A.P.
Ho sempre ritenuto che il diritto sia accettabile (non dico giusto) quando risponde al buon senso. Così è del tutto ragionevole, al di là di ogni credo, che in casi come quello del Dj Fabo o della Englaro di Uelbi, ci sia l’assistenza pubblica al fine vita. Non è prudente invece generalizzare, non tener conto delle tante sfumature. Il buon senso, la ragionevolezza sono il contrario dell’uso dell’accetta, i casi devono essere analizzati uno per uno, onde coglierne le diversità anche impercettibili con situazioni simili. Si ricordi che la vita e la morte non hanno solo rilevanza sul piano etico generale o religioso, ma hanno degli effetti pratici e giuridici molto rilevanti. Pensate all’eredità. Non c’è solo il caso banale dell’erede che attende con ansia il decesso del de cuius, ma ci sono anche cambi di linea ereditaria a seconda che muoia prima l’uno o l’altro. Pensate ai coniugi senza figli, a seconda che muoia prima l’uno o l’altro può mutare la titolarità dei patrimoni. Poi ci sono gli infiniti casi in cui il decesso spiana la strada a nuove relazioni sentimentali o economiche. Questi brevi cenni per dire che, onde evitare abusi, il suicidio assistito dev’essere circondato da cautele e condizioni molto articolate. La ragionevolezza è indissolunilmente legata ad una adeguatezza della soluzione al caso concreto.
Ecco perché la decisione ’storica’ della Corte Costituzionale esclude la punibilità dell‘aiuto al suicidio - contemplato dall’articolo 580 del codice penale che prevede pene tra i 5 e i 12 anni di carcere - solo a “determinate condizioni”. Quella in cui si trovava Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, che, irreversibilmente cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, aveva deciso di andare a morire in Svizzera, come poi è accaduto il 27 febbraio 2017,è una situazione particolarmente chiara, quasi paradigmatica. Ma non sempre è così. Ecco perché è “indispensabile l’intervento del legislatore”. Perché occorre circoscrivere la “non punibilità” di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio” ai casi in cui esso si sia autonomamente e liberamente formato” in capo ad “un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
E per “evitare rischi di abuso” nei confronti delle “persone specialmente vulnerabili”, il ‘giudice delle leggi’ fissa ‘paletti’, ossia “condizioni e modalità procedimentali” desunte da leggi già in vigore: la “non punibilità” dell’aiuto al suicidio, dunque, viene “subordinata” al “rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua”, di cui parlano gli articoli 1 e 2 della legge 219/2017 in materia di consenso informato e Dat, nonché alla “verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Ssn, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”.
“Da oggi siamo tutti più liberi” dice giustamente Cappato. Ma, attenzione!, a non indurre il convincimento che d’ora in avanti ognuno potrà agire senza limiti e condizionamenti. Non è e non dev’essere così.
1 commento
1 Aladinpensiero
26 Settembre 2019 - 15:58
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