A.P.

Oggi parte il reddito di cittadinanza. Per me è un giorno felice e infelice insieme. Positivo perché - come dice Di Maio - “lo Stato finalmente si occupa degli invisibili, di persone che sono state alla periferia di questo Paese e dei temi politici. Da oggi 5 milioni di persone potranno potenzialmente accedere” a questa misura. Non sarà “una rivoluzione“, ma è un fatto positivo.
E perché sono allora infelice? Per pessimismo cosmico? No, perché emerge una critica, sacrosanta in generale, ma espressione di quell’egoismo sociale di cui si è lamentato Beppe Grillo nei giorni scorsi, mettendo in luce la mancanza di iniziative della Repubblica “per sostenere i suoi milioni di poveri”. Non che la critica al RDC non sia sacrosanta. Ci sono tanti punti problematici e altri ne sorgeranno in corso d’opera. Poi, quasi tutte le osservazioni alla disciplina contengono un pizzico di verità. Si tratta, tuttavia, di aspetti da tradurre in affinamenti nel contesto dell’attuazione di una misura generale positiva. e dunque non dovrebbero essere utilizzati per contrastarla con acrimonia.
Giusto dire che occorre il lavoro stabile, solo questo dà vera dignità alle persone, giusto affermare che un’assistenza a vita per chi è idoneo al lavoro non va bene, ma questo pone un compito alla Repubblica e a tutte le forze progressiste e ai sindacati: avviare una mobilitazione generale per il lavoro, per la redistribuzione e per l’eguaglianza. Le file davanti ai CAF rendono visibile un esercito di persone da mettere in campo per questa battaglia, accanto ai lavoratori già occupati e ai pensionati. Landini, che è un riferimento importante, dovrebbe porsi questo obiettivo. Anche i 6 mila navigatores, dovrebbero essere visti non come un peso da deridere, ma come una forza da mobilitare per un’occupazione stabile anche propria. Insomma, ciascuno, come persone e come oprganizzazione, in questa partita deve decidere con chi stare: con l’egoismo sociale o con la solidarietà, che si esprime innanzi tutto nella lotta.