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Oggi la Corte costituzionale riesamina la legge Statutaria sarda. Lo fà su ricorso del Consiglio dei ministri. Da quanto si apprende dalla stampa il problema interessa l’attuale maggioranza non per le questioni di fondo che la Statutaria solleva, la forma di governo iperpresidenzialista, la compressione dei referendum e la legittimazione del conflitto d’interessi, ma per l’eventuale cessazione dell’incompatibilità fra la carica di assessore e quella di comsigliere regionale. Una conferma, dunque, del fatto che l’ispirazione autoritaria data da Soru alla legge, nonostante sia stata duramente sanzionata dai sardi ben due volte: al referendum dell’ottobvre 2007 e alle recenti elezioni regionali, va bene anche alla destra. Ed ancora, semmai ci fosse bisogno di una riprova, che questa maggioranza si eccita solo con riguardo alle piccole cose di bottega (Oppi che sostituisce in giunta Simeone o Tizio che rimpiazza Caio e così via) non alle questioni di fondo. Il ricorso invece, se accolto, potrebbe consentire di riscrivere la legge, tenendo conto delle critiche a suo tempo mossele dai sardi che l’hanno bocciata e anche da ambienti dell’attuale coalizione. Sarebbe interessante, ad esempio, sentire cosa ne pensa il Psd’Az, che della battaglia referendaria contro la Statutaria è stato uno dei protagonisti più impegnati. La nuova collocazione gli ha fatto mutare posizione? O i sardisti intendono riaccendere la discussione? Come si vede, l’esito del ricorso, sopratutto se verrà accolto, è destinato a riaprire un partita importante per la democrazia sarda, perché impone di riesaminare alcuni aspetti fondamentali dell”ordinamento regionale a partire dalle relazioni e dal bilanciamento fra gli organi costituzionali regionali.
Ma perché il ricorso del governo? L’impugnazione è frutto un atto dell’Avvocatura erariale, ufficio d’indubbia autorevolezza giuridica, cui spesso ricorre anche la Regione sarda. Come si ricorderà, Soru, il 10 luglio 2008, per poter promulgare la legge statutaria ha modificato la formula della promulgazione prevista dalla legge regionale sui referendum. Ed ecco la censura dell’Avvocatura dello Stato, trasfusa nell’atto d’impugnazione: modificando indebitamente la formula della promulgazione il Presidente ha violato l’art. 15 dello Statuto speciale, in forza del quale la legge statutaria «sottoposta a referendum non è promulgata e non è approvata dalla maggioranza dei voti validi». Promulgando la legge non approvata dal referendum del 2007, Soru ha invaso non solo la sfera riservata all’assemblea legislativa regionale (modificando la formula di legge), ma ha violato anche la disciplina dello Statuto speciale, che è legge costituzionale. Ora almeno da duecento anni, nei regimi costituzionali, il capo dell’esecutivo non può far leggi, deve solo eseguirle e tanto meno invadere la sfera delle attribuzioni definita dalla disciplina costituzionale, che, in questo caso, assegna allo Stato, tramite legge costituzionale, di stabilire i presupposti della promulgazione. Questo è il motivo del ricorso del Consiglio dei ministri alla Corte costituzionale. Il governo, infatti, ha sollevato un conflitto d’attribuzione, vedendo nella promulgazione della Statutaria con una formula extra ordinem un’invasione della sfera d’attribuzione dello Stato.
La Costituzione prevede il conflitto di attribuzione, ma fra i poteri dello Stato, non fra quelli regionali. Ecco perché il Governo ha configurato il contrasto come conflitto con la disciplina dello Statuto speciale, che rientra nell’esclusiva attribuzione dello Stato. Si tratta di un’ipotesi nuova, come tale molto discutibile (v. l’intervento critico riportato più avanti), che però non può essere bollata con toni liquidatori. In verità, neppure il Costituente aveva ipotizzato che un Presidente di Giunta regionale potesse modificare una legge regionale e, quindi, anche quella costituzionale contenuta nello Statuto speciale. Certo è che un rimedio a tutela del legislativo regionale e delle prerogative statali dev’essere individuato, specie in una stagione di presidenti-sceriffi. E all’impugnazione del governo va riconosciuta questa volontà, anche se, viste le sue propensioni non proprio garantiste, è probabile che della intelligente elaborazione dell’Avvocatura dello Stato il governo abbia colto l’effetto pratico immediato (ossia l’impugnazione di un atto di Soru, all’epoca presidente di centrosinistra) più che quello istituzionale. Il che sembra confermato dalla disponibilità offerta dal Governo alla Giunta regionale attuale di una rinuncia al ricorso.
