Carbonia. Verso la guerra

5 Gennaio 2020
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Gianna Lai

 

Carbonia è stata fondata nel ‘39 in vista della guerra. Eccola ora vicina la guerra in questo nuovo post domenicale sulle origini del  centro minerario. Il primo è stato pubblicato domenica 1° settembre.

Impreparata a combattere sia militarmente che industrialmente, allo scoppio della guerra in Europa l’Italia si dichiara per la non belligeranza: ridicola e tragica insieme la propaganda degli ‘otto milioni di baionette’,  appare ‘ancora più evidente la dipendenza del nostro sistema economico dall’estero, in particolare a seguito della massiccia riduzione delle importazioni tedesche’, come fa notare  Rosario Romeo.  Tra i combustibili industriali occupa ancora il posto più importante il carbon fossile e sarà la stretta finale, che rinvia all’anno successivo l’entrata in guerra a fianco dell’alleato, ad imporre  al regime  di raggiungerne  al più presto il massimo dello sfruttamento.  ‘Carboni di non alto rendimento, quelli del bacino Arsa in Istria, del Sulcis in Sardegna e delle ligniti in Toscana e in Umbria’,  la cui produzione  passa ‘da meno di  un milione  di tonnellate  a tre milioni alla vigilia della  guerra’. Un nuovo impulso dato alla produzione e alla ricerca di nuove fonti energetiche,  che fa crescere nel mentre il numero dei dipendenti AcaI, dai 6.614 del marzo1938, ai 14.975 del 1939, ai 15.801 del 1940, solo in Sardegna. Complessivamente in Italia, dai 15.770 del marzo ‘38, ai 18.131 del maggio ‘39, ai 29.257 del giugno ‘40, questi ultimi così suddivisi: 19.109 in Sardegna,  9.425 in Istria, 723 nei cantieri di ricerca in Italia e in Albania. Rilevate le Ferrovie Meridionali Sarde, costruite dal Conte Tommasini negli anni venti e cedute  poi alla Fiat, che vi  sperimentò le prime automotrici littorine destinate all’Etiopia, è così che l’ACaI si prepara alla guerra, mentre diminuiscono  massicciamente le importazioni, le uniche per l’Italia, di carbone tedesco.  Ma si tratta di ‘un  incremento del prodotto nazionale, in funzione degli obiettivi bellici, estremamente costoso’ per lo Stato, secondo Enzo Santarelli, finanziatore dell’impresa anche attraverso la contrazione di mutui  con l’IMI. Di 53 milioni di lire, il primo, da destinare all’ACaI, per  costruire in Sardegna nuovi impianti, Littoria prima, Littoria quinta, Tanas e Cortoghiana nuova e il pozzo di Is Terrazzus e Vigna, che sarebbero dovuti entrare in funzione nel ‘41. E la teleferica di Bacu Abis, verso Portoscuso, dopo il potenziamento del suo attracco a mare. Un altro mutuo di 30 milioni viene acceso per  finanziare le ricerche di combustibili fossili sul territorio nazionale, nella Carnia, in Liguria, in Dalmazia, in Toscana, in Umbria, in Calabria e, in Sardegna, a Tratalias, Narcao e Carloforte, senza tuttavia ottenere esito positivo alcuno. Così ‘le ricerche di petrolio, ad opera dell’AGIP, in Italia e in Albania, che non approdarono ad alcun risultato’, destinato pur sempre a rimanere ‘povero di  fonti di energia,  il paese’, nonostante la quantità enorme di danaro speso, in quegli anni, a sostegno dell’intera operazione, dice E. Santarelli. Questi gli ‘indirizzi autarchici’, a fianco ai programmi di rafforzamento della difesa nazionale:  costruzione di navi da guerra e di equipaggiamento di artiglieria per l’esercito, rafforzamento dell’industria aereonautica, ecc. Più del 10% del reddito nazionale  utilizzato per le spese militari, ancora rastrellando il risparmio e dirottandolo verso le grandi concentrazioni industriali, ancora  premendo sul consumatore  con nuove imposizioni fiscali, ancora  riducendo il valore reale dei salari e abbassando il tenore tenore di vita degli strati popolari. ‘Vivere intensamente nella mistica dell’Autarchia, qualsiasi ‘resistenza attiva o anche solo teorica alle direttive autarchiche, un sabotaggio, che deve essere severamente colpito’,  mentre le banche continuano ‘a rastrellare dal mercato interno il denaro necessario per  l’ampiamento degli impianti, che a sua volta consente l’aumento di capitali e di profitti e di far fronte alle crescenti commesse dello stato’. Motta, Agnelli, Cini, Volpi, Pirelli, Donegani, Falk e pochissimi altri dominano completamente i vari rami dell’industria, traendo grande profitto dalla  politica di protezionismo e nazionalismo economico  del regime, i ‘padroni del vapore’, come li definisce Ernesto Rossi, ‘il supercapitalismo italiano, la definizione di Enzo Santarelli, inflazionato dalle protezioni della linea finanziario-produttivistica attuata dal regime’.

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