Carbonia e i minatori per la grandezza dell’impero: la retorica inaugurale

13 Ottobre 2019
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Gianna Lai

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1938 Inaugurazione

Un altro post sulla nascita di Carbonia, il settimo, ogni domenica a partire dal 1° settembre.  

Autoritarismo e pugno di ferro contro gli oppositori, le vergognose leggi razziali a esaltare la superiorità degli italiani. E, nel contesto della politica estera, sostegno all’annessione nazista dell’Austria, avvenuta il 12 marzo, Patto di Monaco nel settembre, a sancire la fine della Cecoslovacchia e il rafforzamento dell’Asse Roma-Berlino, già consolidato nella guerra di Spagna, appena conclusasi con la vittoria fascista. Così andava il mondo nell’anno della costruzione di Carbonia, alla vigilia dell’inaugurazione della città. Mentre la politica interna del regime metteva in atto i principi teorici enunciati con la Carta del lavoro, inquadrando tutte le associazioni operaie e padronali nelle corporazioni, onde ottenere l’appoggio del grande capitale e il controllo su tutti i lavoratori.
Facendosi forte, per citare Girolamo Sotgiu di ‘una propaganda del cambiamento e della modernità, volta a influenzare i comportamenti collettivi in termini politici e ideologici, ad alimentare le speranze con l’esaltazione dei destini imperiali ai quali l’Italia, e con essa la Sardegna, era chiamata’ (in Storia della Sardegna durante il fascismo, Laterza, 1995). Così Carbonia, il Sulcis e la miniera declamati come due grandi successi del regime e della sua politica, fin già nella Mostra autarchica del minerale italiano, il 18 dicembre a Roma, in occasione del terzo anniversario delle sanzioni. Il plastico della città, del porto di Sant’Antioco, della laveria e il diorama delle miniera di Serbariu, a testimonianza di un futuro che si annuncia radioso.
E, proprio in quel mentre, a Carbonia, la cerimonia inaugurale di fondazione della città.
Vi domina la solita retorica, una pesante demagogia di regime fin nella scelta della data, stabilita in corrispondenza del Giorno della Fede, le fedi d’oro degli italiani donate al regime, 18 dicembre 1938-XVII dell’era fascista. Sull’incrociatore Bolzano, Mussolini raggiunge il porto di Ponte romano a Sant’Antioco, scortato dal ‘Duca degli Abruzzi’ e dai cacciatorpedinieri Grecale e Libeccio, con al seguito Starace, Alfieri, Santini, Cavagnari, Thaon de Revel e i componenti la Commissione suprema per l’autarchia. Dalla torre littoria ’simbolo della perennità della rivoluzione fascista sempre in marcia’, egli parla ad una folla di 50mila persone, fatte affluire in città da tutta la provincia, mentre a Cagliari la Confederazione dei fasci organizza un imponente raduno, che segue dagli altoparlanti il discorso dei gerarchi.‘Palpito ardente di un voto che sarà certo appagato’, annunciava fascistissima l’Unione Sarda in quella vigilia del 17 dicembre, pubblicando due giorni dopo, il 19 dicembre, il ‘fiero discorso del Duce a Carbonia’ e l’intervento di Starace sul raddoppiamento della città: verso i 50mila abitanti, fino a Cortoghiana, Bacu Abis e Portoscuso. E descrive in dettaglio, il quotidiano sardo, la visita di Mussolini e del suo seguito alla miniera, e poi al forno pilota per la distillazione del carbone a Sant’Antioco e, ultima tappa, a Ponti, due bambini in divisa, con fez e moschetto, a fare il presentat’arm al corteo dei cavalieri.
Il ‘duce’ assicura premi per I00 lire ai lavoratari della città, aumenti salariali di 10 centesimi l’ora ai minatori e assegna al Comune provvidenze fino a un milione di lire, per la costruzione del secondo lotto di alloggi, (v. I. Delogu, Carbonia. Levi editore, 1988, pag.104).
