Landini: «In piazza San Giovanni per un cambiamento reale»

9 Febbraio 2019
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Intervista a Maurizio Landini. Il neosegretario della Cgil: reddito e Quota 100 non risolvono i problemi, servono diritti e uguaglianza e un’Europa diversa. Alla vigilia della manifestazione con Cisl e Uil l’ex leader Fiom punta «sull’unità come nuova strategia»

 

Maurizio Landini
 
Maurizio Landini, lei è segretario generale della Cgil da meno di due settimane. Prima di essere eletto veniva accusato di simpatie verso il M5s; ora è il più attaccato dai pentastellati.

Io son sempre lo stesso, la linea della Cgil non è cambiata. Anzi, dal congresso è uscita rafforzata un’idea di cambiamento dell’intera società che si fonda su uguaglianza e diritti. Al governo chiediamo che il lavoro di qualità sia una priorità.

Ora il M5s lancia una nuova battaglia: il ddl che prevede il salario minimo orario a 9 euro che voi avete sempre avversato.
Noi da tempo chiediamo una legge sulla rappresentanza collegata all’efficacia erga omnes per tutti i contratti nazionali votati dai lavoratori. È lì, nella contrattazione che devono essere fissati i minimi salariali sotto i quali non si deve andare. Oggi però non c’è solo il problema di garantire un salario dignitoso a tutti i lavoratori ma, dai rider alle partite Iva, vanno garantiti uguali diritti: ferie, maternità, Tfr, formazione. Diritti fondamentali per evitare la competizione al ribasso che ha distrutto il mondo del lavoro e che non si risolve con i 9 euro di salario minimo orario.

Sempre sul tema salariale Confindustria sostiene che i 780 euro del reddito di cittadinanza siano troppo vicini ai salari di ingresso e scoraggiano a trovare lavoro.
È vero l’opposto: sono i salari ad essere troppo bassi. In Italia abbiamo una questione salariale grande come una casa: oggi in molti casi si è poveri lavorando. Anche Confindustria deve affrontare il tema: è nel loro interesse eliminare le sacche di lavoro povero rinnovando i contratti con aumenti adeguati. Il problema va poi affrontato sia sul piano fiscale – aumentando le detrazioni e con una tassazione progressiva, tutto il contrario della flat tax – e detassando gli aumenti dei contratti nazionali, non solo quelli aziendali. Il governo da questo punto di vista è un datore di lavoro pessimo: i 14 euro in 3 anni previsti in legge di bilancio per il rinnovo dei contratti pubblici sono quasi offensivi.

Un tema delicato è quello della Tav Torino-Lione: lei partecipò con la Fiom ad una manifestazione no Tav mentre ora la posizione della Cgil è più articolata con una categoria, gli edili della Fillea, che sono a favore.
Ridurre la discussione sulla necessità che il paese ha di grandi opere infrastrutturali e immateriali alla sola Tav Torino-Lione mi sembra surreale. Noi come Cgil facciamo un ragionamento complessivo che chiede di investire nel sistema ferroviario specie al Sud, di costruire scuole e ospedali e di sbloccare i cantieri a partire dai più piccoli e di lanciare un piano straordinario di manutenzione del territorio. Queste sono le priorità. Dentro a questo quadro è indubbio che al nostro interno abbiamo opinioni diverse di cui, come segretario, devo tenere conto. Detto questo, le posizioni sono tutte legittime: la Fiom Torino e altre strutture locali sono contrarie alla realizzazione, nessuno gli ha chiesto di cambiare idea. Ma la Cgil ha una sua posizione.

La sua elezione a segretario generale pareva impossibile solo pochi mesi fa. Quando ha pensato che poteva farcela?
Quando Susanna Camusso ha proposto il mio nome.

L’obiettivo però lo aveva già nel 2014 quando – ai tempi della Coalizione sociale – in molti la volevano invece in politica.
Ripeto, anche quando sono stati fatti ragionamenti di allargamento della nostra base sociale ho ragionato in ottica di sindacato. E quando ho capito che questo allargamento rischiava di essere strumentalizzato per ragioni politiche e partitiche non ho esitato a fermarmi. Di tutto mi si può accusare ma non di essere incoerente.

