Francesco Cocco
La convinzione che alla Sarda rivoluzione rimonti l’idea di autogoverno dei sardi è diffusa nell’intellettualità sarda con varie declinazioni. Francesco Cocco esprimeva questo convincimento in questo scritto del 2008, nel 60° dello Statuto sardo, dal titolo “D’onde origina lo Statuto sardo?”.
Con legge costituzionale del 26 febbraio ‘48, sessant’anni or sono, veniva approvato la statuto speciale per Sardegna. Un grande evento per la nostra Isola, da collegare storicamente al nascere ed al diffondersi di una coscienza autonomistica di massa durante i terribili sacrifici imposti ai combattenti della Prima Guerra Mondiale. Se si vuol capire il fenomeno si pensi a come quegli eventi bellici furono alla base di trasformazioni profonde che sconvolsero l’intero pianeta e particolarmente l’Europa. Fu il maturare d’idee spesso in incubazione da secoli. Fra gli avvenimenti che presero avvio da quella guerra spicca la Rivoluzione d’ottobre che cambiò radicalmente lo scacchiere politico mondiale.
Alla fine del conflitto nacque un’intensa circuitazione d’idee ed un intrecciarsi di rapporti a livello nazionale ed internazionale. A mo’ d’esempio voglio ricordare che una delegazione dell’Internazionale Contadina, espressione del nuovo potere sovietico che aveva preso il potere in Russia, presenziò nel 1920 al congresso di Macomer dei combattenti da cui l’anno successivo prenderà avvio il PSd’Az. Anche la Sardegna, quindi, in qualche misura partecipò a quella temperie storica, a cui seguì lo sconvolgimento di assetti politici e sociali che sembravano immutabili.
Le trincee scavate negli altipiani dolomitici e carsici furono un grande veicolo per comunicare le idee di riscatto sociale e di autonomia della Sardegna che erano andate maturando a partire dai moti angioiani della fine del 1700. Queste idee avevano poi animato tutta la lotta politica e culturale dell’Ottocento sardo. Infine nei primi tre lustri del Novecento si erano concretizzate in specifiche istanze rivendicative sia di ordine economico che istituzionale. Significativo il fatto che Attilio Deffenu, fondatore della rivista “Sardegna”, morto nel 1918 da combattente, fosse ufficiale addetto alla propaganda. In questa sua veste aveva messo in rilievo la necessità di motivare i soldati sardi facendo presente che la guerra era combattuta anche per il riscatto economico e sociale della Sardegna.
Deffenu portava avanti un’azione alimentata dalle inchieste parlamentari che avevano denunciato le gravi condizioni economiche dell’Isola. Alle inchieste erano seguite le proposte operative. Di particolare rilievo quelle dell’ing. Edmomdo Sanjust, futuro senatore del Regno, collaboratore di Francesco Cocco-Ortu nella stesura della legge 985 del 1913, alla quale si deve la realizzazione di importanti opere pubbliche (impianto idroelettrico ed irrigazione del Tirso). L’ing. Sanjust nel 1914 era stato relatore al convegno di Castel Sant’Angelo a Roma, passato alla storia come il primo convegno organizzato per esaminare i problemi della rinascita economica dell’Isola.
Nelle trincee confluivano conoscenze ed idee che le élite intellettuali sarde avevano sviluppato nei decenni precedenti. Così quei piccoli mondi separati, che allora erano i paesi della Sardegna, trovavano un comune terreno d’idealità. Nelle ore di noia tra un assalto e l’altro, i fanti sardi, prevalentemente contadini e pastori, si scambiavano conoscenze e riflessioni. A questo contribuiva un’ufficialità di complemento che nella vita civile condivideva spesso le stesse condizioni materiali ed ora in trincea soffriva gli stessi stenti. Tra gli ufficiali di complemento vi erano uomini come Emilio Lussu, Camillo Bellieni, il già citato Attilio Deffenu. Solo qualche nome tra i più conosciuti, alcuni dei tanti giovani intellettuali combattenti che poi costituiranno i ranghi dirigenti del Partito Sardo d’Azione, del Partito Socialista, del Partito Popolare: i grandi partiti di massa del primo Novecento.
