Gianluca Scroccu
Il nostro Presidente del Consiglio è un Cavaliere, e dunque, è sempre in vena di prodezze. E’ nella sua natura cavalleresca. Avete visto come ha sbrogliato la matassa che imbrigliava la Nato? Una chiacchierata via satellite col primo ministro turco, una parola da cavaliere e l’impasse è felicemente superata. Ma qualcuno, fra i giornalisti, ha messo in dubbio la decisività della conversazione. Ha perfidamente prestato credito alla notizia che i turchi si son fidati delle rassicurazioni di Obama. Ed allora lo statista di casa nostra, davanti a tanta sfrontata falsificazione, ha avuto un giusto scatto d’ira. Ne và della verità storica, che diamine! Ed ecco il monito: “Non vorrei farlo, ha detto, ma se continua così, certa stampa la sego”. Che bello sarebbe avere la censura e solo Libero, il Foglio e il Giornale e le TV del Berlusca!
Poi i Prefetti, su direttiva di Maroni, chiudono Piazze e vie alle manifestazioni. Tutti fermi e zitti, dunque! Salvi gli osannanti dello Statista! Torniamo allo Statuto del Regno di Sardegna! Anzi più indietro, perché lo Statuto rimetteva alla legge la repressione degli “abusi” della libertà di stampa e delle altre. Oggi, invece, si provvede con semplici ordinanze del Presidente del Consiglio, dei Ministri e dei Prefetti. Insomma si attacca la Costituzione con semplici atti amministrativi, neppure con leggi. Si scansa così il vaglio della Corte costituzionale, che finora è stata inesorabile nell’annullare le leggi più chiaramente liberticide. Come si vede, siamo in una situazione delicata su cui altre volte abbiamo cercato di richiamare l’attenzione. Per esempio quando fu disposto lo smaltimento in Sardegna di immondizia campana. Anche allora il problema vero non era l’immondizia, ma la legittimità di atti o la liceità di condotte delle autorità pubbliche adottate senza supporto legislativo o, addirittura, in violazione di un divieto espressamente stabilito con legge regionale.
Ed allora che dire? Che c’è una lenta mutazione del quadro delle nostre libertà, un silenzioso ma inesorabile restringimento di esse, a cui pian piano ci stiamo adattando. Berlusconi parla di un giro di vite sulla stampa perché lo critica. Le vie di Cagliari, dove da sempre senza alcun pericolo alla sicurezza e all’incolumità pubblica si svolgono le manifestazioni, vengono indicate come luoghi nei quali tendenzialmente non possono svolgersi cortei. La violazione della lettera e dello spirito degli artt. 16 e 21 della Costituzione è palese, ma tutti, partiti, sindacati, associazioni, stanno zitti. E’ già questo un arretramento della democrazia, una perdita di spazi democratici. Perchè avviene anzitutto nella nostra testa, diviene senso comune.
Le Costituzioni si cambiano in due modi: o con rivoluzioni o con il loro lento svuotamento per inerzia ed adeguamento dei cittadini. A questa acquiescenza segue poi la revisione formale. In Italia è questa seconda forma che si stà inequivocabilmente manifestando. Molti comitati e associazioni meritoriamente lavorano per far conoscere la Costituzione nelle scuole e in ogni luogo, ma incomprensibilmente tacciono di fronte agli attacchi diretti e quotidiani. Bisogna reagire. Si comprende che c’è stanchezza e un senso d’impotenza. Ma è necessario non mollare, occorre riprendere l’iniziativa. Se no torniamo ai tempi bui dello Statuto albertino, carta ottriata, concessa graziosamente dal re ai sudditi, in cui le libertà erano in realtà “libertà vigilate”, sottoposte al placet delle autorità. Ne volete sapere di più? Volete conoscere gli ascendenti della censura come vizietto nazionale? Volete sapere dove si può tornare? Ed allora leggete il bel libro del giovane storico Nicola Gabriele, che di seguito presenta G.L. Scroccu. Ma da queste utili letture occorre trarre spunto per riacquistare il gusto della democrazia, l’idea delle garanzie e, dunque, per riprendere con maggiore convinzione e consapevolezza la nostra battaglia democratica (a.p.).
Ecco ora lo scritto di Gianluca Scroccu
Che peso ha avuto la censura nel Regno di Sardegna tra Settecento ed Ottocento? Se lo è chiesto il giovane storico dell’Università di Cagliari Nicola Gabriele nel suo libro “Modelli comunicativi e ragion di Stato. La politica culturale sabauda tra censura e libertà di stampa (1720-1852)”, (Polistampa, pp. 424, 24,00 €). Secondo l’autore la censura ecclesiastica e statale ha avuto una sua notevole centralità nel regno sabaudo, diventando uno strumento importante di formazione e consolidamento dell’opinione pubblica.
In una cornice temporale che si colloca tra il 1720 e il 1852, l’autore ricostruisce le varie fasi durante le quali, a partire dagli anni Trenta del secolo dei Lumi, venne elaborato quel complesso di norme destinate a regolare, con successive modifiche, tutta l’attività censoria del potere regio e che, superata la parentesi di fine secolo e l’età napoleonica, sarebbero state ripristinate dopo il Congresso di Vienna. Un quadro che mette in evidenza le dinamiche del mercato editoriale nel Piemonte e il privilegio di cui poté godere la Stamperia Reale, capace di dare vita ad un regime di sostanziale monopolio specie in alcuni generi letterari.
Uno spazio rilevante viene riservato all’analisi della nascita della legislazione censoria in Sardegna e allo sviluppo dell’editoria sarda nella seconda metà del Settecento in chiave comparativa con quello che succedeva nel territorio sabaudo. Emerge così, in particolare, il ruolo che rivestì la stampa sarda negli eventi che caratterizzarono il triennio rivoluzionario sardo di fine Settecento, uno dei momenti più importanti e delicati della storia del Regnum, con un’attenzione specifica al periodo di autogoverno stamentario. Le caratteristiche del sistema censorio nei territori sabaudi durante l’età napoleonica vengono analizzate in comparazione con il periodo di esilio dei Savoia in Sardegna iniziato nel 1799 e con il modello di pura restaurazione, anticipatrice di quindici anni rispetto a quello uscito dal Congresso di Vienna, che i sovrani piemontesi seppero imporre alla Sardegna anche con il controllo dell’informazione.
Restaurato il loro potere sul Regno, i Savoia avrebbero riaffermato la logica della censura preventiva a partire dal 1816, con un’accentuazione durante gli anni di regno di Carlo Felice, il quale tentò di stroncare i propositi riformisti che avevano guidato ai moti del 1821. Negli anni di governo di Carlo Alberto si assistette ad un graduale riformismo capace da un lato di porre sotto controllo governativo la stampa periodica di connotazione politica e dall’altro, specie a partire dagli anni Quaranta, di consentire lo sviluppo di un clima culturale che avrebbe consentito al Regno sabaudo di diventare un punto di riferimento per gli ideali liberali e per le ambizioni costituzionaliste.
La concessione dello Statuto Albertino non celò comunque i tentativi, soprattutto attraverso i provvedimenti presi dal Parlamento, di porre dei limiti a quelli che venivano visti come gli eccessi di libertà di critica della ricca produzione giornalistica del Regno, anche in considerazione dei condizionamenti politici che i Savoia iniziavano a subire da parte di Napoleone III. Problemi, questi, destinati a suscitare nuovi dibattiti una volta raggiunta l’Unificazione.
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