Dopo lo “scommiato” cresce il movimento antifeudale fino ai moti angioyani

2 Agosto 2019
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 Andrea Pubusa

 

Subito dopo la cacciata dei piemontesi, nel luglio 1794 il re designa alle maggiori cariche del regno quattro alti funzionari sardi, fedeli ai Savoia: Gavino Cocco (reggente la Reale Cancelleria), Girolamo Pitzolo (intendente generale), Antioco Santuccio (governatore di Sassari), Gavino Paliaccio, (generale delle armi). Il 6 settembre 1794 giunge a Cagliari il nuovo viceré, Filippo Vivalda.
Non si tratta però di un accoglimento parziale delle cinque domande. E’ il tentativo di ricompattare il fronte reazionario per regolare i conti con l’altro polo. E così nei primi mesi 1795, in combutta con il nuovo incaricato degli affari di Sardegna (conte Galli della Loggia), Paliaccio e Pitzolo progettano una sanguinosa repressione, inviano a Torino liste di proscrizione dei membri del “partito patriottico”, adottano provvedimenti polizieschi e intimidatori nei confronti dei deputati agli Stamenti. Le contromisure degli esponenti del partito patriottico non si fanno attendere. Nel luglio 1795 il gruppo dell’avv. Cabras avvia una campagna di denuncia contro il progettato colpo di stato dei realisti, a capo dei quali stanno Pitzolo e Paliaccio. Gli Stamenti, in seduta congiunta chiedono al viceré la rimozione di Paliaccio e Pitzolo. Ma il popolo “pratica l’obiettivo”. Durante i tumulti popolari contro i progetti di restaurazione Pitzolo viene ucciso dalla folla il 6 luglio, Paliaccio il 22.
La reazione non passa a Cagliari e sposta il suo centro d’azione a Sassari, dove il governatore Santuccio, aggirando Stamenti e viceré, prende contatti con gli inglesi e con Torino per arginare una presunta offensiva francese in Sardegna. È, di fatto, un progetto di secessione da Cagliari. Infatti, l’8 agosto 1795 i feudatari, clero, maggioranza del consiglio civico di Sassari indirizzano direttamente al re un documento in cui si denuncia la collusione tra riformatori e governo viceregio, ciò che li spingeva a disobbedire agli ordini di Cagliari e ad organizzare l’insurrezione.
La rottura diventa aperta, nel luglio settembre 1795 soprattutto nel Capo di Sassari, le comunità rifiutano di pagare i tributi ai feudatari; a Thiesi, Semestene, Bessude, Bonorva, Torralba, Pozzomaggiore, Ozieri, Ittiri, Uri i vassalli si ribellano e, talvolta armati, assaltano, devastano, saccheggiano palazzi e magazzini baronali. Il vicerè tenta di riportare l’ordine e  con un pregone del  10 agosto 1795 invita sindaci e consigli comunitativi a ricorrere presso il governo contro gli abusi dei feudatari, anziché passare alle vie di fatto. E’ un successo del partito riformatore, che cementa la saldatura tra movimento cittadino e movimento contadino antifeudale, tra rivendicazioni istituzionali e sociali.
Lo scontro si trasferisce al livello istituzionale. Il 29 agosto 1795 un biglietto regio (in effetti del conte Galli della Loggia) autorizza i sassaresi a non obbedire agli ordini del viceré qualora li ritenessero contrari ai loro interessi. La situazione è ormai ad un punto di rottura ed investe la storica contrapposizione fra Sassari e Cagliari. Il 19 settembre 1795 le forze feudali e governative sassaresi chiedono formalmente al re la separazione del Capo di Sassari da quello di Cagliari.
E mentre nel settembre 1795 viene avviata un’iniziativa dei moderati per trovare un compromesso fra le posizioni delle forze feudali e secessioniste sassaresi e il polo dei riformatori (missione dell’arcivescovo Melano presso la corte torinese, con la mediazione del papa), l’ala più decisa del fronte antifeudale, capeggiata da alcuni avvocati sassaresi (Gioacchino Mundula e Gavino Fadda) e da preti rivoluzionari come Francesco Sanna Corda (Torralba) e Francesco Muroni (Semestene) intensifica la propria azione di propaganda e di organizzazione sul territorio. E così il 23 ottobre 1795 cinque commissari – Francesco Cilocco, Francesco Dore, Giovanni Onnis, Antonio Manca, Giovanni Falchi – vengono incaricati dagli Stamenti di verificare se nelle ville infeudate sia stato diffuso e applicato il pregone viceregio del 10 agosto. Cilocco, in particolare, offre un forte appoggio ai rappresentanti dei consigli comunitativi che denunciano gli abusi dei feudatari.

Il fronte antifeudale si espande e si struttura. Il 4 novembre 1795 i comuni di Thiesi, Cheremule, Bessude firmano il primo “strumento di unione e di concordia”, con cui dichiarano di non riconoscere più l’autorità del feudatario e di voler riscattare i carichi feudali tramite indennizzo. È la via legale e dal basso all’abolizione del feudalesimo in Sardegna. Entro il marzo successivo oltre quaranta villaggi sottoscriveranno gli “strumenti di unione“.

 

 

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