Crescita e costituzionalizzazione dell’insularità

23 Luglio 2019
2 Commenti


Gianfranco Sabattini

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Da tempo si “agita” un variegato “comitato” per chiedere al Parlamento italiano l’inserimento in Costituzione del “principio di insularità dell’Isola”. Ma a che pro? In astratto, si può supporre che l’iniziativa sia volta a chiedere che la Sardegna venga messa in una “condizione di indifferenza” circa il costo della mobilità di merci e persone rispetto a qualsiasi altra regione del resto del Paese. E’ questo il problema da sempre “agitato”, ma mai risolto, della cosiddetta “continuità territoriale” dell’Isola.
Il rinnovato impegno col quale viene affrontata questa antica questione corrisponde al convincimento che la soluzione del presunto ritardo sulla via della crescita e dello sviluppo della Sardegna possa essere resa possibile facendo appello alle ragioni che hanno giustificato, nel 1948, la concessione all’Isola dell’Autonomia speciale; ma le modalità e gli intenti con cui oggi il problema viene sollevato dai componenti il “comitato” non differiscono da quelle seguite da coloro che nel passato si sono mobilitati per la sua soluzione.
Il “comitato”, infatti, si limita a chiedere la costituzionalizzazione di un principio, quello dell’insularità, senza il supporto della indicazione, in termini di analisi critica dell’esperienza sin qui vissuta in fatto di crescita e sviluppo della Sardegna, dell’obiettivo al quale l’accoglimento della richiesta dovrebbe essere finalizzato. La mobilitazione, perciò, solleva il dubbio che essa sia destinata a confermare il carattere “querulo” della specialità dell’Autonomia, cioè in motivo per chiedere a favore dell’Isola ulteriori trasferimenti di risorse pubbliche (nazionali ed europee) solo per migliorare il reddito “disponibile dei sardi”, e non per aumentare quello da loro prodotto all’interno dell’Isola, come sinora è prevalentemente accaduto; ne è prova il fatto che il “comitato”, nel portare avanti la propria iniziativa, mostra di non conoscere quanto accaduto, con riferimento al problema della “continuità territoriale”, nei quasi settant’anni di politica di crescita e sviluppo della regione.
In Sardegna, il dibattito sul problema dei trasporti è sempre stato largamente influenzato dal riferimento all’incidenza del costo del servizio sul costo finale dell’oggetto trasportato (o, nel caso di passeggeri, del costo del trasporto rispetto a parametri quali il reddito prodotto o il reddito consumato pro-capite); su queste basi, la posizione di partenza per la soluzione del problema dei trasporti da e per l’Isola è sempre stata individuata nel perseguimento dell’obiettivo della “continuità territoriale”. Questa condizione ha comportato la presentazione di reiterate proposte finalizzate ad estendere ai trasporti marittimi il sistema tariffario più conveniente delle linee di trasporto alternative in terraferma (di solito quello ferroviario).
In realtà, l’affrancamento della Sardegna dai limiti e dai condizionamenti dell’insularità dipende, non tanto dall’acquisizione di una “continuità territoriale” di natura tariffaria, quanto dall’acquisizione di una generalizzata mobilità territoriale di persone e cose; funzione, questa, non solo di basse tariffe, ma anche della certezza e della continuità del servizio, connesse alla eliminazione di qualsiasi causa di sospensione della sua erogazione e della disponibilità di mezzi vettori sufficienti a far fronte in ogni momento alle esigenze straordinarie (quali, ad esempio, le cosiddette “punte stagionali”).
Da quanto detto consegue, perciò, che la variabile strategica, rispetto alla quale si doveva concepire una politica dei trasporti, per un’area come la Sardegna, separata dalla terraferma, doveva essere di natura composita e tale da comprendere elementi sia tariffari che extratariffari; gli uni e gli altri dovevano essere considerati strettamente interconnessi, tali da rendere del tutto inutile qualsiasi intervento dimensionato rispetto agli uni, ma nella assoluta ignoranza degli altri.
Va anche considerato che la prospettiva all’interno della quale sono stati formulati i diversi “piani regionali dei trasporti” adottati nel passato ha sempre previsto la soluzione del problema dei collegamenti dell’Isola con l’esterno scontando l’ipotesi che le scelte assunte in un dato momento fossero valide anche per il futuro. In altri termini, gli scenari sulla base dei quali venivano formulati gli obiettivi di crescita materiale e di sviluppo qualitativo dell’Isola, quindi le conseguenti previsioni di crescita della domanda di servizi di trasporto, non mettevano mai in discussione le scelte localizzative effettuate in passato, e tanto meno evidenziavano criticamente il loro impatto sulla capacità di evoluzione positiva del sistema economico e della società civile regionale.
I cosiddetti piani regionali dei trasporti (relativi a persone e cose), poiché formulati trascurando ipotesi alternative di crescita e di sviluppo, altro non sono stati che piani regionali strumentali, non all’attivazione di un processo di accumulazione endogena, ma alla conservazione di un’economia regionale precaria e subalterna; essi hanno concorso, perciò, a negare all’economia e alla società civile della Sardegna le opportunità che potevano essere tratte da una più approfondita integrazione dell’Isola, oltre che con il resto del Paese, anche con l’area mediterranea e con quella europea o mondiale.
