Autonomia differenziata: le regioni ricche vogliono star da sole

9 Maggio 2019
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Gianna Lai

Il CIDI- Centro d’iniziativa democratica degli insegnanti oggi 9 maggio ore 16,30 alla MEM, via Mameli n. 164, indice un incontro

“Autonomia rinforzata d’attuazione dell0art. 116 della  Costituzione porta alla regionalizzazione della scuola?”

Intervengono Beppe Bagni e Rosanaria Maggio

Ecco sul dualismo Nord/Sud una riflessione di Gianna Lai

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E vada pure in malora questo Meridione, che vive di assistenza e di indennizzi e che si papperà quasi tutto il Reddito di cittadinanza! Più soldi al Nord, noi delle tre regioni più ricche non vogliamo comunque portar via niente alle altre, semplicemente vogliamo tenerci i nostri, il nostro residuo fiscale, e deciderne direttamente l’uso. Roba da niente, in termini di unità della Repubblica! Il surplus del gettito da trattenere in casa, un bottino imprecisato da destinare al proprio territorio, trova già pronte le condizioni per far avanzare un processo ormai in atto da tempo, la secessione dei ricchi, la definisce Gianfranco Viesti, docente dell’Università di Bari. Con rinnovata superbia chiedono che si riveda la funzione primaria dello Stato stesso, di un sistema fiscale già definito dalla nostra Carta. In discussione il principio fondamentale della Repubblica, una e indivisibile a garantire solidarietà e ‘armonia dell’Ordinamento’, quella che detta le regole sui trasferimenti ai territori dal sistema economico più debole. Un tema prettamente costituzionale, ma basta un governo di Centro sinistra, delle magnifiche sorti e progressive, a modificare nel 2001 il TitoloV, e poi un governo Gentiloni a varare, proditoriamente in scadenza, l’ampia Autonomia differenziata dell’Emilia Romagna (sì, proprio la Regione rossa), e del ‘Lombardo-Veneto’, come nuovi staterelli ’semi-autonomi’. Che chiedono il passaggio di autostrade, ferrovie, aereoporti, la proprietà sulle centrali elettriche, ecc., di quelle infrastrutture, cioè, costruite con i soldi di tutti gli italiani: un tema di diritti, di natura costituzionale, l’uguaglianza si coniuga tenendo conto della Regione in cui vivi?L’Italia, ‘paese malato terminale, non aiuta più il Meridione’ dice Emanuele Felice, docente di Storia economica, in Perché il Sud è rimasto indietro, edizioni Il Mulino. E afferma lo studioso che, se in rapporto alla contribuzione fiscale i meridionali ricevono di più di quanto pagano, la vera responsabilità di tale squilibrio va ricercata proprio tra la classe dirigente politica e imprenditoriale, nazionale e locale: per carenza di infrastrutture, sprechi, clientele e criminalità organizzata. Quando l’Italia cresceva, il Sud veniva trainato dalla modernizzazione, ma si è giunti a questo grave immiserimento del Meridione, proprio perché le classi dirigenti dell’intero Paese hanno sempre voluto lasciare immutati gli assetti socio-istituzionali dell’Italia, anche durante le grandi trasformazioni. E se Svimez definisce il Meridione come la Grecia d’Italia, avviato verso un ’sottosviluppo permanente’, ‘qui al Sud ci troviamo di fronte un popolo sfiancato dai mille cattivi esempi’, sembra rispondergli Luciano Canfora, a condivisione, in termini sociali, della durissima analisi critica.La modifica del TitoloV cancella la Questione meridionale e una più equa distribuzione secondaria del reddito (prelievo fiscale-erogazione servizi), verso una solidarietà che ricompatti il tessuto sociale: non era questo il cavallo di battaglia della Sinistra, non è da lì che proviene l’ultima deriva del Sud e, insieme, dell’intera Sinistra italiana?C’è la Storia che insiste molto a sostegno del Meridione, e vi si sofferma ad analizzarne le ragioni di povertà e degrado, molto chiare ai Costituenti mentre scrivevano il vecchio Art. 119, al comma 3, ora cancellati dal nuovo Titolo V: ‘Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali’. Conoscevano bene il Sud, i Costituenti, la storia di miseria e di umiliazione in cui vivevano ancora i ceti popolari, avevano in mente il Meridione reso ancora più povero con l’Unità d’Italia, fin da quando le aspettative create da Garibaldi e la mancata assegnazione delle terre demaniali, dettero origine a rivolte già allora stroncate drammaticamente nel sangue. Per quel mostruoso blocco agrario italiano, Gramsci definisce il Mezzogiorno ’sorvegliante del capitalismo settentrionale e delle grandi banche’, gli agrari del Nord consorziati in Parlamento con quelli del Sud, ceti dirigenti dall’egoismo ‘gretto, angusto, antinazionale’, da rendere impossibile ogni accumulazione di capitali e di risparmi nel Sud, mentre ‘in Sardegna si calcola, denunciava ancora Gramsci, che centinaia di milioni siano stati estorti nei primi anni Cinquanta dell’Unità, a favore del Continente’. Un pò di storia non fa male, per capire quanto il Meridione abbia contribuito alla ricchezza dell’Italia, accusato sempre di essere il vero responsabile della sua povertà. Partendo dal pareggio di bilancio della Destra, ah modernità del nuovo Art 81 della nostra Carta, votato ancora oggi sotto il governo Monti!, che costò la Tassa sul macinato e la soppressione degli usi civici, e le recinzioni delle nuove proprietà a favore del latifondo assenteista. Esclusi i contadini dal suffragio e oppressi da un analfabetismo che tocca punte del 90% nel Meridione, vittime essi stessi delle ondate di ribellioni contro i notabili e contro la leva obbligatoria, da qui la forte impronta sociale trasmessa fin da subito a tutto il fenomeno del brigantaggio. E fu questa la prima guerra che l’esercito della nuova Italia combatté, ma contro l’Italia stessa, contro i diseredati del Sud, stato d’assedio, leggi eccezionali e Tribunali speciali, fino a contare, tra il 1861 e il 1865, 5812 ‘banditi’ uccisi, 5mila gli arresti, 2mila le condanne. Per una guerra civile che costò più vite di tutte le campagne del Risorgimento. E così fino a Crispi, fino alle politiche protezionistiche degli ultimi anni del secolo in favore dell’industria del Nord, gravemente sacrificate le esportazioni agricole del Sud verso la Francia. Fino alla gigantesca emigrazione di plebi disperate dall’intero Meridione, le cui rimesse continuarono ancora a sfamare l’Italia e le sue voraci classi dirigenti settentrionali, attraverso ‘i buoni del tesoro offerti dallo Stato.. per sussidiare le industrie del Nord’, e la Banca di sconto per rastrellare ‘i miliardi provenienti dal risparmio meridionale’.

