Gianluca Scroccu
Colpito dalla tragedia che in queste ore ha devastato l’Abruzzo, Gianluca Scroccu ci ricorda, attraverso il libro di John Dickie (”Una catastrofe patriottica 1908: il terremoto di Messina”, pubblicato da Laterza alla fine del 2008) un altro dramma italiano. Per un tragico destino della storia dopo cent’anni si verifica nel nostro Paese una catastrofe di immani proporzioni. C’è purtroppo da temere che le cose che descritte da Dickie si ripeteranno anche questa volta, così come successe anche per l’Irpinia o per San Giuliano.
«E i morti intanto si disfanno ammorbando l’aria di esalazioni pestifere. L’odore atroce ha impregnato i nostri panni». È la drammatica testimonianza del cronista Guelfo Civinini, inviato dal «Corriere della Sera» a seguire la più grande catastrofe che il giovane stato italiano si fosse mai trovato a affrontare, ovvero il terremoto che alle cinque della mattina del 28 dicembre 1908 colpì soprattutto Messina e Reggio Calabria. Le due città vennero praticamente rase al suolo. L’epicentro del sisma si registrò in mezzo allo Stretto, e fu capace di generare onde di maremoto alte anche tre metri che investirono senza pietà i porti delle due città, scagliando le barche sopra le macerie dei palazzi. Tra le 80 e le 100 mila persone morirono nella città siciliana, mentre in quella calabrese le perdite arrivarono a 15 mila abitanti.
La storia di quel colossale disastro è stata ora raccontata in un libro di John Dickie, Una catastrofe patriottica 1908: il terremoto di Messina (Laterza, pp. 240, € 18,00). Giornalista e studioso di storia italiana all’University College of London, già autore di una fortunata storia della mafia, in questo libro complesso, frutto di un’accurata ricerca archivistica e di uno spoglio meticoloso delle fonti a stampa, Dickie analizza la tragedia del 1908 per riflettere più in generale sul tema della costruzione dell’identità nazionale e dell’evoluzione dell’idea di patriottismo a partire da un contesto microstorico.
Il sisma di Messina (su cui nel 2004 aveva scritto un libro importante, edito da Mondadori, anche il giornalista Giorgio Boatti) divenne da subito un evento sentito da tutti i cittadini del Regno senza distinzioni sociali, scatenando un moto di solidarietà patriottica totalmente inedito, specie per un Paese che della debolezza del proprio carattere nazionale aveva fatto uno dei suoi elementi strutturali sin dagli albori del processo di unificazione. La mobilitazione patriottica italiana fu del resto assai maggiore rispetto a quella che si verificò in altre città straniere colpite in quegli anni da gravi disastri sismici, come San Francisco, dove due anni e mezzo prima erano morte tremila persone, o Valparaiso in Cile, dove nell’agosto del 1906 erano perite circa 20 mila vittime.
Se i primi soccorsi sarebbero arrivati sulle coste siciliane dal mare, in particolare dalla flotta russa comandata dall’ammiraglio Litvinov, nelle settimane successive si sarebbero moltiplicate le iniziative di solidarietà, a partire dalle associazioni femminili che si dedicarono all’assistenza dei feriti e degli orfani, peraltro non senza contraddizioni. Accorsero volontari da tutto il Paese, organizzati anche dai comitati civici che sorsero in tutt’Italia, raccogliendo fondi e generando un grande sforzo di solidarietà che secondo l’autore, pur se nato in un contesto eccezionale, deve essere valutato come primo importante esperimento di costruzione del patriottismo nazionale.
Il clima di partecipazione non fu però esente da feroci polemiche e dure contrapposizioni, provocate anche dalla palese incapacità nel gestire la grave crisi da parte dell’amministrazione statale centrale. Le lentezze burocratiche e la miopia politica da parte del governo Giolitti impedirono infatti un intervento pronto ed efficace che costò il sacrificio di numerose vite umane, atteggiamenti che provocarono un malcontento popolare diffuso contro le istituzioni. Nacquero allora quelle che Dickie chiama le diverse narrazioni del disastro, all’interno delle quali fiorirono le accuse contro quelli che vennero etichettati come i nemici della patria colpevoli di aver ostacolato i soccorsi alle località colpite. Fu facile alimentare miti negativi come quelli degli sciacalli che come vampiri succhiavano gli averi dei terremotati, o quelli rivolti contro gli speculatori accusati di arricchirsi sulle disgrazie dei terremotati. A questi si contrapposero miti positivi come quello della Regina Elena, attorno alla quale vennero costruite immagini simboliche ricche di venature eroiche, che esaltavano la figura della sovrana pronta a trasformarsi in infermiera a completa disposizione dei feriti.
Processi come questi furono favoriti dall’eccezionale copertura mediatica che fu garantita dalla stampa. Decine di inviati vennero inviati sullo Stretto a raccontare quasi in presa diretta la terribile sciagura ai lettori, grazie anche all’utilizzo di nuovi mezzi come il telegrafo (differente invece fu l’attenzione dei romanzieri, che non scrissero praticamente nulla sul disastro); del resto erano quegli gli anni in cui, sotto la direzione di Luigi Albertini, il «Corriere della Sera» si apprestava a diventare il primo e più prestigioso quotidiano nazionale. I giornalisti furono molto abili nell’alimentare un clima di empatia nazionale, alimentando anche la diffusione di voci incontrollate come quelle che annunciavano un imminente bombardamento purificatore sulle due città.
Le interpretazioni del terremoto di Messina fiorirono in un contesto profondamente diverso da quelli che avevano accompagnato i terremoti verificatisi nei secoli precedenti. Dickie si sofferma con molta efficacia sulle differenze con il disastro sismico avvenuto in Calabria nel 1783 visto, specie da parte della Chiesa Cattolica del tempo, come un vero e proprio castigo divino contro il progresso e la deriva laicista nati dall’Illuminismo, atteggiamenti che non si replicarono nel 1908 quando nessun esponente della Chiesa, peraltro impegnata in prima fila nei soccorsi, parlò mai di punizione ordinata da Dio.
Per uno scherzo feroce della storia la catastrofe dello Stretto, che ebbe come testimone anche un bambino di sette anni destinato a vincere il premio Nobel per la Letteratura, Salvatore Quasimodo, entrò prepotentemente, seppur con esiti diversi, nelle vite di due uomini che si sarebbero contrapposti ferocemente. Uno ero lo storico Gaetano Salvemini, il quale, sopravvissuto solo per un caso alla morte, perse la moglie, i cinque figli e la sorella; l’altro fu Giovanni Giolitti, che non si recò nemmeno sul luogo del disastro né, come si è visto, dimostrò particolare interesse e partecipazione nell’organizzazione dei soccorsi. Nonostante questo, tuttavia, nel 1909 non ebbe difficoltà a farsi eleggere deputato anche nel collegio di Messina: evidentemente neanche il terremoto aveva scalfito la potenza elettorale dello statista destinato a segnare con il suo nome i destini dell’Italia della Belle Époque.
1 commento
1 admin
7 Aprile 2009 - 00:16
Massimo Marini invia il seguente commento sulla tragedia:
Davanti a queste tragedie è da idioti dare la colpa a Berlusconi con più o meno sarcasmo, chiedere “cosa si prova” ad una persona di 80 anni che ha appena perso tutto, e parlare del geologo Giuliani che propone delle teorie ma che non ha previsto nulla. Il silenzio e il lavoro, ecco cosa serve ora: silenzio e lavoro.
Massimo
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