Orizzonti di giustizia sociale, Libera contro le mafie

7 Aprile 2019
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Gianna Lai

Libera continua nei suoi incontri annuali dei parenti delle vittime delle mafie. Quest’anno l’assemblea nazionale si è svolta a Venezia ai primi di marzo col titolo “La memoria tra testimonianza e racconto” in preparazione del 21 marzo, XXIV Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo  delle vittime innocenti di mafia.
Ci sono quattro vittime sarde: Antonio Pubusa, ucciso nel 1949 nella lotta al bandito Giuliano, medaglia d’oro al valore civile, Emanuela Loi, uccisa col giudice Borsellino, Bonifacio Tilocca, ucciso a Burgos, e don Graziano Muntoni ucciso a Orgosolo.

Ecco la sintesi dell’Assemblea di Gianna Lai.

Raggiungono il Convegno sui pullman dei carabinieri i parenti delle vittime, e narrano commossi le loro storie, di fronte a centinaia di persone, dopo il breve discorso di Daniela Marcone, vicepresidente di Libera, che ha  parlato de ‘La Rete dei familiari di vittime innocenti della mafia’, illustrandone impegno e finalità.
Dalla frantumazione del dolore, si possono rimettere insieme i pezzi e può nascere una forma più bella, ‘grazie all’amore di tutte le persone che mi hanno preso per mano’: in  ricordo di  Rita Borsellino morta lo scorso anno e fondatrice di Libera nel 1996. E  poi interviene Maddalena Martinucci, sorella di Domenico, calciatore di 25 anni, ucciso nel 2015, e Katia e Giusi Di Bona che, nipoti di un  nonno ucciso nel 1992 dalla mafia, portano oggi la testimonianaza  di Libera nelle scuole. E la sorella di don Peppe Diana, e Esposito Ferrajoli, fratello di Tonino, riconosciuto dopo 40 anni vittima di mafia. E  Martino Ceravolo, che ricorda Filippo e interviene nelle scuole di Soriano, nonostante le minacce contro le sue figlie. E Anna Maria Torre: per l’uccisione di suo padre Marcello, avvocato, sindaco di Pagani, è stato condannato Raffaele Cutolo negli anni ottanta, quando ribellarsi, come fece sua madre,  non era facile, ‘non c’erano associazioni, erano tempi duri, di abbandono, per questo oggi io sono referente di Libera’.
E la testimonianza di Maria Cardona, familiare di vittima e attivista del Comitè permanente por la defensa de los derechos umanos, in Colombia, e Antonella Azoti: il padre  Nicolò, Segretario della Camera del lavoro di Baucina (Palermo), tra i 50 sindacalisti uccisi nel dopoguerra, durante la lotta per l’assegnazione delle terrre incolte ai contadini. La storia di 50 uomini, che ora, grazie alla platea di Libera, si può conoscere. Gli uccisi non ebbero diritto alla  giustizia, così come quelli di Portella della Ginestra, né lo Stato sostenne le famiglie, infliggendo loro altro dolore, una pena terribile. Per decenni sepolta la memoria, ‘né si poteva parlare di mafia fino alla  strage Capaci, quando tutti ci siamo sentiti chiamare al nostro dovere con la nascita di Libera, dove io sono impegnata da 26 anni’.
E Mariella Scaglione, anche lei della rete di Libera, figlia del primo magistrato ucciso nel maggio del 1971 a Palermo. Fu allarme sociale il  primo omicidio di un magistrato che perseguitava la mafia, eseguito a scopo di vendetta per colpire direttamente lo Stato. ‘Del bandito Giuliano e di Portella della Ginestra si era occupato mio padre. E poi omicidi e traffico di droga e sacco edilizio, al tempo della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro’. E Mariella ricorda poi la strage di Ciaculli, 7 carabinieri e poliziotti uccisi da Cosa Nostra nel 1963, e  l’uccisione del giudice Terranova, coinvolti i più importanti mafiosi capicosca del tempo, e i 27 magistrati caduti per mafia e terrorismo, vittime innocenti, una scia di sangue mai verificatasi in alcun Paese che si ritenga civile. ‘Oggi, dopo 48 anni di mancata gistizia, non resta che appellarmi alla  giustizia divina, ricordando le parole di mio padre nel 1960, quando  diceva - la lotta per la giustizia sociale è lotta contro la mafia, ma è necessario, per raggiungere lo scopo,  il sostegno forte dei movimenti popolari in ogni parte del Paese’
