A.P.
Che fortuna essere vissuti a Carbonia nel quarto di secolo che parte dal 1949! Quante cose s’imparano in mezzo ai minatori! E nelle materie più varie e impensabili! Ad esempio nel campo della locomozione degli operai. Saperi quotidiani, detti anche locali o pisizionari o voilà, alla francese, savoir d’usage! Saperi che si acquistano nello stare abitualmente in certi luoghi. Lezioni di vita preziose che evitano così le cantonate o, per stare al tema, le sbandate.
Avete visto quella dei compagni della Redazione del Manifestosardo nell’ultimo numero? Stizziti (e dimentichi che in capo al blog c’è l’immagine di Luigi Pintor) dicono ai lavoratori di P. Vesme: “Avete voluto la bicicletta, ora pedalate!”. O, fuor di metafora, “Non avete votato Soru, affanculo!”. Ecco se i compagni del Manifestosardo fossero vissuti a Carbonia negli anni ‘50, questa sbandata non l’avrebbero di certo presa. Avrebbero bene in mente che i lavoratori hanno sempre pedalato.
C’erano allora a Carbonia oltre 15 mila minatori; divisi in tre turni, si recavano al lovoro da tre strade provenienti dalle diverse zone della città. In ognuna, alle 6 alle 14 e alle 22, si formava una fiumana nera che “scappava” dai pozzi verso casa col viso ancora sporco di carbone ed una uguale che, in senso opposto, andava verso i pozzi. Dovevate vedere come pedalavano quando la sirena spandeva il suo suono per l’intera città, indicando, allo stesso tempo, la fine del turno e l’inizio del successivo. Pedalavano, tutti, tutti pedalavano sia che andassero avanti sia che tornassero indietro. Era una pedalata simultanea e generale! A mala pena campavano la famiglia e la bici era già un lusso. Ma, anche potendo, come avrebbero potuto accedere in auto ai pozzi? Gli ingorghi avrebbero imbrigliato i minatori per ore, mentre lì la produzione copriva ininterrottamente il giorno e la notte. Si produceva il carburante per la ripresa dell’Italia, mica sherzi! Si ricostruiva il Paese dopo la devastazione della guerra. Ed allora niente soste! Pedalare! Sempre pedalare! Dentro e fuori la miniera.
Erano i padri o i nonni di quelli di P.Vesme. Dunque, la bicicletta ce l’hanno da generazioni. Qualcuno non ha avuto bisogno neanche di acquistarla. Ha semplicemente riverniciato quelle vecchie di famiglia già pronte all’uso. Pedalano da generazioni. Hanno pedalato anche con Soru. Quindi, tranquilli compagni del Manifestosardo, sono allenati, continueranno a farlo egregiamente anche con Cappellacci.
Dunque, nulla di nuovo sotto il sole? Beh, non proprio, allora negli anni ‘50 pedalavano di gran lena avanti e indietro, ma almeno la direzione era quella giusta. Il PCI dei Togliatti e dei Terracini e il PSI dei Nenni e dei Pertini, e la CGIL di Di Vittorio almeno la direzione la davano ed esatta! Oggi, per fortuna c’è ancora un po’ di sindacato, ma non ci sono i partiti della sinistra. E Soru (non abbiatevene a male, compagni del Manifestosardo) non è Velio Spano e neanche Renzo Laconi. Mago della finanza sì, ma, da buon padrone, poco interessato agli operai. Anche da presidente non si è preccupato molto di indicar loro la direzione, una possibile via d’uscita dalla crisi. Senza bussola - si sà - è facile perdere l’orientamento, sbandare e andare nella direzione sbagliata o anche, disorientati, fermarsi (non andare da nessuna parte neanche alle urne). Ma - compagni del Manifestosardo - vi sembra il caso di stizzirsi o prendersela con loro? Ad ognuno il suo. La direzione - lo dice la parola stessa - è responsabilità di chi dirige il traffico, non di chi pedala. In fondo costoro hanno sempre e solo un compito …pedalare. Ed allora se c’è qualcuno da mandare a farsi benedire, questi non sono certo i ciclisti.
1 commento
1 M. Nieddu
6 Aprile 2009 - 12:30
Credo che Andrea abbia in questo caso pienamente ragione.Ancora l’arroganza intellettuale di alcuni fra noi, superstiti di una sinistra divenuta marginale, che finisce per prendersela con coloro che dovrebbe preoccuparsi di rappresentare. Ma dove è finita l’analisi sociale ? Dove è finito anche il caro e vecchio materialismo storico, che ci consentiva di guardare ai fenomeni sociali senza i paraocchi di chi ha la pancia piena e sopratutto senza il furore ideologico che tante tragedie ha portato nella storia del movimento operaio. Un furore ideologico tanto più pericoloso se associato a fenomeni come il culto della personalità. Occorre raffreddare animi e cervelli e ragionare nuovamente sulle cose, sulla realtà che viviamo e non su un mondo a nostra disposizione da plasmare sotto il pugno del sovrano illuminato e della sua corte di filosofi.
Dopo anni in cui a sinistra si è predicato sulla marginalità del lavoro, addirittura sull’ equidistanza tra capitale e lavoro. Veniamo da campagne martellanti di tanti intellettuali cosidetti riformisti sulla fine dei blocchi sociali, sui partiti che dovevano superare l’idea di rappresentanza in nome del modello di partito d’opinione centrato sul leader.Dopo che si è fatto il deserto attorno all’idea stessa del conflitto sociale, vissuto come patologia del sistema, da sterilizzare dentro il corporativismo del sindacato fornitore di servizi e il consociativismo di un modello centrato sugli enti bilaterali. Insomma, dopo tutto ciò, possiamo ancora stupirci di un voto operaio che va a destra? Di un mondo del lavoro disgregato, privo di una coscienza di sé e trasformato spesso in singoli clientes del padrone di turno ?
Io credo che la realtà che viviamo sia deprimente ma non sorprendente rispetto alle premesse su cui la si è costruita. I partiti e i sindacati di cui parla Andrea offrivano una prospettiva di riscatto da conquistare con le proprie mani e con il proprio cervello a chi non aveva da perdere che le proprie catene. Oggi l’alternativa che offre la sinistra, o quel che ne rimane, non è certo la liberazione dalle nuove catene che ingabbiano la libertà delle persone. Anzi, spesso, di fronte alla destra che promette (senza mantenere) catene e pagnotta, non è in grado nè di spezzare le catene nè di garantire la pagnotta, e quando rimane solo la fame la prima rinuncià è quella alla libertà.La colpa però non è certo di chi ha fame…
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