La trincea divenne scuola d’impegno civile, così il linguaggio politico è ancora oggi profondamente influenzato da quello militare. Tuttora sono in uso termini come tattica, strategia, guerra di movimento, guerra di posizione, casematte e via dicendo. È un frutto di quella stagione storica. La rivendicazione dell’autonomia regionale divenne uno dei punti qualificanti del programma dell’associazione degli ex combattenti e poi del PSd’A che si organizzarono all’indomani della Grande Guerra. Problematiche che entreranno anche nei programmi del movimento operaio, e segnatamente in quello del P.C.d’I. quando Antonio Gramsci ne diverrà segretario generale.
In quegli anni prende forma un moderno sentire sardista, che si organizza politicamente e si diffonde al di là delle élite intellettuali. I sardi escono soprattutto da un indistinto sentire regionalista. Nasce il sardismo quale lo conosciamo oggi. Il riferimento non è al pensiero di un qualche partito politico, piuttosto ad una nuova attenzione ai temi della nostra soggettività storica ed istituzionale. Insomma come consapevolezza diffusa di essere “popolo sardo”, unitariamente inteso, siamo nati con la prima guerra mondiale.
È quindi in quel momento storico che i temi della nostra soggettività storica diventano temi di massa. Prima non era certo mancata l’attenzione e l’elaborazione, ma non si era andati oltre le élite intellettuali. Il canonico Giovanni Spano, grande archeologo, rettore dell’Università di Cagliari, nella sua prefazione al vocabolario sardo parla di “nazione sarda”, ed ancor prima il Manno parla di “popolo sardo”. Non è un richiamo a propugnatori d’idee separatiste. Giuseppe Manno è stato presidente del Senato subalpino, poi dopo il 1861 il primo presidente del Senato del Regno. Da giovane era stato segretario di Carlo Felice. Quindi al servizio di Casa Savoia e talmente immerso nelle faccende sabaude che qualcuno ha avanzato l’ipotesi che fosse a conoscenza del fatto che le Carte d’Arborea erano dei falsi.
Sottolineo queste cose perché qualche decennio fa espressioni come “popolo sardo”, “nazione sarda” avevano, ed all’orecchio di molti hanno ancora, una valenza eversiva. Cercheremo poi di vedere perché questo è accaduto. Se è vero che certi temi diventano di massa solo a partire dalla prima guerra mondiale è altrettanto vero che, come già sottolineato, a livello di élite intellettuali circolavano da oltre un secolo. Anche nei secoli precedenti vi era un’idea di sardità in contrapposizione alla dominazione spagnola, ma era un sentimento di appartenenza (come si direbbe oggi) più che una precisa consapevolezza di soggettività di popolo, quale noi la intendiamo.
Non è il caso qui di esaminare se l’idea ed il senso della nostra autonomia nascano o meno con i Giudicati o alla fine del Settecento, con la grande rivoluzione antifeudale che ebbe il suo condottiero in Giovanni Maria Angioy. Può essere una discussione interessante dal punto di vista storico-istituzionale, ma ci porterebbe molto lontano e soprattutto non sarebbe concludente rispetto al tema che vogliamo affrontare. Quel che possiamo sostenere con certezza è che la moderna idea della nostra soggettività di popolo comincia ad affermarsi alla fine del Settecento sull’onda dei valori affermatisi con la Rivoluzione francesce. Essa si affaccia nella storia passando attraverso l’idea di libertà. Non è accaduto molto diversamente dal resto d’Italia.
Durante tutta la prima metà dell’Ottocento, ancor prima che per l’unità nazionale italiana, si lotta per diventare cittadini con diritti costituzionalmente garantiti, per affermare un’idea di libertà. Si pensi ai moti del 21 nel Regno delle due Sicilie, poi a quelli del Piemonte e degli altri staterelli della Penisola. Il motore di questo processo storico è essenzialmente la borghesia che mira ad abbattere il sistema di privilegi propri dei vecchi regimi dinastico-feudali. Una classe sociale, quindi, che lotta contro i poteri satrapici dei vari re e granduchi e chiede di essere garantita con lo statuto.