E Ornella Salerno, familiare di vittima a Portella della Ginestra, 11 i morti. A 72 anni, il dovere di trasmettere ai giovani come, a Piana degli Albanesi nasce Portella, in provincia di Palermo, contro la legge per la redistribuzione delle terre, contro un popolo soggetto a ricatti e povertà per mancanza di lavoro. ‘Ripartiamo da quella lotta perché la memoria serve a questo, ed anche allora, 1947,  mentre  molti  partirono, per non testimoniare davanti ai giudici, mia nonna si presentò ed  ebbe il coraggio di parlare al processo di Viterbo’.
E la signora Buscemi, 2 fratelli di 18 e 24 anni uccisi dalla mafia, nel 1976 e nel 1986,  il secondo mentre cercava le tracce del primo, insieme al cognato, la cui moglie si lascio’ morire per il dolore. ‘Nel Maxiprocesso alla mafia del 1986 mi sono costituita parte civile: abbandonata  dai parenti, ho dovuto chiudere il bar e andare a vivere in campagna, a causa delle continue minacce. Nel 1990, quando fu ucciso Rosario Latino ho scritto una poesia in dialetto palermitano, perché non sono una donna che ha studiato: ho parlato del mio  sogno ‘A morte la mafia, il funerale della mafia’.
E Antonio d’Amore, della Fondazione Ruotolo, referente del coordinamento napoletano. E Manuela Scamardella, la madre Barbara ammazzata a 35 anni a Napoli. E Lucia vedova Montanino, ammazzato a Piazza mercato, a lungo chiusa in una condizione di solitudine, di vittima disperata.
E Davide Palmisano che ricorda il padre giornalista. E Rita Bonfiglio, esilissima ragazza che  frequenta da anni Libera cercando la verità, dice, semplicemente  da cittadina, ‘perché, se si vuole costruire un Stato diverso, la memoria collettiva deve riguardare tutti, mentre sulle vittime mafia  c’è ancora grande ignoranza’. Ricorda Rocco Greco, imprenditore suicida contro il pizzo, episodio drammatico che chiede di  imporre l’interditiva antimafia, impedire ai mafiosi la partecipazione alle  gare d’appalto. Lei si occupa dei beni confiscati e utilizzati  a fini sociali e spesso deve combattere ‘contro un’ incolta burocrazia,  perché i beni confiscati, alberghi, aziende, siano  utilizzati a scopi sociali’.
Attraversare il dolore, raccontarlo, ci aiuta a vivere, dice chi interviene, ed è conoscenza per gli altri. La testimonianza si rivolge, in particolare, ai giovani delle scuole che sono sempre molto interessati, con le loro domande vogliono sapere e ancora approfondire. Per noi significa combattere e far capire da che parte stai, chiedere la ragione delle cose, essendo molto impegnativo ottenere il  riconoscimento dei propri cari morti come  vittime di  camorra, perché le reticenze dello Stato sono gravissime, se ancora l’80% delle vittime di mafia non hanno avuto giustizia, dice il familiare di Attilio, ucciso per aver curato il boss Provenzano, e non ancora riconosciuto vittima di mafia, in mancanza della sentenza del giudice.  La solitudine è lo Stato che nega la verità,  che fa morire le madri, mentre grazie a  Libera  si crea amicizia tra noi in questa battaglia per la verità e per dare dignità alle vittime. Una battaglia in particolare contro chi ha  ruoli istituzionali, magistrati, politici, funzionari, che continuano a negare verità e giustizia. Dalla resistenza all’esistenza, costruiamo un’azione politica contro lo Stato che sta delegando le politiche sociali, sottraendosi alle sue funzioni, ma continua a mantenere ancora il suo carattere punitivo. Rendere  onore alla vittime,  riconoscendo il diritto alla memoria: Antonino Agostino, il suo viso sulla maglietta indossata dal padre durante il Convegno, e ‘Antonio Landieri, si legge sulla maglietta di un altro familiare, venticinquenne disabile, vittima innocente di camorra’.
