La Costituzione nata dalla Resistenza è ormai l’unica arma di “resistenza” contro il dilagante degrado

23 Aprile 2019
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Andrea Pubusa

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Lo scenario politico col suo degrado chiama sempre più in causa la Costituzione, come strumento di difesa, come appiglio ideale, priva com’è, ormai, di effettività giuridica. Le Costituzioni, infatti, hanno la superba pretesa di durare grazie alla rigidità loro impressa dai procedimenti di revisione aggravati, ma sono in realtà i testi giuridici più deboli e flessibil, laddove manchi il sostegno delle forze politiche, a governare le istituzioni. E da tempo il degrado ha superato il limite di guardia. Sono aggrediti i principi fondamentali. La sovranità popolare da leggi elettorali (come quella sarda), distorsive della volontà degli elettori e della rappresentanza, il lavoro, con l’avvilimento dei lavoratori e con la disoccupazione dilagante, la dignità delle persone a causa di vere e proprie riemersioni corpose di schiavismi, l’eguaglianza compressa dalle ricchezze smodate e dalle povertà che aggrediscono ormai perfino chi lavora e il vecchio ceto medio. Diritti fondamentali come il diritto alla salute e allo studio regrediscono percossi dall’allocazione altrove delle risorse sotto la scusa della crisi.
La Costituzione da “rivoluzione promessa”, come la chiamava Calmandrei vedendola positivamente come un progetto di radicale cambiamento della società e del rapporto fra le classi sociali, come arma potente e irrefrenabile di sviluppo democratico e civile, è ormai ridotta a “carta della resistenza” agli attacchi concentrici e massicci dal centrodestra e dal centrosinistra. La Costituzione nata dalla Resistena al nazifascismo vive come arma di “resistenza”, come barriera agli attacchi di chi riavanza istanze di sfruttamento, come argine ai potentati politici ed economici, come antidoto, ideale più che reale, alla ricreazione di caste e oligarchie di comando.
In questo quadro uno degli articoli più violati della Carta è l’art. 54, che dice cose scomode: fedeltà, disciplina, onore. Concetti ormai desueti, di cui sembra smarrito perfino il senso. Tutti “hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”; I “cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Verbi e sostantivi solenni, propri delle vicende più alte della polis. “Affidare”, dare con fiducia a persone di valore le nostri sorti, la libertà, la giustizia, l’economia, la salute, il futuro dei nostri figli, il destino del Paese. Disciplina, ossia, semplicemente, rigorosa osservanza di norme e regole, di progetti democraticamente elaborati e definiti. “Onore”, comportamenti specchiati e di indiscutibile dignità, un tratto distintivo della persona. “Giuramento”, un vincolo solennemente e pubblicamente assunto che coinvolge la coscienza, e dunque la persona nella dimensione pubblica e privata.
Col giuramento si rafforzano i doveri costituzionali, l’impegno di fedeltà alla Repubblica, di osservanza leale della Costituzione e delle leggi, di esercizio delle funzioni “nell’interesse esclusivo della Nazione”. Dovere morale prima che giuridico, proteso a realizzare l’interesse pubblico.
Quanta distanza dalle condotte delle consorterie e dei loro capi, che di norma pongono in primo piano i propri interessi e subordinano a questi l’interesse della nazione. Quanti ministri, consiglieri e amministratori vìolano l’art. 54 e il giuramento prestato! Quanti ‘spergiuri’, per aver mancato ai propri doveri istituzionali e alla propria coscienza, non solo fra i ministri, ma anche fra magistrati, pubblici funzionari, alte cariche amministrative e militari!
Oggi questo contrasto fra regola costituzionale e comportamenti di chi ci governa o amministra è la questione centrale delle nostre istituzioni, il cancro che ne mina l’esistenza. E’ impressionante il contrasto fra comportamenti e norme: interessi privati muovono in modo vistoso l’azione di coloro cui le pubbliche funzioni sono ‘affidate’. L’etica è completamente scomparsa, così come la dignità e l’onore. Le persone rigorose subiscono ostracismi e vivono esiliati in patria. Ogni giorno emergono fatti nuovi, sempre più sconcertanti e intollerabili persino per chi si sta assuefacendo a simili atteggiamenti dei propri amministratori. Viene alla luce un intreccio pesante, una rete di corruzione praticata in forme sempre più ripugnanti: soldi, benefici e privilegi sono oggetto di scambio tra politici, funzionari pubblici, faccendieri, imprenditori, aspiranti appaltatori, arrampicatori sociali e avventurieri d’ogni sorta, donne a disposizione come merce di scambio. L’indignazione cresce di fronte all’enormità dello squallido e volgare spettacolo che coinvolge parte rilevante delle istituzioni e radicato nel sistema.
Ecco perché è giusto chiedere immediate e spontanee dimissioni di politici e amministratori a salvaguardia dell prestigio delle istituzioni. Ecco perché è stato criminale fare leggi per  offrire la possibilità di sfuggire alla giustizia. Leggi di tutti i tipi, dalle immunità al processo breve, al processo lungo, tutte nell’esclusivo interesse degli inquisiti. In questo modo a violazione si aggiunge violazione, in una catena ininterrotta.
Ecco perché la questione morale è centrale, è dirimente, perché dalla onorabilità delle condotte, dalla disciplina nel rispetto delle regole democratiche dipende tutto l’altro. Come dalla violazione dell’art. 54 discende il degrado, dal suo rigoroso rispetto dipende la rinascita delle istituzioni. Con questo metro rigoroso dobbiamo giudicare comportamenti di forze politiche e dirigenti. Senza pregiudizi e senza indulgenze. Con fermezza dobbiamo batterci per il rispetto dell’art. 54.

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