È a metà dell’Ottocento che emerge con forza il problema dell’unità, concepita come strumento per raggiungere l’indipenza nazionale e per realizzare il disegno dinastico sabaudo. Nello stesso periodo in cui prende forma la coscienza nazionale unitaria italiana comincia a delinearsi in Sardegna l’idea della “nazione sarda”. A portarla avanti è una borghesia particolarmente debole che non ha la forza d’imporla con la pienezza della statualità. Quest’idea di nazione sarda riuscirà ad affermarsi come semplice momento della più ampia compagine nazionale italiana, pur con la consapevolezza di nostre caratteristiche specifiche. La “Perfetta Fusione” del novembre 1847 nasceva quindi da una sostanziale consapevolezza di essere una “nazione mancata” che non aveva avuto la forza di affermarsi per mancanza di un reale motore sociale trainante.
È così che a metà Ottocento nasce la moderna ideologia sardista, con tutte le sue pontezialità culturali ma anche con tutte le frustrazioni di un processo storico incompiuto. In questo contesto, alcuni grandi spiriti dell’Ottocento come lo Spano, il Siotto-Pintor, il Tuveri (solo qualche nome tra i tanti) lavorarono all’approfondimento di una coscienza nazionale sarda nell’ambito di una più ampia coscienza italiana, comprendendo già allora che i due momenti - nazione sarda e nazione italiana - non erano di per sé confliggenti.
Un tale processo storico non è avvenuto per pacifica dialettica d’idee. È frutto di grandi lotte sociali. L’abolizione del feudalesimo in Sardegna realizzato nel biennio 1836-38 (avocazione allo Stato delle giurisdizioni e riscatto dei diritti feudali) è preceduta da sanguinose rivolte sociali. Tra i più significativi ricordiamo i moti di Thiesi e Santu-Lussurgiu del 1800; i moti galluresi del 1802 e del 1809; le congiure di Cagliari e di Sassari del 1812; i moti di Alghero del 1821. Dopo i moti del 1800, Thiesi fu saccheggiata da 700 soldati. Dopo la sollevazione del 1800, Francesco Cilloco fu squartato in piazza a Sassari. Dopo la rivolta di Palabanda del 1812 a Cagliari, Salvatore Cadeddu e gli altri patrioti vennero impiccati nella pubblica piazza. Ad Alghero, dopo i moti del 21, furono ben dodici le condanne a morte eseguite senza un minimo senso di umana pietà: le teste di quei martiri vennero issate su picche per terrorizzare le popolazioni locali.
Pagine della nostra storia taciute al fine di marginalizzare la nostra identità. Per occultarla pensando che questo potesse affievolire il nostro sentirci parte della più ampia comunità italiana. Era un modo sbagliato di porre il problema. Era un agire politico-culturale che si riallaccia soprattutto al ventennio fascista, e che ebbe soprattuto nel Solmi l’artefice di questa operazione da arcana imperii. Arrigo Solmi era uno storico del diritto che ha insegnato a lungo all’Università di Cagliari prima di passare a quella di Roma. Durante la sua permanenza nell’Isola ha fondato l’Archivio Storico Sardo; poi è stato Ministro di Grazia e Giustizia, nonché senatore del Regno. La sua operazione culturale è consistita principalmente nell’ancorare la storia sarda a quella di Roma, e per il medioevo di agganciarla saldamente alla storia di Genova e Pisa.
Non era certo la falsificazione dei fatti, rispondenti alla realtà, ma il problema ero quello di un ottica che sostanzialmente mirava ad occultare il nostro specifico identitario. Qui stanno anche le motivazioni di quanto prima affermato su certe parole come “nazione sarda” e “popolo sardo”, guardate con sospetto sino a qualche decennio fa. Non si dimentichi che certe posizioni storiografiche, segnatamente quella del Solmi, in periodo fascista erano vere e proprie “verità di Stato”.
La nostra storia identitaria era però talmente forte e radicata nella coscienza popolare che anche durante il ventennio fascista certi temi finivano per emergere, anche perché una parte del P.S. d’Az era confluita nel partito fascista (operazione Gandolfo). E così un po’ del sentire sardista era sopravvissuto nella vita culturale del tempo. Il persistere di questo sentire autonomista farà sì che, ancora prima della fine del Secondo Conflitto Mondiale, il 27 gennaio del 1944 venisse istituito l’Alto Commissariato per la Sardegna. Era la prima pagina della nostra vigente autonomia regionale. Le pagine successive che verranno scritte a partire dal 1949, con la elezione del primo Consiglio regionale, raramente saranno all’altezza dei grandi spiriti che ne avevano creato le premesse storiche.
1 commento
1 Aladinpensiero
30 Agosto 2019 - 09:46
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=99743
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