La bella vita di Rita, la grande

22 Aprile 2009
Nessun commento


Red

Oggi Rita Levi Montalcini compie i suoi primi 100 anni.

Per il suo centesimo compleanno non avrebbe voluto festeggiare. Poi ha dovuto cedere e venerdì 17 e’ cominciata una settimana di celebrazioni. A dare il via alle cerimonie l’incontro organizzato dall’Istituto Superiore di Sanita’. Sabato scorso è stata all’Accademia dei Lincei, della quale e’ socia dal 1976. Il 20 una cerimonia al Quirinale con le belle parole del Presidente Napolitano. Oggi, giorno del compleanno, a farle gli auguri sara’ anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.

Ecco una bella intervista rilasciata nei giorni scorsi a Gabriele Beccaria, de La Stampa, che riassume molto bene la straordinaria vicenda culturale ed umana del Premio Nobel. 

Cento anni alle spalle, 100 anni davanti. Primo Nobel a compiere un secolo di vita, per Rita Levi Montalcini il tempo ha la forma circolare degli antichi. Gli studi cominciati in isolamento da ragazzina continuano oggi in team e indagano nuove strade con cui curare le malattie del cervello, mentre la passione per la causa delle donne è intatta: l’ex pioniera è senatrice a vita e aiuta con la propria fondazione le giovani africane. Nel salotto romano, davanti alla medaglia del Nobel, un pettine etrusco e una piccola scultura di Arnaldo Pomodoro, circondata dai quadri della sorella gemella Paola, da un Casorati e un De Chirico, racconta un’avventura infinita.

Professoressa, il 22 aprile sarà il suo compleanno. Il segreto per arrivare ai primi cento anni?
«Il disinteresse totale alla persona. Non muoio io, muore il corpo. Noi sopravviviamo con i messaggi che abbiamo disseminato e mi fa piacere che quello che faccio continuerà».

Qual è il limite biologico della vita?
«Non lo sappiamo. Ciò che conta è mantenere il cervello costantemente attivo, anche se il corpo può lentamente decadere».

Lei non si scoraggia mai?
«Io sono ottimista. Il pessimismo è una sconfitta in partenza».

Un convegno - «Brain in healt and disease» - la celebrerà e due giorni prima il Presidente della Repubblica la festeggerà al Quirinale: intanto ha scritto un altro libro.
«Si intitola “Le tue antenate”. Ho analizzato la storia delle battaglie e delle scoperte femminili, dall’antichità a oggi. Con enorme fatica ho trovato 70 donne, a partire da Ipazia».

Lei ricorda tanti «scippi» intellettuali dei maschi.
«Spesso i contributi femminili passavano sotto il nome del marito o del padre. Un esempio è Emmy Noether, fondatrice dell’algebra moderna, che tra il 1915 e il 1919 fu costretta a insegnare a Göttingen con il nome di David Hilbert. Molte donne sono state mutilate nelle capacità intellettuali, secondo il famoso principio “Chi cerca la murusa se regordi: che la piasa, che la tasa, che la staga in casa”. Le piace?».

Oggi è tutto cambiato. O no?
«Un momento. La situazione è cambiata nei Paesi ad alto sviluppo. Non certo nel resto del mondo, dove la donna è umiliata e distrutta».

Le scienziate aumentano, eppure la scienza non è molto amata: sospetti e superstizione dilagano. Perché?
«Se mettiamo il lucchetto al pensiero dell’homo sapiens, distruggiamo i vantaggi dell’evoluzione».

Dalla fecondazione alle staminali, fino al testamento biologico: l’Italia è sempre in retroguardia.
«E’ la scienza che ci rende diversi. Non utilizzarla vuol dire bloccare le nostre capacità mentali. Penso alle donne che lavorano nei miei laboratori all’Ebri. Vado tutte le mattine a seguirle. Ho il privilegio di un passato che mi permette di ricordare cose che loro non sanno».

Un ricordo?
«Il 1918. Gli uomini erano al fronte e per compensarne la mancanza c’erano le bigliettaie: andavo da un tram all’altro per avere la gioia di vedere le donne in divisa. Mi sembrava un successo formidabile».

Lei ispira molte giovani donne.
«A 20 anni dissi che non volevo essere né moglie né madre. Mio padre era un vittoriano. Rispose: “Capisco che non posso impedirtelo”.

Non si è pentita di una scelta di vita tanto radicale?
«Mai. Prima ancora di scoprire il famoso fattore di crescita nervoso NGF sapevo che doveva esistere. Il mio maestro era Giuseppe Levi, pioniere delle colture in vitro».