Nel suo intervento, don Ciotti mette in luce ‘un’esistenza senza giustizia, come quella di Augusta, la madre di Agostino, che ho accompagnato in  cattedrale a Palermo, ancora in attesa di giustizia dopo la sua morte. Schiere di madri senza giustizia, c’è bisogno di verità, è necessario aprire gli armadi, perché gli studiosi che lavorano per l’ONU sui traffici  di droga, dicono, parlando dei poteri criminali mafiosi, che  quando i rapporti consegnati toccano gli interessi degli Stati, ciascuno  può porre il veto, così, pur essendone  a conoscenza, il reato non si può dichiararlo. La conoscenza della verità  sui delitti di mafia, la vita è più forte della morte, la nostra memoria è viva e ha bisogno di verità e di  giustizia, si trasformi subito in impegno e responsabilità. E ricordando l’incontro con Papa Francesco sui temi della mafia, conclude il suo intervento con un appello, i giovani parenti prendano in mano il testimone, perché mafia e corruzione sono furto di speranza, negano il nostro futuro, sono furto di  civiltà e di giustizia.
Al mattino di sabato, il Congresso prosegue presso la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, San Polo, 2454, tra le calli della città. L’intervento di Marco Paolini, attore, ci riporta alla riflessione sul significato di memoria anche a teatro (in un post che si pubblicherà nei prossimi giorni)
E poi, al pomeriggio, nuovo percorso cittadino verso la Basilica di San Marco, preziosissima la presenza dei compagni dell’ANPI di Venezia, in forze al Convegno, che ci aiutano a ritrovare la strada fra vicoli stretti, calli e ponti. Veglia ecumenica  di riflessione e di preghiera, ancora con Don Ciotti, col Patriarca di Venezia Francesco Moraglia,  e con Monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri e membro della Presidenza di Libera: le vittime hanno vissuto per imporre la giustizia sociale, e il dolore che si trasforma in testimonianza dà continuità alla memoria. Al loro fianco la Chiesa che predica il Vangelo e lo pratica contro gli abusi di potere, volendo  aprire una  breccia nella n’drangheta, perché del pentimento fa parte la confessione del peccato, sì da permettere  che le vittime possano giungere alla verità. La  presenza della mafia è forte ovunque ci sia denaro, un antistato che  si materializza usando linguaggi quasi mistici per leggittimare il suo potere assoluto, il signore, il papa, il santo e che minacciando chi la contrasta, arriva fino allo stesso don Ciotti. Ma la memoria continua a essere forte e si fa  racconto di vita quotidiana, recupera con coraggio quelle  vicende  che prima non si potevano raccontare, attraverso  una fitta rete costruita da persone combattenti. Una rete che  ha valore ben diverso da quella virtuale, contro la solitudine al tempo dei social, che è forte, e se le storie non sono né grandi né piccole, tutte insieme riverberano luce e calore, formando massa critica. Per questo abbiamo combattuto perché il 21 marzo fosse riconosciuto dallo Stato come Giornata di lotta contro mafia.
E risuonano, nella splendida Basilica di San Marco, i nomi delle vittime innocenti di mafia, inframezzati ai canti della Comunità ecumenica di Taizé e alle pagine di David Maria Turoldo, ‘E sulla pietra scrivetemi solo:\ ‘ ha sognato cieli nuovi e terre nuove’|. Se pure non sarà anche questo inutile.\So, ma è amaro il sapere, che non resterà memoria’.
Di don Peppe Diana, ‘Per amore del mio popolo, Natale 1993. Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Alla Chiesa chiediamo che non rinunci al suo ruolo profetico affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza, nel segno della giustizia della solidarietà dei valori etici e civili’. I nomi scanditi, uno per uno, come martiri della società civile, di una società senza legge, dicono dall’altare, dove la vera legge è il malaffare e la violenza: ‘Che si continui a ricordare il  loro sacrificio, la società più onesta condivide con voi la sofferenza, e questa non sia semplice celebrazione, ma i nomi risuonino nella memoria viva di tutti’.

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