Ignazio Marino: la sua indecorosa rimozione è il simbolo della involuzione democratica del PD e del Paese

13 Aprile 2019
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 Andrea Pubusa

Che Ignazio Marino fosse una persona per bene lo sapevamo tutti. Chirurgo di fama, non si era messo a far politica per realizzarsi. Era un uomo professionalmente al top. Dunque il suo impegno era solo espressione della sua volontà di mettersi a disposizione della collettività. E’ successo a tanti, piccoli e grandi, e per fortuna tante volte nella storia.  Personalmente, nell’accademia ho avuto come collega e fraterno amico un suo cugino dallo stesso nome (quello del nonno) ed ho avuto modo di capire che si tratta di una famiglia integerrima. Per questo ho sempre avuto la sensazione che prima o poi la verità sull’ex sindcao di Roma sarebbe stata sancita anche in giudizio. Ed ho inoltre sempre capito che questa in fondo era la sua colpa dentro il PD, l’essere onesto e disinteressato in un partito eticamente degradato. Avevo già avuto modo di constatare questa realtà con Paolo Orsoni, anche lui mio collega all’Università, da sindaco di Venezia coinvolto in una vicenda di malaffare, cucinato, a sua insaputa, dai dirigenti PD, e anche lui finito sotto inchiesta, subendo anche l’onta dei domicialiari. Fu in quel caso che, nell’esprimere la mia solidarietà al collega, compresi che una persona per bene, se fa l’azzardo di mettersi a fare qualcosa col PD, rischia. Perché? Per la semplice ragione che non è attrezzato a navigare in acque torbide, che non immagina in quale mondo è finito. E’ solo, non ha gli strumenti per difendersi. E’ in mezzo ai pescecani. E le condotte delle persone per bene, lì sono prese come un attacco alla “famiglia”. Per Orsoni, a farlo cadere in disgrazia nel PD, bastò la disponibilità a parlare coi giudici per dire quanto sapeva, la verità. Un atteggiamento contro la regola del silenzio e dell’omertà. A Marino, a renderlo inviso, bastò non mostrarsi disponibile a indulgenze nei confronti degli ambienti di “mafia capitale”, che ormai avviluppavano il Campidoglio. Marino non fu defenestrato dai giudici né dalla risibile questione degli scontrini, ma dai suoi amici di partito, agli ordini di Renzi e della dirigenza, che non potevano sopportare quel marziano in quel fangario. La fila dei compagni di partito di Marino che vanno a dimettersi davanti al notaio per farlo decadere è una delle pagine più nere della storia democratica del Paese. Il governo locale è stato il primo insediamento della sinistra in Italia a fine Ottocento. I municipi furono le prime conquiste del movimento socialista ed operaio degli allbori. E lì son nati tutti i primi leaders popolari e gli istituti del Welfare, dal piano regolatore, all’intervento in economie con le municipalizzate (dai tram alle centrali del latte) in favore dei ceti popolari, alla scuola, all’edilizia per lavoratori. Un nuovo modello di amministrazione è nato lì, ad opera delle forze del lavoro. E sapete quale era l’architrave di quella grande storia? L’etica pubblica, il rigore morale. Persi questi, non c’è una sinistra diversa, semplicemente non c’è sinistra. E chi, errando, pensa che non sia così e si mette a far qualcosa coi dem e dintorni fa la fine di Marino e di Orsoni. Se gli va bene viene espulso da un corpo che sente l’onestà come un elemento estraneo, incompatibile. Se gli va male, finisce per pagare colpe non sue.
Quanto la vicenda di Marino, già prima della sentenza, ha inciso sul destino del PD? Più di quanto non si pensi. Renzi è stato seppellito da quel fatto e dai tanti fatti simili avvenuti in tutta Italia. Emarginazioni o silensiosi abbandoni delle persone di buona volontà hanno creato il deserto o meglio hanno lasciato il campo a una folla di malandrini. L’attacco alla Costituzione è stata la torsione antidemocratica più palese di un gruppo dirigente che già aveva voltato le spalle ai fondamentali del movimento democratico e di sinistra italiana e non solo. I Marino hanno vinto su Renzi e sul PD ben prima che la Cassazione assolvesse l’ex sindaco di Roma. Ma la sentenza della Cassazione non cancella una ferita per la democrazia, che non si rimargina. Il paese ha cacciato Renzi, ha ridimensionato il PD, ma non ha imboccato un percorso di ripresa democratica. C’è un governo con due anime, ci sono umori degradati in giro, il PD è ancora lì a ostacolare la rinascita con le sue pretese di rivincita, senza seria autocritica, anzitutto morale; il M5S ha tanti buoni propositi, ma - da solo - non ha le gambe e la testa per far fare il salto al Paese. La fila dei dem dal notaio per cacciare Marino ricorda la carica dei 101 contro Prodi, le trame oscure per impedire uno sbocco chiaro e democratico alla crisi. Per questo siamo ancora nel pantano. Uscirne non sarà semplice.

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