Dalle ricerche pionieristiche degli Anni 30 al XXI secolo: il suo campo, le neuroscienze, sono in piena rivoluzione.
«Lo sviluppo della scienza ha portato alla caduta delle barriere tra discipline, come fisica, chimica, biologia e così via. Un tempo il cervello era riservato a pochi specialisti. Non è più così».

E’ un settore in cui l’Italia ha spesso brillato: giusto?
«Volta e Galvani hanno studiato vari aspetti dell’elettricità, compresa quella animale, mentre Golgi vinse il Nobel per gli studi sui neuroni. Si ricorda l’epitaffio maschilista? “Qui visse a balia Alessandro Volta presso Elisabetta Pedraglio, il cui marito gran costruttore di termometri, gli infuse col latte materno quell’amore per la scienza che lo portò alla pila”. Divertente, no?».

Un cammino che arriva all’Ebri, European Brain Research Institute: è l’istituto che lei ha voluto e che è diretto da Piergiorgio Strata.
«Abbiamo cominciato cinque anni fa e abbiamo già raccolto straordinari sviluppi, ma la situazione finanziaria è pessima. Nel 2007 avevo deciso di chiudere. Poi abbiamo ricevuto finanziamenti pubblici una tantum. Però siamo di nuovo in crisi».

E’ famosa la sua difesa della ricerca in Senato al tempo del governo Prodi: perché lo Stato vi trascura?
«Si muore per asfissia e per il disinteresse sulla ricaduta della ricerca nella vita sociale di tutti. Non utilizzarla vuol dire il suicidio. Ecco perché mi ha fatto piacere la visita del ministro Mariastella Gelmini, che si è dimostrata molto interessata all’istituto».

Voi studiate anche l’Alzheimer.
«Studiamo tante forme neurodegenerative. E le ricerche sull’attività del mio fattore NGF - una proteina essenziale per lo sviluppo e la sopravvivenza delle cellule nervose - si applicano a molti altri tipi di malattie, come quelle oculari».

Qual è il prossimo obiettivo?
«Ci sono formidabili possibilità con l’NGF, ma ci vogliono i mezzi. E mi dispiace che sia così difficile convincere l’industria a investire in nuovi farmaci».
Alla domanda se si sentiva emozionata per vedere intitolata al suo nome la Sala dei Nobel che ricorda anche gli altri grandi scienziati come Bovet e Chain che hanno lavorato all’istituto, la nostra longeva ricercatrice (il primo premio Nobel al mondo che raggiunge il fatidico traguardo del secolo) ha risposto «l’unica cosa che ancora mi emoziona è la vita e sono profondamente commossa di essere arrivata a questo punto, dopo un’esistenza vissuta con autentica gioia e continua curiosità. Posso dire che oggi le mie capacità mentali sono maggiori di quelle che avevo a 20 anni perché sono state arricchite da tante esperienze positive che mi hanno fatto constatare come non sono diminuite né la curiosità e il desiderio di essere vicino a chi soffre».

Infine, le sue alte parole all’incontro svoltosi  venerdì scorso all’Istituto Superiore di Sanità, nella ricostruzione di Giancarlo Calzolari.

«Il male assoluto del nostro tempo - ha affermato con forza Rita Levi Montalcini - è di non credere nei valori. Non ha importanza che siano religiosi oppure laici. I giovani devono credere in qualcosa di positivo e la vita merita di essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono anche dopo la nostra morte. Ai giovani - ha aggiunto - auguro la stessa fortuna che mi ha condotto a disinteressarmi della mia persona, ma di avere sempre una grande attenzione nei confronti di tutto ciò che mi circonda, a tutto quanto il mondo della scienza, senza trascurare i valori della società. E pensare - ha soggiunto - che non ero nata per fare lo scienziato, ma per andare in Africa ad aiutare chi ne ha bisogno. Da adolescente sognavo di emulare Albert Schweitzer a curare i lebbrosi. Adesso nell’ultima tappa della mia vita ho potuto finalmente aiutare le popolazioni sfruttate per secoli. Posso dire che l’unico ideale per cui ho lavorato è stato quello di aiutare gli altri e forse per questo la ricerca mi ha dato molto di più di quanto potessi sperare».
Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del consiglio, che l’aveva ringraziata, al momento dell’arrivo all’Istituto, per le parole di stima che la senatrice a vita ha avuto nei suoi confronti, era visibilmente commosso. Rita Levi Montalcini ha concluso con un pensiero ai giovani: «ai giovani posso dire: siate felici di essere nati in Italia per la bellezza del capitale umano maschile e femminile. A questo dobbiamo aggiungere le grandi capacità di lavoro intellettuale e soprattutto le straordinarie facoltà di intuito».

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento