Vincenzo Sulis, un capopolo balente ma miope

7 Agosto 2019
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Andrea Pubusa

 

 

Vediamo ora di focalizzare l’attenzione su alcuni dei protagonisti di quelle vicende a partire da Vincenzo Sulis. Chi fosse interessato ad un esame più ampio può vedere il volume di Vittoria Del Puano, Giacobini, moderati e reazionari in Sardegna. Saggio di un dizionario biografico, Ed. Castello, 1996.

Vincenzo Sulis, chi era costui? Certamente un balente, di bell’aspetto e carattere generoso, un uomo d’azione, con grande carisma e capacità di comando. E’ lui che nel 1793 organizza la difesa di Cagliari contro l’attacco della flotta francese, comparsa all’improvviso davanti alle coste di Cagliari e del sud della Sardegna. Fu un attacco dilettantesco, ma senza l’azione di Vincenzo Sulis la storia sarda avrebbe avuto un diverso andamento. Quest’uomo, con un passato malandrino per via della rottura col padre-padrone e le sue pessime frequentazioni giovanili (Baccaredda), organizzò i cagliaritani, convogliò nel capoluogo e dintorni una specie di esercito popolare fatto di giovani sardi con cavallo e fucile, reclutati in molti comuni dell’Isola e diede ai francesi l’impressione di una resistenza fiera e robusta. E così le truppe della Grande Rivoluzione, forse convinte di essere ben accolte dal popolo e di non incontrare resistenza, furono colte di sorpresa, tentarono goffamente degli sbarchi e si spararono addirittura reciprocamente in un tentativo di sbarco notturno in quel di Quartu. Poi una bufera devastò le loro navi, capirono che non c’erano simpatie per la Grande Rivoluzione e preferirono riprendere il largo e tornarsene donde erano venute.

Il prestigio di Sulis fu enorme e gli consentì il comando delle forze militari dell’Isola per qualche anno, nel corso dei quali divenne, di fatto, l’uomo più potente della Sardegna. “Per lunghi sette anni – scrive Baccaredda – in quel quasi sgovernato paese, mettendosi ad ogni ora alla morte, ei fu tribuno, condottiero, dittatore, essendo che influenzasse sugli stamenti, sul viceré istesso e conducesse a suo placito l’intero popolo, ammaliato dalla traenza irresistibile della sua parola, o meglio, dall’esempio che dava come cittadino valoroso, magnanimo, disinteressato”. Ebbe così un ruolo fondamentale nella cacciata dei Piemontesi del 28 aprile 1794. Senonché, dopo aver spedito i piemontesi nella penisola, chiamò il re. Sulis, infatti, fu decisivo nello sbarco in Sardegna dei Savoia e della Corte, dopo l’evacuazione di Torino occupata da Napoleone e divenuta parte della Repubblica Cisalpina.

E proprio a quel periodo risale un altro episodio, che, da un lato, mostra la forza e la considerazione assunta dal Sulis anche fuori dall’Isola e, insieme, la sua sostanziale miopia politica.

Napoleone, tramite un suo generale, gli propone un accordo per l’annessione dell’Isola ai francesi, riservandogli un posto di rilievo nel futuro governo della Sardegna. In poche parole, cacciati i Savoia da Torino, si trattava di vedere se essi dovessero avere un territorio in cui ricoverarsi e su cui mantenere il loro regno oppure dovessero andare esuli in qualcuna delle corti italiane dominate da loro parenti.

