Inizia l’era Zingaretti. Cosa farà e cosa sarà il PD?

6 Marzo 2019
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Andrea Pubusa


Ciò che sorprende nella elezione di Zingaretti è che, dopo un anno di campagna elettorale interna, non si sa ancora cosa farà da leader. Dopo il risultato, le domande degli ascoltatori alla trasmissione Raitre del primo mattino “Prima pagina“, ad esempio, erano tutte volte a conoscere gli indirizzi programmatici del neosegretario e la stessa giornalista al microfono ammetteva che questo è ancora un rebus, un nodo da sciogliere, un mistero. Così alcune ascoltatrici ambientaliste hanno telefonato allarmate per il proposito, rivelato dalla stampa (poi tristememte confermato dai fatti!), di un primo gesto simbolico al cantiere TAV, altri si interrogavano sulla politica sui migranti: continuità con Minniti o nuova proposta? Oltre ai temi specifici, in generale col centrodestra o col M5S? O con chi? Queste sono anche le 10 domande che gli rivolge Padellaro sul Fatto di ieri. Ovviamente non si chiede al segretario di essere subalterno agli schieramenti o partiti, è naturale ed ovvio che il leader del PD cerchi di risalire la china a danno degli altri, ma questo si può, anzi di deve, fare delineando un nuovo assetto di governo del paese. Un partito che ha governato  fino ad un anno fa, anche dall’opposizione ha il dovere di indicare una prospettiva di governo. E qui forse s’intravede la prima debolezza del ragionamento di Zingaretti, almeno da quel che si può intuire dalle dichiarazioni ermetiche ed evasive di questi mesi: anch’egli continua a ragionare in termini di sistema bipolare, omette di considerare che il sistema è tripolare o fors’anche quadripolare se Salvini cresce, e la legge elettorale rimane proporzionale. Quindi, il successo e la ripresa sono legate all’appropriatezza della politica delle alleanze. DC docet. Qui si manifestano anche le possibili criticità interne. Sui grandi temi, il PD ha posizioni più vicine alla destra e allo stesso Salvini che non al M5S. Certo rispetto al ministro leghista usa un linguaggio meno truculento, ma, in fondo, oggi sui migranti il ministero dell’interno opera in continuità con quello precedente e sulla legittima difesa il PD ha limitato alla notte ciò che la Lega vuole estendere anche al giorno. E sulla TAV e le grandi opere? Chiamparino marcia spalla a spalla con Salvini e B. contro il NO dei pentstellati. Una messa a punto è dunque necessaria, sapendo che dovunque vada avrà una grossa resistenza di parti non marginali del suo partito e del suo elettorato. Se apre a Bersani, Grasso e d’Alema? Giacchetti ha già annunciato l’uscita. E la firma del documento di Calenda, che senso ha? Se vira verso Calenda è difficile che riconquisti l’elettorato popolare.
Ma c’è un punto fermo nel successo di Zingaretti alle primarie?  C’è un indirizzo politico che emerge dal voto popolare? La risposta è positiva. Indiscutibilmente la preferenza massiccia di “Montalbano” nasce dalla domanda di svolta rispetto al renzismo. Una istanza di cambiamento più chiara e netta a livello popolare che ai vertici, ancora sotto l’influenza del trombettiere di Rignano. Anche se non in termini massa, un ritorno ai temi classici di una sinistra democratica e ad un’accettabile moralità certamente indurrebbero molti fuoriusciti a rientrare quanto meno sul piano elettorale. Si attenuerebbe anche la morsa della critica a sinistra. A ben pensare, anche chi ha votato e vota M5S preferirebbe un governo incentrato su ambiente, diritti, democrazia e, dunque, farebbe ponti d’oro ad un avvicinamento con un PD rinnovato. Ma, dopo due anni dalla storica sconfitta del 4 dicembre 2016 e la batosta del 4 marzo, pur con un nuovo segretario, non si sa cosa farà e sarà il PD. Speriamo bene. La partenza di Nicola è, però, quanto di più irragionevole potesse prevedersi, nel merito e nei modi. Ha detto che è “criminale” (sì proprio così “criminale“) rimettere in discussione la TAV, come se sia criminale avere preoccupazioni ambientalistiche o pensare che risorse così grandi sia meglio destinarle a manutere infrastrutture (dalla scuole, ai ponti, alle strade etc.) ormai fatiscenti o a crearne di nuove nei territori. Una partenza dalla parte sbagliata, rivolta al mondo degli affari e degli appalti piuttosto che alle esigenze popolari. Un linguaggio fuori misura che farebbe bene a lasciare a Renzi o a Salvini. Passo falso e una prima delusione. Se il buon giorno si vede dal mattino…ma perseveriamo nello sperar bene. Una svolta seria del PD serve alla nostra democrazia.

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