Esperienze giudiziarie su presunte violenze su minori

30 Luglio 2019
1 Commento


Andrea Pubusa

Nella mia esperienza professionale ho avuto l’occasione di occuparmi di casi di (ipotetica) violenza sessuale sui minori e sono stati tutti casi agghiaccianti.
Il primo riguardava un giovane lavoratore di P. Vesme, accusato da una ragazzina del suo palazzo di violenza sessuale. La denuncia di questa adolescente fu presentata mentre divampava una morbosa campagna di stampa su un episodio simile, nel quale la ragazzina coinvolta assumenva (suo malgrado) il ruolo di protagonista.
Chiamai quel lavoratore, che conoscevo per il suo impegno sindacale, e a quattr’occhi gli chiesi se mai avesse molestate la sua giovanissima vicina di casa. Ebbi una netta risposta negativa, che mi parve veritiera. Mi misi allora a ricercare su casi simili e trovai una vasta bibliografia, una miniera di precedenti, nei quali la violenza era frutto dell’invenzione della donna. E’ una materia questa che stimola la fantasia e il desiderio di attenzione. Ricordo che, in un caso clamoroso del passato, l’accusato venne addirittura giustiziato, e la giovane, diventata adulta, ammise di aver mentito.
Mi misi al lavoro e il caso si risolse positivamente, grazie alla cura del giudice che presiedeva allora una delle sezioni penali del Tribunale. La qualità del magistrato, la sua comprensione dei fatti della vita, in questi casi è decisivo.
Il secondo caso è piuttosto frequente. Madri, che, in fase di separazione, accusano i mariti di attenzioni sessuali sulle figliolette, per ottenere l’inibizione di vederle. In questi casi c’è sempre di mezzo la relazione di una psicologa o di un’assistente sociale. Si partì da una relazione paurosa per la sua inconsistenza. Nel caso da me trattato ebbi ancora la fortuna di avere a che fare con una giudice scrupolosa, che dispose una perizia nominando un esperto molto serio e rigoroso. La bambina fu sentita e i risultati smentirono clamorosamente la madre. Ma nel frattenpo il padre fu privato dei contatti con la figlia, e la pena coinvolse anche i nonni paterni.
Il terzo caso è ancora più allucinante. Due gentori di un Comune dell’hinterland cagliaritano non hanno più trovato la filioletta all’uscita dall’asilo. Tramite un compagno del PCI si sono rivolti a me e così sono venuto a sapere che l’ordine era partito dal Tribunale dei minori, su segnalazione di una delle maestre. I fatti sono incredibili. La bambina avrebbe chiesto ad un amichetto di fargli vedere il pisellino. Cosa del tutto naturale, che i bambini, hanno sempre fatto. Da che mondo è mondo la diversità sessuale crea curiosità. Scattano gli accertamenti, e qui c’è la solita psicologa disinvolta. Guarda i disegni della bambina e vede falli e richiami sessuali dappertutto. La colpisce il disegno di una fila di elefantini, nella quale la proboscide dell’uno è vicina al fondo schiena del precedente. Fondoschiena-proboscide è chiaro…pene e vagina!
In un altro foglio, poi, il soggetto centrale era un grosso un serpente, e anche qui la psicologa cosa vide nel rettile? Manco a dirlo, un bel pene.
Conclusione, la bambina fa quei disegni perché in casa vede scene di sesso.
La bambina fu così rapita ai genitori, ai quali non si diede alcuna notizia della figlia per circa un anno. La particolarità del caso è che al bambino che fece vedere il pisellino alla malcapitata amichetta non fu torto un capello. Che abbia inciso sulla disparità di trattamento il sesso dei due bambini? Solo la bambina che s’incuriosisce sul pisellino è da correggere, non il bambino che mostra il pisello o s’incuriosisce della passerina. E ancora, il fatto che la bambina veniva da una famiglia povera, mentre il bambino aveva genitori acculturati ha inciso sulla psicologa e sulla magistrata? Ho sempre pensato che in quel caso ci fosse discriminazione sessuale e sociale.
Fatto sta che ci volle un anno per risolvere la questione, nonostante io abbia potuto produrre al giudice un libretto con racconti per bambini nel quale si parlava degli elefantini e c’era un disegno in cui gli animali erano allineati proprio come quelli trovati nel quaderno della bimba. Aveva anche un libretto in cui si parlava di un serpente, che vi era raffigurato come nei disegni della piccola. Mostrai al giudice anche qualche disegno di mio figlio quando era all’asilo, dove il fumo e i cespugli assumevano talora forme strane, volendo (con la fantasia della psicologa) riconducibili ad un pene. Fatto sta che alla fine la giudice si convinse che il sequestrro della bimba era immotivato e ne ordinò la cessazione. Immaginate come hanno vissuto quell’anno quei poveri genitori e cos’avrà pensato la piccola della separazione dalla famiglia. D’essere stata abbandonata?
Non si dimentichi poi che dietro questa famiglia c’erano alcuni compagni della sezione del Partito comunista che presero a cuore il caso, mi contattarono per occuparmi della vicenda, e lo feci con passione senza gravare sui quei poveracci. E se questa famiglia non avesse avuto accanto quei compagni comunisti (sia detto fra parentesi: questo era il PCI)? E se non avessero avuto una difesa tecnica gratuita, ma adeguata, col sostegno di un gruppo di compagni premurosi?
Certo i casi possono essere vari e ci sono anche casi di segno opposto. Quanto diceva Tonino l’altroieri sulla necessità di rafforzare i servizi di base, anche sul piano professionale, mi sembra una verità solare. Pure per i giudici bisogna andare oltre la dottrina giuridica.

1 commento

Lascia un commento