Sovranità: disprezzarla o rivalutarla?

5 Luglio 2019
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Gianfranco Sabattini

Negli anni recenti, Carlo Galli, studioso del pensiero politico moderno e contemporaneo, ha associato un crescente impegno civile e politico alla sua professione di docente. Dal 2009 è presidente della Fondazione Gramsci dell’Emilia-Romagna, è stato eletto nel 2013 deputato per il Partito Democratico, dal quale nel 2015 è uscito, per confluire, prima, nel Gruppo parlamentare alla Camera Sinistra Italiana - Sinistra Ecologia Libertà, e aderire poi, come indipendente, nel 2017, al Gruppo parlamentare “Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista”. Nel 2018, egli ha deciso di non ricandidarsi alle elezioni politiche, preferendo tornare ad insegnare, senza tuttavia rinunciare al suo impegno politico, come sta a dimostrare l’ultima sua opera “Sovranità”, pubblicata nel 2019.
In questo libro, Galli, dopo aver respinto la definizione della sovranità da parte di coloro che la ritengono un “potere arbitrario, mostruoso, disumano, eccessivo, squilibrato”, a volte indicato con il nome evocante entità spaventose (quali Leviathan e Moloch), sottolinea che di essa si può avere una definizione corretta considerandone la storia, evitando così di “confinarla” in una formula esaustiva, valida per sempre. In ogni caso, anche dal punto di vista storico, della sovranità può aversi solo un’idea approssimativa, interpretandola come “il modo in cui un corpo politico si rappresenta (o si presenta) per esistere, per volere, per ordinarsi e per agire secondo i propri fini”.
Tuttavia, della sovranità può aversi anche un idea più comprensiva, considerandola una categoria politica in evoluzione, come sta a dimostrare il fatto che essa in epoca moderna non esprime il corpo politico fondato sulla base di un qualche “principio di autorità”, ma su un “principio di razionalità”; quest’ultimo, a differenza del primo, afferma Galli, fa “crescere” un corpo politico che già esiste, mentre il principio di autorità, proprio della sovranità dell’epoca pre-moderna, si limita solo a “fare esistere” il corpo politico. La differenza non ammette alcuna possibilità di confronto.
Nel complesso – continua Galli – la sovranità “può essere interpretata tanto come il soggetto collettivo [il corpo politico] che agisce unitariamente, quanto come lo strumento [l’ordine] dell’azione del corpo politico”. Non si può capire questa interpretazione della sovranità “se non si comprende l’epoca moderna, della quale la sovranità è l’espressione politicamente più alta, come l’epoca della sconnessione […] e dello squilibrio tra i suoi fattori dinamici: individuo libero, capitale, ordinamento giuridico, potere politico; come l’epoca […] in cui l’ordine è un’esigenza più che un dato, una costruzione più che un elemento di natura o di tradizione”. In altre parole, nell’epoca moderna la sovranità non è solo potere costituito statico e comando ordinato, ma essa è soprattutto “potere costituente”, che la rende dinamica attraverso il “motore delle rivoluzioni”.
Questo “motore” è - osserva Galli – “un eccesso di potenza sociale che si fa politica, è la presenza concreta di un popolo o di una classe che sfonda lo spazio pubblico, che agisce contro la sovranità esistente e che ne genera una nuova, più solida, potente, razionale”. Il binomio sovranità-rivoluzione costituisce l’asse delle politica moderna. Ordine politico e conflitto sono dunque strettamente connessi tra loro; non casualmente i nemici della sovranità (quali sono, ad esempio, i neoliberisti, sostenitori della globalizzazione) avversano anche il conflitto, affermando che con l’abolizione della sovranità viene eliminato anche il conflitto.
Nel mondo moderno, la sovranità implica che il corpo politico sia il “metro e la misura delle politica”, per cui essa, “come volontà della nazione non è necessariamente nazionalismo: è autonomia di quella volontà”, mentre la “sovranità come creazione della distinzione fra interno ed esterno non è necessariamente xenofobia, ma è volontà di delimitare uno spazio su cui il soggetto politico abbia diretto potere e responsabilità”; in altre parole è volontà del corpo politico di avere parola sulla scena internazionale, senza la pretesa “di avere l’ultima parola nel dialogo con gli altri”. D’altra parte, per un corpo politico che desideri vivere in pace nel mondo, la sovranità non può che essere limitata, sia perché è “principio di pluralismo internazionale” in un mondo che è di per sé anarchico, sia perché è inevitabile che essa, per agire nello spazio esterno, debba accettare l’esistenza di un mondo caratterizzato da rapporti gerarchici, implicanti differenti gradi di limitatezza di sovranità.