Frequenti da quel momento le visite di gerarchi e ministri, durante anniversari e cerimonie e parate fasciste, con premi assegnati alle maestranze una tantum, le buste paga invece, sempre poco rispettose dei Contratti nazionali, controllati direttamente dagli stessi Sindacati fascisti. Visite dei reali in città e nella miniera, cerimonie in onore dei tecnici tedeschi, con tanto di bandiere ornate di svastica alle loro spalle, come documentano fotografie ancora visibili nelle raccolte cittadine. E poi, sempre presenti, i giovani balilla alle manifestazioni, e gli avanguardisti e la Gioventù fascista del littorio, le associazioni paramilitari di giovani, rigorosamente inquadrati, pure in occasione di cerimonie come la raccolta della lana, cosi esemplare in Sardegna se, per risparmiarla, di orbace vestirono i gerarchi fascisti, da quel momento, ‘l’alto contributo dell’Isola alla politica autarchica’, come ironicamente il professor Girolamo Sotgiu commenta quella campagna nazionale (in Storia della Sardegna durante il fascismo, cit., pag. 233).
Carbonia per la produzione di guerra. La formazione culturale e politica dei minatori avviene ‘dentro una società gerarchica fortemente atomizzata’, dice il prof. Claudio Natoli nella Relazione al recente Seminario sul Bacino minerario del Sulcis, da lui organizzato presso l’Università di Cagliari, Anno Accademico 2018-19. Educati al militarismo e al dovere di obbedire con entusiasmo, impensabile la ribellione, lo sciopero un delitto, nelle numerose adunate del regime che celebra se stesso, la propaganda fascista esalta gli abitanti di Carbonia ‘come operai soldati’. E ne pretende in cambio gratitudine, già nelle parole del Prefetto Canovai di Cagliari, che scrive a Mussolini, in data 23 dicembre 1938, ‘ha visibilmente commosso gli operai il discorso del Prefetto Canovai (sic!), a Serbariu, che hanno manifestato i sentimenti di riconoscenza e devozione al Duce’. E, in piena emanazione delle vergognose leggi razziali, ancora su L’Unione Sarda, una lode ai minatori ‘combattenti dell’autarchia’, per la loro abnegazione, ‘i più puri esemplari della razza mediterranea, in quanto nei secoli non vi è stata mescolanza con elementi eterogenei e le loro buone qualità spiegano come non siano perite sotto l’azione millenaria di condizioni ambientali sfavorevoli’. A firma di tale A. Lancellotti, 15 giugno 1939. Mentre già magnificava dirigenti e operai di Carbonia, come veri ‘combattenti dell’Autarchia’, il colonello Traiano, della VII^ Delegazione di guerra, ospite a Cagliari nel marzo del 1938: ‘Dirigenti e operai, voi ben meritate l’appellativo di militi del lavoro, perché sotto il controllo del Commissariato Generale per le fabbricazioni di guerra, avete toccato le note più alte della produzione necessaria sia per agguerrire l’esercito, sia per emanciparci dalla servitù dei prodotti stranieri’, L’Unione sarda, 8 marzo 1938. E ancora sentimenti di ‘riconoscenza e devozione’ ai fascisti di Predappio che, l’11 marzo del ‘39, portano in dono alla città una riproduzione del monumento ad Alessandro Mussolini, padre di Benito (v. Lettera del podestà al Segretario particolare del duce, in nota del Ministero dell’interno, 5.3.1939). A sintesi di tale corrispondenza di amorosi sensi, ‘Duce tu sei tutti noi’, si legge in caratteri cubitali sui muri della sezione del fascio, scorrendo le raccolte di fotografie cittadine dell’epoca: in applicazione, chissà, della dottrina della ‘mistica fascista’ come impegno totale per realizzare i valori supremi della nazione, alle grandi organizzazioni di massa, il compito di contribuire al processo, da tempo iniziato, verso l’integrazione di tutta la società nello Stato.
Propaganda e ideologia, tra i preparativi della guerra imminente, gli operai di Carbonia mobilitati come veri ‘difensori della Patria’, così diffusamente il partito intendeva caratterizzare in modo emotivo la vita pubblica della città, come del Paese, senza che mai si riuscisse, tuttavia, in miniera, a tenere sotto controllo sfiducia e scoramento, a impedire assenteismo e rinuncia e continui abbandoni, a causa della così precaria esistenza in città e nei luoghi di lavoro. Che si fosse minatori o addetti allo scavo dei pozzi, operai dell’edilizia o scaricatori del porto di Sant’Antioco, addetti alle bonfiche o braccianti dell’Azienda agraria, ancor di più questi ultimi, tutti i dipendenti delle imprese d’appalto, sottoposti a contratti a termine, in cambio di salari di fame, sia prima della guerra che nell’immediato secondo dopoguerra.

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