Sulis rifiutò la proposta di Napoleone e optò per la chiamata del re Carlo Emanuele a Cagliari. Di fronte alle titubanze di questo re, incapace e timoroso, fu Sulis a convincerlo a venire in Sardegna in tutta sicurezza. Fu lui a garantire al Re un controllo politico e militare dell’Isola. E fu lui, il 3 marzo 1799, ad organizzare l’accoglienza ad un re imbelle e ad una corte, priva persino di piatti e posate. Fu lui ad organizzare un dignitoso soggiorno ai reali, raccogliendo mobilia e arredi fra i notabili cagliaritani per il palazzo viceregio. Il suo atteggiamento verso i Savoia, venuti malvolentieri in Sardegna, è ben simboleggiato dal fatto che, non appena, Carlo Emanuele e la consorte scesero dalla nave e si apprestavano a salire sulla carrozza che li avrebbe condotti in piazza Palazzo, fece staccare i cavalli per sostituirli con se stesso ed altri undici cagliaritani nel traino verso il Castello. Carlo Emanuele declinò quel traino servile, ma il gesto servile rimase. E per sempre, nonostante tutto!, Sulis fu servitore dei Savoia.

Sulis allora commise un altro grave errore. Lasciò il comando delle milizie sarde affinché il re ne disponesse liberamente. E poi, gratificato dall’amicizia e dalla confidenza accordatagli dal duca d’Aosta, il futuro Vittorio Emanuele I, gli mostrò la lettera di Napoleone, pensando di comprovargli l’assoluta e disinteressata fedeltà, già mostrata sul campo nel respingere i francesi. Non comprese mai che quello fu l’atto che lo condannò alla sua infelice e barbara carcerazione. Vittorio Emanuele, in verità, prima gli prospettò il consolato a Smirne, ossia gli propose un onorato esilio. Ma lui, che aveva fatto venire a Cagliari i Savoia fuggitivi e senza neppure biancheria, non apprezzò e non comprese questa bizzarra ricompensa. Ed allora il duca d’Aosta, mostrandogli sempre amicizia, gli fece terra bruciata intorno, arrestando i suoi più stretti collaboratori, ma subdolamente preavvertendolo e dicendogli di confidare in un suo intervento liberatorio. Sulis, talmente stravedeva per questo principe e per il re, che non capì ciò che chiunque avrebbe compreso al volo. Privato degli amici, fu arrestato il 14 settembre 1799, rinchiuso nella Torre dell’Aquila, e, senza vero processo, nella primavera del 1800, mandato a morire nella Torre dello Sperone ad Alghero, dove rimase, salvo qualche breve intervallo, fino al 1821, 21 anni in condizioni disumane. Solo nel 1821 il suo “amico” duca d’Aosta, nel frattempo diventato Vittorio Emanuele I, lo liberò, confinandolo però poco dopo nell’isola di La Maddalena, dove visse fino alla morte, avvenuta nel 1834.

Ma perché i Savoia riservarono a questo loro suddito, valoroso e fedele, “monarchico fino alle midolla” (Baccaredda), un così feroce trattamento? Perché Sulis era l’unico uomo che, per la sua popolarità, balentìa e i suoi collegamenti, poteva rigettare in mare questi re imbelli, retrivi e feroci, come aveva fatto coi francesi nel 1793 e come fece con gli stessi piemontesi nel 1794. Certo, aveva dato prove di assoluta fedeltà, ma se avesse avuto un ripensamento? La proposta di Napoleone poteva, benché tardivamente, essere accolta. E allora cosa sarebbe stato del regno di Sardegna e dei Savoia? Sulis era il comandante indiscusso dei i miliziani sardi, l’unica vera forza militare in campo. Egli dice chiaramente che i suoi nemici paventavano falsamente che lui volesse diventare il re di Sardegna. Ma questo temeva anche il suo “amico” duca d’Aosta, che, per l’assoluta incapacità del fratello, era in realtà il vero re di Sardegna ben prima dell’abdicazione di Carlo Emanuele. Sulis, nominato comandante dagli Stamenti, era un vero e proprio contropotere nella Sardegna d’allora. “Vivalda – scrive Baccaredda - è il viceré di nome,Vincenzo Sulis è il viceré di fatto”. Il capopopolo, poi, a differenza dei Villamarina e Villahermosa, non accettò titoli nobiliari, volle rimanere un capopopolo, duro e puro, senza onorificenze e ricompense. Insomma, fu sempre più vicino agli stampacini che alla corte. Una figura problematica per i Savoia. Correvano tempi bui per le teste coronate in tutta Europa! E anche l’Isola era scossa dalla “sarda rivoluzione”, da fermenti libertari e di cambiamento. C’erano stati i moti angioiani e la cacciata dei piemontesi, ma ci saranno ancora dopo il 1799 i moti di Thiesi, il tentativo di instaurare una Repubblica con lo sbarco in Gallura di Cilocco e Tola e tanti altri focolai di rivolta.

In quella temperie, Vincenzo Sulis fu un balente e un miope insieme: balente come capopolo e comandante di truppe irregolari, miope nella sua cieca fedeltà ai Savoia. Fedeltà senza ripensamenti. Fino alla morte ha sempre pensato che Vittorio Emanuele fosse stato mal informato dai suoi nemici interni. Lo ha sempre assolto o non lo ha mai condannato. Come il cane randagio, non crede che il padrone lo abbia abbandonato e perciò lo aspetta sempre nel ciglio della strada. Sulis non ha mai compreso, neppure alla fine dei suoi giorni quando scriveva la sua autobiografia, i moti di ribellione ai Savoia, come quello del 1812, ad opera del club di Palabanda, capeggiato da Salvatore Cadeddu. Lui, rinchiuso nella Torre dell Sperone da 12 anni e poi confinato a La Maddalena, gioisce del fallimento e della forca dei congiurati di Palabanda. Non si accorge che Cadeddu e compagni sono vittime degli stessi uomini, che si accanirono contro di lui. Ha solo confidato nella giustizia divina, che, a suo avviso, già si è mostrata in terra, dandogli una lunga vita, nonostante la ventennale carcerazione bestiale, e facendolo sopravvivere ai suoi nemici e a ben sei re, compreso il suo “amico” Vittorio Emanule I.

E’ vero, la storia non si fa con i se o i ma. Ma cosa sarebbe stata la nostra storia se Vincenzo Sulis oltre che balente fosse stato anche politicamente accorto, aperto al vento nuovo che spazzava l’Europa dopo la Grande Rivoluzione?

Alcuni indipendentisti odierni hanno risposto a questo quesito, indicando il triste trattamento coloniale riservato alla Corsica dai francesi, meno autonoma della Sardegna ancora oggi. Per loro - par di capire - Sulis è pur sempre un eroe della sardità. Ha cacciato i francesi ed ha chiamato i Savoia, volendo salvare il Regno di Sardegna, a prescindere dalla meschinità e ferocia dei suoi re.

Se dunque Cadeddu e i congiurati di Palabanda nel 1812 aspiravano alla repubblica sarda, sull’onda della Grande Rivoluzione, o guardavano, più moderatamente, a Cadice e alla monarchia costituzionale colà, sempre nel fatidico 1812, promulgata, c’è un filo di fondo che li unisce a Sulis: la difesa della sardità e dell’Isola, in qualunque forma retta. Tutti eroi dunque della Nazione sarda. Sarà… Ma questo modo di vedere ricorda la pari dignità che i revisionisti riconoscono ai partigiani e ai repubblichini: tutti da onorare perché morti per un ideale. Senza considerare che gli uni ci hanno dato la libertà e gli altri hanno difeso un regime autoritario e sanguinario, quando la tragedia era sotto gli occhi di tutti. Anche ai tempi di Sulis era evidente da quale parte stava la libertà e da quale la prepotenza. Che Sulis non se ne sia accorto prima è comprensibile, ma che non l’abbia capito dopo ch’egli è stato martirizzato dalla ferocia dei Savoia, è quasi incrediibile.

Di Vincenzo Sulis esiste un’autobiografia, pubblicata dalla Cuec, con una bella prefazione di Giuseppe Marci e una postfazione interessante sulla personalità di Sulis della psichiatra Gioia Massidda. Si veda anche Antonio Baccaredda, Vincenzo Sulis. Bozzetto storico, a cura di Simona Pilia, introduzione di Giuseppe Marci. Cuec ed., 2005.

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