Habeas corpus, contro tutti gli integralismi

1 Aprile 2009
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Andrea Pubusa

Habeas Corpus. Avete mai provato a pronunciare queste due parole lentamente, calcando sulle lettere? Provate! Sentirete una grande forza sia nel verbo che nel sostantivo. Se ci pensate è così per tutte le massime che segnano la storia delle libertà. Sono dotate anche di ritmo e musicalità. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale…” (art. 3 Cost.). “Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di… salvaguardare per noi stessi e per i nostri posteri il dono della libertà, decretiamo e stabiliamo questa Costituzione degli Stati Uniti d’America (Preambolo). “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti” (art. 1 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino).
Nella locuzione Habeas corpus, anche chi non conosca il latino percepisce la forza della garanzia della persona. Una sensazione immediata di effettività della tutela della libertà che si svela anche senza leggere il resto della massima: “Habeas corpus integrum”, “nullus liber homo capiatur vel imprisonetur nisi per judicium parium suorum vel per legem terrae”. Nessun uomo libero può essere arrestato o imprigionato se non a seguito di un giudizio giusto, secondo legge. L’Habeas corpus integrum indica l’intangibilità della persona nella sua fisicità, fatta di corpo, volontà sentimenti, relazioni. Garantisce la naturalità e l’inviolabilità della libertà di questa entità complessa che è la persona.
Suono diverso hanno invece le espressioni che comprimono le libertà. Quelle che evocano la sopraffazione, la violenza e l’arbitrarietà. Ad esempio che un corpo dev’essere alimentato e idratato comunque, anche quando non è più persona. Quando la sua integrità è minata irrimediabilmente dal male, che l’ha vanificata. Che significato ha in questo caso vietare alla persona (ossia all’essere dotato di capacità d’intendere e di volere) di disporre del suo corpo ormai non più riferimento di relazioni e di sentimenti? Vuol dire compiere la più atroce delle violenze verso la libertà della persona e verso il suo corpo, ormai divenuto simulacro vuoto.
E quale atrocità c’è nel consentire che un corpo anziché veicolo di amore e di vita diventi strumento di offesa e di morte? Perché questo è al fondo il messaggio di chi invita a rapporti a rischio, non protetti, non essendo realistico pensare ad una castità e ad una virtuosità di massa. E quale attacco all’integrità del corpo c’è nel vietare o ostacolare la ricerca scientifica volta a guarire la malattia o ad allontanare il dolore?
Se riflettete queste posizioni contrastanoi proprio con la promessa e l’impegno solenne “Avrai un corpo integro, libero”, che ogni autorità civile o religiosa deve garantire ai suoi cittadini o fedeli. Nell’un caso perché colpisce la persona impedendo che il suo corpo abbia una fine naturale e dignitosa quando non è più sede di affetti e sentimenti. Nell’altro perchè colpisce la persona minandone terribilmente e mortalmente il corpo o martoriandolo col dolore.
Legislazione sul testamento biiologico e divieto del condom o della ricerca sono dunque frutto di una stessa violenza e di una identica eversione dell’habeas corpus. Sono un ritorno a tempi bui della sopraffazione e dell’arbitrio. Ed allora che fare, per esempio sul testamento biologico? Proprio la massima dell’habeas corpus c’indica la via. La fine vita è una situazione terribilmente complessa e delicata perché oltre ai diritti del morente coinvolge sentimenti, affetti, interessi dei vivi. Davanti al capezzale del morituro o di chi è già clinicamente morto si addensano non solo buoni, ma anche pessimi sentimenti. I parenti e gli amici affettuosi, ma anche chi dalla morte si attende beni e ricchezze. O anche, più banalmente, chi, nella crisi, vuole perpetuare una parvenza di vita per lucrare una pensione. Ed allora occorre anzitutto salvare la volontà della persona espressa nel suo testamento bilogico, e bisogna anche lasciare che il medico dica la sua circa la speranza di ripresa. Ma occorre anche che il giudice dia certezze a tutti. Il testamento del resto spesso necessita di un’opera delicata d’interpretazione, così come il responso del medico può necessitare di chiarimenti e di approfondimenti. Sarà, dunque, il giudice che, a conclusione dell’esame, dirà quale sarà il trattamento e quali i protocolli da applicare. Con una procedura snella, come tante già ne esistono nella cosidetta giurisdizione volontaria. Nè si dica che così si giuridicizza una materia delicata da tenere lontana dai Palazzi di Giustizia. Non si dimentichi che papà Beppino ha dovuto avere una decisione della Corte d’Appello e una della Cassazione nonché una sentenza del Tar. E ciononostante ha incontrato enormi ostacoli. E i medici? Senza copertura giudiziaria difficilemnte si esporranno a ritorsioni e ad angosciosi processi. Dunque torniamo all’habeas corpus che garantisce la libertà e le pone a presidio il giudizio secondo legge del giudice, massimo garante delle libertà negli ordinamenti civili.

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