Le diverse configurazioni nelle quali la sovranità si manifesta e la sua interna instabilità sono rese evidenti – secondo Galli – dal fatto che, mentre essa si formava nell’età moderna, sono aumentati contemporaneamente i tentativi di limitarla: all’interno, con il contenimento dell’estensione del suo potere, con la crescente affermazione di diritti individuali; all’esterno, con l’”imbrigliamento”, attraverso la stipula di trattati e la costituzione di istituzioni internazionali che hanno avuto lo scopo di impedire il “dilagare selvaggio della volontà di potenza da parte dei singoli Stati”; disinnescare del tutto tale volontà, però, non è stato possibile, perché, nello spazio internazionale (di per sé anarchico) è divenuta la via “per essere politicamente nel mondo”. Per dare a questa configurazione di sovranità, contestata all’”interno” e imbrigliata all’”esterno”, una propria “sostanza storica”, occorre tener conto dei complessi processi giuridici ed economici che hanno caratterizzato l’epoca moderna; solo dopo aver considerato questi processi, a parere di Galli, “ci si potrà interrogare un po’ più fondatamente sul significato della diatriba fra ‘sovranisti’ e antisovranisti” che caratterizza il mondo attuale della politica.
La storia moderna dimostra che la sovranità evolve grazie all’”eruzione di poteri costituenti, a rivoluzioni, a guerre di liberazione”; le tre rivoluzioni più influenti sono state quella inglese, quella Francese e quella russa; le prime due seguite e la terza per buona parte preceduta dalla Grande Guerra, che è valsa a trasformare i conflitti interni agli Stati in una mobilitazione permanente, consentendo alla nazione, alla classe e all’economia di definire i “contenuti incandescenti della sovranità”.
Una volta “cessata la guerra interstatale, la mobilitazione è proseguita all’interno delle sovranità”, dando origine, prima, alle sovranità totalitarie del fascismo e del nazismo (sovranità tanto estreme da essere la negazione di se stesse) e, successivamente, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, alle sovranità democratiche neocostituzionali, che hanno rappresentato, non solo il compimento delle sovranità dell’età moderne, ma al tempo stesso anche una loro limitazione attraverso le Costituzioni.
Il neocostituzionalismo non ha solo fatto della sovranità una nuova forma di ordine politico, ma anche uno strumento di una nuova capacità di agire del corpo politico, mai sperimentata nel passato. Infatti, la sovranità democratica neocostiuzionale è divenuta “protezione fisica e promozione sociale della persona: ‘Stato economico’ come Stato sociale e come Stato del benessere”; ciò ha comportato che l’economia capitalistica fosse regolata dalla politica, per contrastare ogni pretesa di sovranità da parte del mercato.
Al termine dell’excursus storico del concetto di sovranità, Galli si chiede cosa significhi la richiesta di sovranità da parte di alcuni movimenti o gruppi sociali, e perché tale richiesta sia “avanzata in uno scenario economico e politico globale che pare negarne significato e legittimità”. Oggi, pur restaurata e potenziata dopo il secondo conflitto mondiale, anche per la caduta del totalitarismo sovietico, la sovranità ha per Galli molti agguerriti nemici, due in particolare: il primo espresso da una nutrita schiera di giuristi, i quali, sostengono che il sistema giuridico internazionale, sviluppandosi come “diritto cogente” per tutti i soggetti che operano sulla scena globale, si è sostituito a quello regolante il comportamento degli operatori interni ad uno Stato; l’altro, che invece trae origine dal pensiero e dalla pratica dell’economia capitalistica globalizzata, nonostante che alcune correnti del pensiero economico, quali l’ordoliberismo e il keynesismo, facciano della sovranità uno strumento essenziale per la crescita e l’ordine economici.
Per l’ordoliberismo (proprio della cultura politico-economica tedesca) la sovranità è il requisito essenziale dell’economia concorrenziale, strumentale allo sviluppo nell’ordine dell’economia; il keynesismo, invece, considera la sovranità dello Stato come strumento col quale correggere, attraverso l’interventismo statale, i “fallimenti del mercato”. In entrambi i casi, osserva Galli, il legame fra sovranità, Stato ed economia permane, sia pure in guisa opposte”.
Alla corrente di pensiero economico dominante, il neoliberismo, va accreditato il ruolo di sostegno ideologico alla globalizzazione delle economie nazionali. L’ideologia neoliberista, di fronte alla contrapposizione tra “ordine dinamico-spontaneo e ordine rigido-costruito”, considera l’economia dotata di un’autonoma capacità di “darsi legittimità da sé, e quindi come essa stessa sovrana; ma di una sovranità che non richiede tanto l’unità politica quanto l’unità del mercato, nel quale agisce una pluralità di soggetti in grado di calcolare razionalmente il proprio utile e al tempo stesso animati […] da una entusiastica volontà di potenza e di successo”. L’obiettivo dell’ideologia neoliberista è stato quello di favorire la sostituzione del “privato al pubblico, la libera scelta al comando, il mercato alla decisione [pubblica], la concorrenza al conflitto…”; in altre parole, la pretesa dell’ideologia neoliberista è consistita nel voler essere un paradigma storico alternativo: “la libertà non più dei moderni, ma dei post-moderni”.
