Attualità della Costituzione del ‘48

10 Maggio 2008
2 Commenti


Antonello Murgia

In questi anni, sulla scia delle modifiche costituzionali introdotte (quelle al titolo V) o proposte (quelle alla parte II, votate dal Parlamento, ma non ratificate dal referendum) si è svolta una discussione che ha riguardato anche l’attualità, con il passare del tempo, della Costituzione a 60 anni dalla nascita. Schematizzando potremmo dire che esistono 2 modelli opposti che chiamerei, per farmi capire, dell’automobile e del quadro d’autore. Il primo modello concepisce la Costituzione come una macchina che si logora e che perciò ha bisogno di “fare il tagliando”, di fare periodiche revisioni. Il secondo, invece, la considera un capolavoro, che ha in sé già tutto ciò che è necessario e che sarebbe delittuoso modificare anche con piccoli ritocchi che ne altererebbero in modo grave l’insieme. Tra questi estremi esistono numerose posizioni intermedie fra le quali ci sono quelle che si confrontano nella realtà del Paese.
Il centro-destra esprime posizioni vicine al modello “macchina”, non tanto perché è più consono al proprio modo di intendere gli assetti istituzionali (a sentire Gianfranco Miglio, ideologo leghista della prima ora, è anche questo: “la Costituzione… è il patto che i vincitori impongono ai vinti”, ergo “ogni vincitore ha diritto ad aggiustarla”), quanto perché i partiti che lo compongono sono sostanzialmente estranei alla cultura da cui la Costituzione è nata (AN è erede di quel fascismo che la Costituzione ha voluto evitare che potesse riproporsi, Forza Italia è un partito-azienda di recente formazione, gestito con logiche “proprietarie” e sostenitore del “premierato forte”, la Lega oscilla fra il federalismo non solidale ed il secessionismo, entrambi non contemplati dalla nostra Carta). Pertanto non fu una sorpresa la profonda modifica (47 articoli della parte II, ma con importanti conseguenze sulla fruibilità dei diritti contemplati nella parte I) votata 2 legislature fa a maggioranza semplice dal Parlamento.
Il centro-sinistra aveva posizioni più vicine al modello “quadro d’autore”, anche se esse, al suo interno, si posizionavano su un ventaglio più ampio rispetto al centro-destra; comunque sia, scampato il pericolo con la vittoria del NO al referendum e vinte, pur di misura, le elezioni politiche, attendevamo fiduciosi la blindatura promessaci nella campagna elettorale del 2006. Il programma dell’Unione iniziava proprio con il capitolo “Il valore delle Istituzioni Repubblicane”; nel 1° paragrafo, dal titolo “In difesa dei valori della Costituzione”, si affermava: “Non vogliamo riscrivere la Costituzione ma tutelarla, anche elevando il quorum necessario per modificarla, così da scongiurare future riforme a colpi di maggioranza.”
E nel secondo paragrafo, impegnativo fin dal titolo, ”La Costituzione si cambia insieme” si continuava: “E’ … prioritario ristabilire il principio della supremazia, certezza e stabilità della Costituzione…. Modificheremo il quorum previsto dall’art. 138 della Costituzione elevando la maggioranza necessaria per l’approvazione, in seconda lettura, di leggi di revisione costituzionale. Questo garantirà il raggiungimento di un ampio consenso, evitando per il futuro riforme costituzionali approvate a colpi di maggioranza. …Tale proposta avrà carattere di priorità”. Come si vede, il concetto della contrarietà alle riforme a colpi di maggioranza è stato ribadito, a distanza di una pagina, come per rafforzarlo e per evitare equivoci: questo è l’approccio progressista alla materia, questo è lo spirito della Costituzione del ’48 che vogliamo conservare!
Come tutti sappiamo la priorità si è persa per strada, dopo 2 anni il Governo è caduto e le elezioni anticipate hanno riconsegnato il Paese al centro-destra. Con almeno 2 non trascurabili differenze rispetto a 2 legislature fa: una più corposa differenza di seggi rispetto all’opposizione e l’allontanamento dell’UDC che in quella maggioranza era l’unico erede di uno dei partiti della Costituente (ora c’è l’MPA, che però ha molti seggi in meno e rappresenta un fenomeno sostanzialmente circoscritto alla Sicilia).
E’ facile quindi pronosticare la ripresa degli intenti demolitori e occorrerà attrezzarsi per una difesa della Costituzione che sarà più difficile rispetto al 2004-2006, ma non impossibile: ritengo che molto dipenderà dalla posizione che la leadership del Partito Democratico vorrà assumere. Dico questo innanzitutto perché sono convinto che prima di affrontare il merito delle scelte riguardo alle forme di governo, alla tutela delle minoranze, al rispetto della volontà popolare, etc., ed anche prima di discutere se la Costituzione possa/debba essere o meno uno strumento di governabilità (altro punto critico da analizzare), il nostro essere democratici e progressisti non possa non essere caratterizzato dalla scelta, per dirla con Zagrebelsky, del diritto mite, strumento di convivenza delle diversità, esplicitata dal titolo che ho citato sopra “La Costituzione si cambia insieme”. Al modello di Costituzione auspicato da Miglio, una sorta di spada di Brenno posta sul piatto della bilancia per far valere le pretese del più forte, contrapponiamo un modello partecipato, condiviso e inclusivo, che ricerchi il miglior punto di equilibrio fra tutte le componenti, senza escluderne alcuna.
In secondo luogo, il Partito Democratico costituisce ciò che è rimasto in Parlamento della coalizione progressista e le sue scelte sono importanti se non per la qualità delle leggi da emanare (visto il grande divario di seggi), per le prospettive di un eventuale nuovo referendum. Il comitato nazionale “Salviamo la Costituzione”, 1 mese circa prima del voto, ha inviato ai candidati premier una lettera nella quale chiedeva loro di rispondere a 2 domande:
