Amsicora
Aveva proprio ragione quel tale che disse che la storia presenta l’originale come cosa seria e la replica come farsa. Il primo presidente del Psdaz è stato Mario Melis, forse eccessivo nel suo presentarsi come capo del popolo o della nazione sarda, mentre Solinas appare come un impacciato curato di campagna, che scopiazza qualcosa di qua e di là. Lancia addirittura una “sfida nuova“. Il metro: “quale vantaggio per la nostra Isola? Quale profitto per i sardi?” Un vero economista! Sembra un novello Adam Smith.
I suoi modelli? Uno lontano, il ribelle dei Savoia, Giovanni Maria Angioy, il rivoluzionario di riferimento per autonomisti e indipendentisti, e uno vicino, Mario Melis appunto, da tutti considerato il capo della nostra tribù o meglio del popolo sardo.
Solinas ha subito un piglio profetico. Se per un tale, più di un mezzo secolo fa, l’obiettivo era la “nuova frontiera” per lui è “una nuova stagione“. Oh! sia ben chiaro ” senza “liturgia”, specie se “fondata sulle appartenenze”. Ma quandomai, appartenenze? Che mai è questo concetto? Non si attaglia agli statisti come ai saltimbanchi! Ma per lui non di salti mortali si tratta. Sano realismo, ladies e gentlemen, quello che distingue gli statisti dai politici ordinari. E ben lo sa lui “perché, essendo stato sia al governo che all’opposizione, ricordo sulle dichiarazioni programmatiche si dicono più o meno le stesse cose da oltre cinquant’anni, senza un filo conduttore organico. Tanto che i problemi strutturali della nostra Isola sono diventati storici, ai risultati attesi non si è arrivati”. Cinquant’anni? Ohjbo’! Quindi anche Mario Melis riscaldava la minestra! Le sue dichiarazioni programmatiche sono del 1984, dunque entro il mezz0 secolo fatidico, per l’esattezza 35 anni. Magari il grande Mario, per insaporirla, ci ha aggiunto una salsina sardesca o meglio sardista, o sa piarra o pibarra (pomodori secchi), perché, al tempo, ci sembrarono innovative. La prima giunta sardista e comunista. Un vero fatto nuovo!
Ma per il nostro no, per Chistian “oggi” si deve “cambiare prospettiva”. Tabula rasa, ci vuole ben altro! Anzitutto in lnea teorica “con un punto di analisi e una visione che tenga dentro tutto, perché le rapide trasformazioni della società non consentono da una parte facili entusiasmi e dall’altra impongono responsabilità differenti rispetto a quelle del passato”. Beh, sì - bisogna ammetterlo - in passato c’era superficialità, disinvoltura. Settorialità miope. Vedevi l’albero e non la foresta. Oggi, per Solinas il tema dell’identità “attraversa e comprende ogni politica di settore”. Declinazioni differenti in ogni ambito sì, ma, attenzione!, non disorganiche, disorganiche no, proprio no! Giammai! Esse per Christin (ma come fa un presidente “sardista” a chiamarsi Chistian!) “devono affermarsi come risposta complessiva ed originale alla domanda sul come essere sardi oggi, sia al nostro interno e nel confronto con altre realtà, italiane ed europee”. Minchia, che concetti! E non basta, udite, udite! “Su questo – ha proseguito il presidente – mi sento di rivolgere un appello al parlamento di un popolo che non vuole più essere oppresso, ma semmai, all’altezza della propria storia”. Parlamento, non Consiglio, capite l’antifona? “Parlamento“! Echeggia il concetto di sovranità, di disconoscimento di qualsivoglia autorità superiore. Si sente l’eco dei profondi studi giuridici: quante volte sulle sudate carte avrà ripetuto: il popolo sardo “superiorem non recognoscet”. Neanche Mario era arrivato a tanto!
E come è agile nel levarsi in volo, così è efficace nel planare, nell’individuare gli obiettivi di legislatura. La situazione economica della Sardegna è grave? Niente paura ci penso mi, identitariamente ci pentzu deu. La soluzione? “Politiche nuove né di sopravvivenza né di ordinaria amministrazione o peggio di rassegnazione”. La crisi come opportunità? Lo dicevano già nella polis i greci classici. Lo ha detto Obama nelle sue prime dichiarazioni. E Chistian è con loro: “proprio in questi momenti difficili si deve riaccendere la speranza con una nuova tensione ideale e con un nuovo slancio orientato verso una grande progettualità fondata sul fare”. Fondata sul fare, capito?, non sul cazzeggiare. Ed ecco la linea: “Allargando gli spazi di autogoverno si possono affrontare in modo efficace le tante vertenze aperte con lo Stato, con in più quella sulle accise”. C’è qualche salto, voglio il resoconto stenografico. Non intendo perdere un passaggio! Ma è tutto chiaro. Nei rapporti con lo Stato è tutto chiaro, una vera rivoluzione.
E sul piano interno? Lo schema istituzionale è nitido e netto. Un progetto che “metta al centro gli Enti locali, semplifichi il quadro superando le Unioni dei Comuni e riporti in superficie le Province come unici enti intermedi”. Mano decisa anche sull’organizzazione di assessorati e uffici. Non panicelli caldi, ma “una riforma organizzativa dell’intero sistema, compresi gli enti e le agenzie”. Un riordino complicato? Macché! “Fondato sulla semplificazione e la riqualificazione, anche motivazionale, del personale”. Non so voi, ma io ho già visto una certa accelerazione nei tempi e nei modi. Il personale è già galvanizzato. Mi sembrano i giocatori del Liverpool al secondo tempo!
Lo so che voi siete insaziabili, volete tutto e subito. Io no, ero così negli anni verdi in cui, con altri vagheggiavo una società di liberi e uguali (non quella di LeU, sia ben chiaro!), mi piccavo d’essere nientemeno che rivoluzionario. Al diavolo i riformisti, malagente, neanche in cartolina! Ora però, confesso, pian piano mi sono amminchiato assai e perciò lascio a voi di scavare sulle profondità suddette, io, mi vergogno quasi a dirlo, mi accontenterei di una sola promessa di Christian. Questa: “una nuova legge statutaria elettorale che assicuri la rappresentatività di tutti i territori e insieme governabilità e stabilità”. Solo di questa, niente di più. Una nuova legge elettorale in luogo dell’immondezza vigente. Niente complicazioni. Niente “soggettività internazionale della Regione nel rapporto con l’Unione europea“. Niente “riconoscimento degli svantaggi permanenti dell’insularità”, niente “programmazione europea attenta alle periferie del continente e non centralista”. No, niente di tutto questo. Christian (ma come fa un sardista a chiamarsi Christian!) lascia stare il PIL, il latte ovino, anche perché io preferisco il caprino e tanto non ci puoi far nulla. Solo una legge elettorale seria per noi poveri sardi. “Fortza Paris”.
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