Se ci pensiamo bene, la pastorizia è la più antica “industria” sarda. Rinascita, crescita, sviluppo. Tante iniziative, tante aspettative. La speranza della rinascita era riposta sul dio petrolio. Il sogno è tramontato, rimangono vecchi stabilimenti in disuso e la trasformazione inquinante, ma le percore, le capre, i patori, il latte resistono sempre.
Il mondo pastorale è arretrato? E’ da abbandonare? In termini astratti sì, ma guardando alla storia e all’attualità, le pecore e il latte non sono solo il nostro passato, ma anche il presente e, a ben pensarci, anche il futuro. Lì si mantiene anche la lingua sarda, senza artifici, senza manomissioni di sapienti e dotti. Ma si dice, è un mondo senza cultura. Certo c’è arretratezza, ma c’è anche cultura. Quante cose sa un pastore che un fighetto di città non sa. Conosce il tempo, gli astri, le stagioni, le erbe, le piante, i processi produttivi legati al latte, sa di anatomia delle bestie (non molto diversa da quella umana) e tante altre cose ancora. Conosce la fatica, la serietà degli impegni di lavoro, le cose le fa quando devono essere fatte. Non può rinviare, non può spostare. Nel vecchio mondo pastorale, fatto di analfabeti, i contratti erano verbali, la parola valeva più di qualunque firma, perché se non eri uomo di parole nella comunità nessuno ti dava credito. Non valevi niente. Eppure questo mondo così ricco di valori è così maltrattato e vilipeso. Ricordate la bastonatura premeditata, preventiva e ingiustificata a Civitavecchia alcuni anni fa? Sol perché i pastori sardi intendevano manifestare al governo nelle strade di Roma il proprio malessere. Come si permettono coi loro scarponi che solitamanete calcano la merda degli animali venire a sporcare le strade della capitale, di Roma? Come pensano questi uomini venuti dall’antichità di poter impunemente usare strumenti di lotta moderni? E giù botte. State al vostro posto non sporcate le strade di lor signori! E poi ancora botte e caccia all’uomo nei confronti dei pastori a Cagliari, proprio intorno alla sede dell’Assemblea dei sardi, il Consiglio regionale. Insomma, un trattamento ostile e violento o per chi tiene in piedi l’economia sarda e solleva i problemi della Sardegna.
Non conosco la questione del latte e, dunque, non prendetemi sul serio. Ma in questa vicenda vedo che il mondo è capovolto, fund’a susu. Di solito da che mondo è mondo il prezzo del prodotto finito è la risultante dei fattori che lo producono, anzitutto della materia prima. Qui è invece il prezzo del formaggio a determinare quello del latte. Ci sarà pure un rimedio. Se i pastori, nonostante i sacrifici loro e delle famiglie, non riescono ad avere un giusto guadagno e lasciano cosa succede?
Mi rendo conto che ormai la mia lente è sfuocata, ma vedo in tutto ciò che mi sta intorno, compensi sproporzionati, compensi da capogiro per manager di solito presunti, pensioni d’oro per vecchi che hanno bocca e corpo come gli altri, indennità eccessive per onorevoli privi di competenze, e assisto a resistenze feroci per ogni misura di redistribuzione, di equità. Guardate anche i poveri: se lo sono è perché sono poltroni, amano il divano e i pop-corn, sono dediti a molti vizi e chi più ne ha più ne metta. In fondo a tutte queste valutazioni c’è uno spirito di classe, un disprezzo per chi non fa parte delle ologarchie che si autovalutano, autopromuovono e si autofissano i compensi.
Per i pastori sardi, come per i poveri e i lavoratori, non c’è una impossibilità di trovare soluzioni. Bisogna vedere in loro una ricchezza, bisogna essere dalla loro parte o meglio sentirsi parte di loro. In fondo In Sardegna, gratta gratta, tutti veniamo dalla pecora o dalla capra, come mi diceva Cicitu. Per questo non possiamo tutti quanti non dichiararci pastori. E poi, fino a non molto tempo fa, essere di sinistra, essere democratici, essere progressisti significava, gramscianamente, sentirirsi parte organica delle classi popolari. Sui pastori occorre mettere a punto le linee, ma in Sardegna dobbiamo creare un vasto fronte di lotta.
Pastorizia: resiste da millenni eppure i pastori perdono 14 centesimi a litro. Costa più l’acqua del latte. In Sardegna non possiamo non dichiararci tutti pastori!
18 Febbraio 2019
2 Commenti
2 commenti
1 aldo lobina
18 Febbraio 2019 - 08:06
Rubo da Giulio Lobina una breve riflessione sull’argomento: “Non si può comprendere una battaglia se non ci siamo dentro. Giudicare un pastore che getta via il latte, che lo versa per strada o nei campi significa continuare a voltarsi dalla parte sbagliata. Siamo un popolo che alla pastorizia deve cibo, tradizione e coraggio.
Avevo un nonno pastore e in campagna era paziente e sapeva rimboccarsi le maniche perché non sempre le cose andavano bene.
Il latte che oggi viene versato, è sangue. È il sacrificio della disperazione. A nulla vale il nostro impegno in politica se non comprendiamo le ragioni dei pastori.
Se non riteniamo anche noi un furto il fatto che vendano il latte a 60 centesimi al litro. Paghiamo di più un caffè al bar.
Il latte dei nostri pastori è bianco, ma è il loro sangue. Versarlo deve far paura. È un gesto estremo che ci richiama alle nostre responsabilità.
Quando investiamo nel turismo tutto va bene. Ma nessuno parla più dei pastori. Degli agricoltori. Degli allevatori. La buona politica passa anche nella salvaguardia di ciò che il nostro popolo offre. Nel metterci in condizione di vivere dignitosamente.
Il latte è sangue. È vita di quest’Isola.”
2 Aladin
18 Febbraio 2019 - 09:01
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=93610
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