1. se avrebbero proposto e sostenuto l’elevazione ai 2/3 della maggioranza parlamentare necessaria per le modifiche costituzionali, senza distinzioni fra I e II parte, mantenendo comunque la possibilità di richiesta da parte di 500.000 elettori del referendum confermativo;
2. se intendessero vincolare le riforme istituzionali alla coerenza con la Costituzione del ’48 e alla compatibilità con la forma di governo parlamentare.
Le 3 risposte pervenute (Bertinotti, Casini, Veltroni) possono essere lette all’indirizzo http://www.referendumcostituzionale.org/articolo.asp?articolo=395). Veltroni, pur dichiarandosi a favore di una risposta affermativa su entrambe, ha manifestato l’esigenza di apportare, prima della blindatura, alcune modifiche; ha spiegato che le modifiche sono necessarie per portare a compimento “il processo di riduzione della frammentazione politica” nell’ambito del quale era suo intendimento ridurre il numero dei parlamentari da 945 a 570. La priorità alle modifiche deriva quindi dalla previsione dell’ostilità degli stessi parlamentari con conseguente maggiore difficoltà di approvazione in caso di maggioranza qualificata. E’ una scelta che non mi convince per 2 motivi:
1. la riduzione dei parlamentari va valutata non in ragione di facili consensi della piazza, ma tenendo presente che, nelle regioni che eleggono un numero modesto di deputati, può venir meno la rappresentanza, del tutto (come succede per esempio per la Sardegna al Parlamento europeo) o per una parte politica. E allora perché non affidare anche questa decisione (come pure l’auspicata diversificazione delle funzioni del Senato) ad una maggioranza qualificata?
2. anche tralasciando l’intenzione di Veltroni di “rafforzare la capacità di indirizzo del Primo ministro” (che può voler dire molte cose, alcune delle quali poco compatibili con la Costituzione vigente), l’interesse prioritario non può essere piegato all’utilità di quello secondario. Il principio che la Costituzione si cambia insieme deve valere sempre, perché altrimenti il suo essere strumento di convivenza delle diversità, regola del gioco condivisa, viene meno. Per tacere del fatto, inquietante, che l’eventuale modifica in senso autoritario dei poteri del premier, avrebbe poi molta difficoltà ad essere annullata se nel frattempo, come da programma, fosse intervenuta la blindatura con la modifica dell’art. 138. Il dispositivo individuato per evitare manomissioni gravi della Costituzione (la blindatura), rischia così di essere utilizzato per stabilizzare proprio quelle manomissioni gravi!
Non ho la pretesa che questa sia l’analisi giusta; in attesa di eventuali confutazioni e convinto dell’assoluta buona fede di Veltroni e dei suoi collaboratori al programma, vorrei provare a ragionare sulle dinamiche alla base di questa situazione. Sembrava che il pretesto della modifica del titolo V a maggioranza semplice da parte del Governo D’Alema, utilizzato dal centro-destra per legittimare l’approvazione dello stravolgimento della Costituzione nella successiva legislatura, ci avesse insegnato qualcosa. Si fece autocritica, si disse “mai più a maggioranza semplice”; poi si è cambiato idea. Questa vacanza periodica di principi (non so come altro chiamarla), non rara nel campo progressista della politica italiana (e non solo), credo abbia a che fare con quanto avvenne alla rivoluzione francese sulla quale Gustavo Zagrebelsky di recente ha fatto delle acute osservazioni.
La rivoluzione francese si oppose ad un potere monarchico assoluto che rappresentava la sopraffazione e l’irrazionalità, cui contrapponeva la forza della ragione e la volontà generale. Questa posizione, corretta in origine ma assunta una volta per tutte e non sottoposta a verifiche, produsse Leggi che per definizione non tolleravano contraddittori, né opposizioni al di fuori di sé. E così, in breve tempo, la sovranità della ragione si tramutò in sovranità della forza e la rivoluzione francese, dice Zagrebelsky, anziché creare una rottura rispetto all’assolutismo dell’ancien regime, ne rappresentò, da questo punto di vista, il compimento. A dimostrazione del fatto che la buona fede iniziale non è sufficiente a garantirci dall’eterogenesi dei fini. A mio modestissimo avviso, occorre far tesoro di questo insegnamento e ripartire da qui anche nel confronto sulla Costituzione: la sospensione anche breve di un principio generale in funzione di un interesse secondario non porta a risultati positivi e va evitata. Poi si potrà (e si dovrà) discutere degli altri punti critici, in particolare di Costituzione e governabilità. Valerio Onida, in una recente relazione all’Accademia dei Lincei (Roma 9 gennaio scorso), faceva notare come la nostra Costituzione sia nata nel clima storico e  culturale seguito al celebre discorso, detto anche “delle quattro libertà”, del Presidente USA Roosvelt (7 gennaio 1941), che segna lo spartiacque fra un costituzionalismo inteso come fatto locale interessante “questo o quel popolo … questa o quella area geopolitica” ed un costituzionalismo che intende esprimere la tutela, “dappertutto nel mondo” per usare le parole di Roosvelt, dei diritti umani universali. E’ per questo, ci dice ancora Onida, che “noi non abbiamo avuto bisogno, a differenza di altri Stati, di inserire nella Costituzione una apposita clausola europea per giustificare costituzionalmente l’accettazione della efficacia anche interna dell’ordinamento comunitario. Una ulteriore dimostrazione, per chi non ne fosse ancora convinto, dell’attualità della Costituzione del ’48. Si potrà (e si dovrà) discutere di modifiche della Costituzione (su singoli punti e che non ne alterino l’impianto generale), ma non c’è alcun motivo di invocare condizioni straordinarie (e tanto meno costituenti) per realizzarle. E’ per questi motivi che spero che la modifica dell’art. 138 con elevazione a 2/3 della maggioranza necessaria per l’approvazione di leggi di revisione costituzionale sia preliminare agli altri interventi.