All’interno degli Stati dove l’ideologia neoliberista si è affermata, la distinzione tra pubblico e privato ha teso a divenire progressivamente indistinta e si sono sempre più ristrette, sia l’area tradizionalmente occupata dai corpi intermedi (partiti e sindacati), sia la possibilità di attuare politiche pubbliche idonee a contrastare le disuguaglianze distributive e le fasi negative del ciclo economico del sistema produttivo. Secondo l’ideologia neoliberista, perché il mercato possa esercitare il proprio dominio, la politica deve contrastare ogni altro potere, attuando riforme costituzionali con “torsioni” autoritarie.
Tuttavia, pur in presenza dell’ideologia neoliberista dominante, la sovranità non è “svanita”, in quanto il tentativo di imporre un pensiero unico ha determinato all’interno dello Stato la nascita “di divergenze storiche, economiche, culturali, sociali, che si [sono presentate] come specifiche contraddizioni”, le quali hanno avuto l’effetto di riproporre la politica nei territori, per una nuova mediazione e un nuovo equilibrio tra le parti costitutive della sovranità; tutto ciò, al fine “di difendere e di restaurare le democrazia”. In queste condizioni, il problema che ci si deve porre – ritiene Galli - è stabilire se, nelle società occidentali oggi in crisi, la richiesta di restaurare la sovranità sia riconducibile al tentativo di ricuperare il suo contenuto oppressivo d’inizio dell’età moderna, oppure, al contrario, se quella richiesta sia lo sforzo politico profuso dai gruppi sociali danneggiati dal fallimento dell’economia neoliberista per “risolvere in direzione emancipativa le contraddizioni dell’oggi”. Risolvere questo dilemma significa - continua Galli - “comprendere il cosiddetto ‘sovranismo’, e criticarlo senza esorcizzarlo, demonizzarlo o esaltarlo”.
Secondo Galli vi è, nella nuova invocazione della sovranità da parte dei gruppi sociali più danneggiati, “il tentativo di ricuperare la distinzione fra interno ed esterno e fra pubblico e privato”, ovvero il il tentativo di ricuperare una nuova protezione, per ridurre l’insicurezza generata dai liberi mercati; è la “ribellione” di chi ha subito gli effetti negativi del prevalere dell’ideologia e dell’economia neoliberiste e non vuole più continuare a dover restare sottomesso all’autorità trascendente dei mercati, per ritornare alla funzione primigenia della sovranità. La ribellione non implica che la pretesa di un ritorno alla sovranità sia in sé una pretesa fascista, né che i sovranisti di oggi siano fascisti. A parte le differenze sostanziali, nei movimenti che invocano il ritorno alla sovranità è sostanzialmente assente – sostiene Galli – ogni nesso tra violenza e politica; vi è semmai la richiesta che lo Stato torni a tutelare le esistenze singole ed i piani di vita individuali, che non la “volontà di potenza nazionalistica”.
In conclusione, secondo Galli, la richiesta di un ritorno alla sovranità è una forte “istanza politica” democratica, una “reazione contro un’economia che si è fatta pericolosa e portatrice di crisi”; è perciò errato associare la contestazione al qualunquismo e all’antipolitica e accusare di populismo la protesta di chi sente di aver perso la sicurezza un tempo garantita dallo Stato di appartenenza. Gli establishment dominanti, avanti alla protesta del popolo che rinviene nelle istituzioni del proprio Stato un nemico anziché un protettore, hanno il dovere di capire come e perché ciò stia accadendo, “piuttosto che cercare di cavarsela etichettando spregiativamente il fenomeno”.
Coloro che oggi temono che la richiesta di un ritorno alla sovranità porti con sé il pericolo della costituzione di una democrazia illiberale, dovrebbero anche chiedersi quale sia il rapporto che lega tale forma di democrazia alle pretese dei poteri economici neoliberisti; piuttosto che criticare pregiudizialmente i movimenti populisti, gli establishment dominanti dovrebbero indicare le forme e le modalità con cui contrastare tali poteri, anziché limitarsi, come accade spesso in Italia, a “parteggiare” con chi, rappresentando all’esterno tali poteri, cerca di continuare ad imporre, ai danni degli Stati nazionali, regole conformi al proprio interesse.

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