Comunque, ora la questione è all’esame della Consulta. Vedremo se dichiara o meno ammissibile il ricorso. Si ricordi che già una volta la Corte Costituzionale (capovolgendo una precedente pronuncia di 30 anni fà) ha scansato l’esame della validità della promulgazione disposta da Soru, e cioé quando ha dichiarato la mancanza di legittimazione a ricorrere della Corte d’appello di Cagliari in sede di verifica del risultato del referendum. E’ probabile che faccia il bis oggi, dichiarando che non si è in presenza di un confrlitto di attribuzioni fra poteri dello Stato. Vedremo. Comunque, in ipotesi di accoglimento del ricorso, la dichiarazione d’illegittimità e il conseguente annullamento della promulgazione, comporterà anche la perdita d’efficacia della Statutaria, e il Presidente della regione sarà obbligato ad usare la formula di legge e a conformarsi all’articolo 15 dello Statuto speciale, che dovrebbe, stante l’esito negativo per la Statutaria del referendum, non consentire la promulgazione.
Fin qui l’illustrazione della posizione del Governo. La questione, però, è nuova e molto controversa sul piano costituzionale. Pubblichiamo perciò un’opinione diversa da quella dell’Avvocatura dello Stato, tratta da un più ampio saggio del dottor Michele Sias sulla legge Statutaria sarda e sul referendum del 21 ottobre 2007, pubblicato nel volume Studi sulle fonti del diritto, a cura di S. Pajno e G. Verde
.Michele Sias
In seguito alla promulgazione della legge statutaria sarda, la strada che il Governo ha percorso è stata quella del conflitto di attribuzione per l’annullamento dell’atto di promulgazione. Nel ricorso governativo si legge che “(…) la promulgazione da parte del Presidente della Regione, della legge statutaria in carenza del requisito stabilito dall’art. 15 c. 4 dello statuto di autonomia (norma di rango costituzionale) che consente la promulgazione della legge statutaria sottoposta a referendum soltanto se è approvata dalla maggioranza dei voti validi, costituisce invasione dell’attribuzione esclusiva dello Stato di stabilire con legge costituzionale il procedimento di approvazione e promulgazione della legge statutaria della Sardegna”. Stando a quanto sopra evidenziato, la lesione della competenza legislativa costituzionale statale sarebbe avvenuta con il compimento di un atto (la promulgazione) non adottato in conformità con quanto prescritto dalla legge costituzionale medesima.
Non sembra si possa condividere tale impostazione. Il potere di promulgazione è stato esercitato anche attraverso l’applicazione della normativa regionale (seppur di dubbia costituzionalità) sul referendum. Si sono già espressi in precedenza i dubbi di legittimità costituzionale di una legge regionale che incide su un ambito disciplinato dallo Statuto speciale – legge costituzionale. L’invasione della competenza legislativa statale sarebbe dunque ravvisabile nell’adozione della legge regionale “incompetente”, non in un atto applicativo della legge stessa. Ammesso comunque che in sede di conflitto intersoggettivo ciò sia ammissibile, ci si chiede: può costituire invasione di competenza legislativa l’adozione di un atto non adottato in conformità con la disciplina dettata in virtù di tale competenza? Proprio nel ricorso governativo, del resto, emerge che l’atto di promulgazione “è da ritenersi illegittimo in quanto in contrasto con l’art. 15 c. 4 dello statuto di autonomia”. Non si dovrebbe porre il problema in termini di legittimità? Peraltro, se dall’illegittimità di un atto discende, come immediata conseguenza, l’usurpazione o la menomazione di una competenza, la questione si potrebbe ancora considerare nei termini di un conflitto. Nel caso in esame, tuttavia, la censura si basa esclusivamente sul contrasto dell’atto di promulgazione nei confronti della disciplina statutaria. Il contrasto non menoma la competenza legislativa costituzionale statale. L’atto di promulgazione (costituzionalmente attribuito al Presidente della Regione), infatti, non integra né modifica la disciplina costituzionale contenuta nello statuto speciale. Piuttosto non è conforme ad essa: è, eventualmente, illegittimo. Il contrasto di un atto (adottato da un organo regionale) con il suo parametro normativo non comporta invasione di competenza solo perché il parametro è contenuto in una fonte statale. La competenza statale a disciplinare con legge costituzionale il procedimento di approvazione della legge statutaria sarda non è scalfita.
Nello stesso ricorso in questione, del resto, emerge tale incongruenza: si specifica, infatti, che l’interesse governativo ad impugnare l’atto di promulgazione sarebbe finalizzato ad “impedire che” la legge statutaria “acquisti efficacia definitiva”. L’entrata in vigore della legge statutaria eventualmente approvata in modo non conforme alle procedure, menomerebbe la competenza legislativa costituzionale dello Stato a dettare quelle procedure. Tale impostazione non sembra condivisibile.
La strada del conflitto di attribuzione tra Stato e Regione non sembra, dunque, percorribile. In attesa di una pronuncia della Corte costituzionale, l’unica modalità di accesso alla giustizia costituzionale ormai percorribile, si ritiene possa essere il giudizio in via incidentale.
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