2 commenti

  • 1 Gavino Dore
    14 Maggio 2008 - 11:22

    La ricostruzione di Antonello Murgia è condivisibile. Bisogna però riattivare un Comitato per la difesa della Costituzione. Anche perché la situazione mi pare più difficile che nel 2006. La vicenda nazionale (e quella per la Statutaria in Sardegna) stanno svelando un fenomeno preoccupante, e cioé che una parte del centrosinistra, forse non solo del PD (pensate alle assurde posizioni di PRC e PDCI nella nostra Isola) è sensibile alla sirena del presidenzialismo ed anche a politiche restrittive di talune libertà col pretesto della sicurezza, anche se ovviamente questa è una problematica che và affrontata con fermezza seppure nel suo ineludibile rapporto con le garanzie. Dunque serve rimettere in piedi subito un Comitato che agiti i temi costituzionali e vigili sulla Carta. Antonello Murgia perché non assumi l’iniziativa?

  • 2 Antonello Murgia
    16 Maggio 2008 - 13:46

    In qualità di membro del coordinamento del comitato per la difesa della Costituzione di Cagliari addetto alla segreteria, il 13 maggio ho fatto girare la notizia del convegno su “Costituzione e riforme istituzionali” che il CIDI in collaborazione con “Articolo 21” e con il nostro Comitato ha organizzato per martedì 20 maggio alle ore 16.30 presso l’Aula Magna dell’Istituto “Eleonora D’Arborea” in via Carboni Boi a Cagliari. Nella lettera ho scritto “Il tema quanto mai attuale, anche per le modifiche alla Costituzione già minacciate dal “Popolo delle libertà”, comporta la necessità del confronto, anche al nostro interno, in previsione di una ripresa a maggior ritmo dell’attività. La partecipazione al Convegno può essere l’occasione per ripartire.” Concordo quindi con la proposta di Gavino Dore e faccio presente che chi volesse iscriversi al Comitato (gratuitamente) non ha che da mandarmi un messaggio all’indirizzo anto.mur@tiscali.it . Per quanto riguarda le posizioni a sinistra sulla Statutaria, devo dire che una parte importante del PRC si era impegnata a suo tempo per il NO. Le posizioni per il SI credo siano state determinate da un atteggiamento di “realpolitik” che non condividevo, ma di cui oggi mi sembra sia venuta meno per tutti l’opportunità. E allora, mi auguro che possiamo riprendere assieme il discorso, ripartendo dalle cose che abbiamo in comune.

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