Inoltre, la risposta al problema dei collegamenti interni della Sardegna avrebbe dovuto essere formulata tenendo conto di quella data al problema dei collegamenti da e per la Sardegna; ciò in conseguenza dell’ovvia necessità che le modalità di trasporto interno fossero collegate funzionalmente a quelle del trasporto esterno, da realizzarsi attraverso una più estesa intermodalità delle diverse forme di trasporto; anche in questo caso, quando l’intermodalità è stata realizzata (nei limiti in cui è stata realizzata) non sempre è risultata connessa con l’articolazione territoriale della base produttiva regionale e con la necessità che anche le singole articolazioni territoriali dell’economia dell’Isola risultassero collegate con l’esterno.
Nelle sue articolazioni territoriali, l’economia della Sardegna ha sempre sofferto dei “tempi morti” connessi con la trasformazione di una data “modalità” di trasporto in una “modalità” diversa (ad esempio, trasformazione del trasporto marittimo in trasporto su mezzi gommati, o su rotaie, ecc.); ciò, a causa delle tradizionali insufficienze che hanno sempre connotato le infrastrutture regionali di trasporto. Per il superamento di questi “tempi morti” sarebbe stato necessario che il completamento, o le eventuali correzioni e integrazioni dei centri intermodali, tenessero conto dei cambiamenti che venivano richiesti dalle dinamiche economiche territoriali dell’economia regionale e degli scenari internazionali ai quali sarebbe stato necessario legare la crescita della base produttiva dell’Isola e il miglioramento qualitativo della società civile regionale. Poiché ciò non è avvenuto, la risposta ai problemi dei collegamenti interni ed esterni della Sardegna è risultata del tutto sconnessa dalla politica di crescita-sviluppo attuata; di conseguenza, anche la risposta alle sfide poste dalla realizzazione di una intermodalità razionale delle varie forme di trasporto e alle urgenze imposte dalla mobilità interna di cose e persone sono risultate prevalentemente casuali.
Tenuto conto delle considerazioni sin qui svolte e dei risultati della politica economica regionale e di quella dei trasporti sinora attuate, il rapporto tra infrastrutture e processo di crescita-sviluppo dell’Isola merita una considerazione diversa rispetto al passato; tenendo conto soprattutto del fatto che, dall’inizio degli anni Ottanta, la Comunità Europea ritiene gli interventi infrastrutturali come una forma di sostegno pubblico dell’economia che causa minori distorsioni ai meccanismi di mercato, in quanto non altera, a differenza delle incentivazioni finanziarie dirette, i prezzi relativi dei fattori produttivi. L’infrastrutturazione concorre dunque a contenere l’incidenza dell’insularità sul livello dei costi di produzione delle imprese, dato che gli interventi infrastrutturali operano nel senso di una riduzione delle diseconomie localizzative presenti nelle regioni meno sviluppate, in favore di tutte le attività produttive e di un miglioramento della mobilità delle persone.
Nelle politiche d’intervento succedutesi nell’Isola a sostegno della sua crescita, quelle relative alle infrastrutture non sempre hanno colto e valutato le capacità propulsive degli investimenti in infrastrutture; ciò è valso a determinare, nell’esperienza della politica di crescita-sviluppo attuata in Sardegna, che le infrastrutture fossero realizzate secondo modalità poco appropriate, vanificando perciò la possibilità che fossero in grado di svolgesse un ruolo di propulsore generale dello sviluppo economico.
In conclusione, la richiesta di inserire in Costituzione il principio di insularità della Sardegna è oggi un falso problema, in quanto privo di valide giustificazioni; esso, in particolare, non è supportato da una chiara esposizione dell’obiettivo al quale la costituzionalizzazione del principio di insularità dovrebbe essere orientato. La predisposizione di un modello di crescita e sviluppo alternativo a quello sinora attuato è oggi condizione ineludibile per qualsiasi proposta finalizzata a porre rimedio ai risultati fallimentari della politica d’intervento regionale del passato.
Non essendo portatrice di un modello di crescita e sviluppo alternativo, l’iniziativa del “comitato” è priva di credibilità sul piano tecnico, in considerazione del fatto che attualmente una razionale politica di infrastrutturazione del territorio regionale sarebbe di per se sufficiente a garantire alla Sardegna migliori condizioni di crescita-sviluppo rispetto al passato. Anziché sprecare energie nel cercare di coinvolgere il Parlamento nazionale perché accolga la richiesta di costituzionalizzare il principio di insularità dell’Isola, sarebbe più opportuno che il “comitato” sviluppasse la sua iniziativa nei confronti del governo regionale, perché, abbandonando le tattiche e i dibattiti dilatori del passato, orienti la propria azione verso la realizzazione di una infrastrutturazione razionale dell’Isola.

2 commenti

  • 1 Aladin
    23 Luglio 2019 - 08:41

    Anche su Aladinpensiero: http://www.aladinpensiero.it/?p=98837

  • 2 aldo lobina
    24 Luglio 2019 - 15:55

    Sono d’accordo col professore. Occorrerebbe studiare un piano razionale, promuovendo una infrastrutturazione che faciliti le imprese, creando incubatrici di impresa, che lavorino in rete, attuando necessari collegamenti interni ed esterni.

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