E se ci volle il fascismo a porre fine ai moti contadini del primo dopoguerra, non è bastata la nostra Carta a riaffermare la Questione meridionale come impegno dell’Italia repubblicana. Complice la mafia che si rafforza in tutto il Meridione, e non solo, i proprietari assenteisti resistono pressocchè indenni a ogni tentativo di creare nuova classe dirigente, anche di fronte al miracolo del boom economico anni Cinquanta- Sessanta. Si svuota il Mezzogiorno delle sue energie migliori, più di un milione di emigrati, quelli che determinano un aumento dell’indice della produzione industriale in Italia del 120 %, e del reddito nazionale del 78%. Al Sud, ancora terra di conquista dei capitali pubblici, resta solo la politica dei Poli industriali e il suo fallimento: emigrazione e degrado sociale e ambientale, per attualizzare il Meridione ‘palla al piede del Nord’, come ai tempi dell’Unità. Privi di ceti dirigenti responsabili, si vive di trasferimenti, come denuncia il prof. Sabattini. Lo Stato e l’Europa, così ‘poco inclini a combattere le infiltrazioni criminose nelle istituzioni e nella classe politica’, rendono disponibili grandi risorse per inchiodare tuttavia il Meridione alla politica dell’assistenza e degli indennizzi, alla sua arretratezza. E viene meno la dignità della persona, che la nostra Carta vuole prima di tutto garantire con la lotta alla povertà. ‘Non elemosine o risarcimento per i maltrattamenti subiti, diceva Renzo Laconi, che la Costituzione aveva contribuito a scriverla, quando parlava dell’ attuazione dell’art.13 dello Statuto sardo, ‘perché il Sud è problema nostro e di tutta la nazione’. Oggi i più ricchi chiedono, con maggiore insistenza, di stare da soli, ma i democratici denunciano, come ha fatto recentemente Alfiero Grandi, che ‘questa quasi autonomia serve a creare profonde e ingiustificate distinzioni tra regioni ricche e regioni povere, aumentando le diseguglianze anzichè cercare di eliminarle’. Rafforzare il movimento per l’attuazione della nostra Carta, come fa l’ANPI, in un contesto di unità del Paese, per costruire nuova solidarietà, contro questo ulteriore tentativo di stravolgerla. Verso tale direzione si muove in questi giorni la Scuola, e lo stesso Coordinamento della democrazia, speriamo che altri seguano. Ne va della tenuta delle istituzioni e del mantenimento dei diritti, che l’alleanza Lega- Pd e Forza Italia mettono gravemente in pericolo

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