.
Questo è il testo nato da una modifica del 1989. Il testo originario era ben diverso: art. 96: “Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri sono posti in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni”. E l’art. 134 soggiungeva:”La Corte costituzionale giudica …sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica ed i Ministri, a norma della Costituzione“. Ergo, il giudice dei ministri era la Consulta. Aveva un senso questa disciplina? Secondo me sì. E il perché è molto semplice: il giudizio ha ad oggetto reati commessi nell’esercizio delle funzioni di governo. Trattandosi di reati ministeriali è un organo costituzionale a giudicare, non il giudice ordinario. Si dirà anche la Corte è un giudice, ma non è così: è un organo costituzionale che giudica con procedure e giudiziarie, ma ha sensibilità e prergogative politiche, che non esistono e non devono esistere nei tribunali ordinari.
E poi la Corte costituzionale offre maggiori garanzie rispetto al giudice ordinario. Lungi da me propensioni giustizialiste, ma proprio per la delicatezza di questi giudizi, per i loro riflessi politici, bene fece l’Assemblea costituente ad affidarli ad un organo di garanzia quale è la Corte costituzionale.
Certamente, anche col testo originario la messa in stato d’accusa era fonte di grande dibattito e di conflitto fra le forze parlamentari, ma ora alla naturale discussione si aggiunge il sospetto o l’insinuazione che il tribunale possa non essere del tutto indifferente all’esito del giudizio.
Personalemnte, penso che un ministro quando blocca una nave nell’esercizio della sua funzione pensi di farlo nell’interesse generale. A maggior ragione questo crede una mente offuscata da pregiudizi razziali o da manie di difesa dei confini contro poveracci inermi. Ma pur sempre di azione di governo si tratta. Il problema è che se noi mandiamo al governo persone improbabili, con idee irrazionali e dannose, non sono i giudici a dover porre rimedio. L’indirizzo politico non è affar loro. E’ pproblema nostro di cittadini ed elettori.
Ora tuttavia il giudizio non verte su questo. Lette le carte, i parlamentari devono sciogliere un quesito più semplice ma non meno difficile. C’è nei confronti di Salvini un fumus persecutionis, un intento persecutorio o no?  Per rispondere bisogna conoscere gli atti, benché anche a noi lontani dai palazzi paia che questo intento punitivo nei confronti dell’ex ministro esista solo nella sua mente. O almeno così ci auguriamo. La disciplina originaria della nostra Carta comunque avrebbe reso tutti noi più tranquill sulla bontà del giudizio.

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