Lei è il primo segretario generale della Cgil ad essere stato segretario generale della Fiom dai tempi di Bruno Trentin. La sua elezione sta anche a significare che le battaglie della Fiom erano giuste?
Rivendico ciò che ho fatto, la mia storia e il mio bagaglio di esperienze, ma se sono diventato segretario generale è per la discussione e la crescita collettiva che si è fatta in questi ultimi anni in Cgil. La Carta dei diritti universali è una innovazione strategica così come il rinnovamento interno. L’esperienza da metalmeccanico mi ha permesso di avere a che fare con grandi gruppi industriali che anticipavano i contesti, allo stesso modo negli ultimi due anni da segretario confederale sono entrato in contatto con esperienze diverse – il sindacato di strada dei braccianti, la realtà della logistica e del commercio, la battaglia dei lavoratori pubblici e della scuola – che mi hanno arricchito.

Lei ribadisce sempre che gli iscritti alla Cgil hanno il vincolo al rispetto della Costituzione, ai valori dell’antifascismo e dell’anti razzismo ma che possono votare ciò che vogliono. Per le elezioni europee non pensa però sia necessaria una “chiamata alle armi” per la sinistra contro un fascismo montante?
La Cgil indicazioni di voto non ne darà mai. Però assieme a Cisl e Uil e ai sindacati europei vuole dare un contributo su come ricostruire un’Europa sociale cambiando i trattati, mettendo in discussione il Fiscal compact, combattendo il dumping sociale. In Europa non è in crisi solo un’idea di sinistra, ma anche una idea liberale. Siamo davanti ad una fase di passaggio molto delicata: vanno riaffermati gli ideali di libertà, democrazia e stato sociale che sono alla base dell’idea stessa di Europa.

Come sarà la Cgil di Landini? Il congresso si è chiuso in modo unitario dopo divisioni che erano più personali che di merito. Come superarle?
Abbiamo un programma comune che tutto il gruppo dirigente deve realizzare. La contrattazione inclusiva rende necessario un cambiamento del nostro modo di fare sindacato: serve ridare un ruolo più ampio alle Camere del lavoro, al lavoro sul territorio. Più in generale serve più partecipazione interna – delegati e leghe – e collegialità come pratica diffusa nei territori e nelle assemblee generali. In più serve una apertura verso forme di organizzazione di cittadinanza e partecipazione attiva per affrontare temi trasversali come il cambiamento tecnologico e la sostenibilità ambientale. Un cambio culturale che si fa soltanto con il coinvolgimento di tutti.

Sabato scendete in piazza contro il governo con una serie di proposte che considerate il «vero cambiamento» per dare “Futuro al lavoro”. In questi giorni ha girato il paese nelle assemblee: quali previsioni fa per piazza San Giovanni?Il clima nel paese è molto positivo: Piazza San Giovanni sarà piena. È stato importante mettere a punto con Cisl e Uil una piattaforma unitaria che va oltre la legge di stabilità e che guarda al futuro del paese. Di averla discussa con lavoratori e pensionati che hanno apprezzato la spinta che vogliamo dare per un cambiamento reale, per il miglioramento delle condizioni di tutti. C’è bisogno di unirci per affrontare problemi complessi, ridare valore alla Costituzione, democrazia, rappresentanza.

E se, nonostante il successo della manifestazione, il governo continuasse ad ignorarvi?
Abbiamo presentato le nostre proposte a tutte le forze parlamentari: una vera riforma delle pensioni – non Quota 100 che è una uscita triennale e non affronta i problemi di donne e precari – e massicci investimenti pubblici per creare lavoro – un Reddito di garanzia e non una misura pasticciata che mischia lotta alla povertà e politiche per il lavoro creando nuovi precari come i navigator. Di rimettere al centro il lavoro e il dialogo sociale ha bisogno tutto il paese. Se il governo non ci ascolterà proseguiremo le iniziative per portare a casa risultati a partire dalla manifestazione europea del 26 aprile a Bruxelles e della battaglia contro il regionalismo differenziato che rischia di spaccare il paese e di aumentare le diseguaglianze.

L’unità sindacale non rischia di annacquare le posizioni della Cgil?
Oggi l’unità sindacale è una questione strategica che va affrontata in termini nuovi. Democrazia e partecipazione devono portare ad una nuova identità sindacale che deve partire dai luoghi di lavoro. È una richiesta che viene dal basso e che ci permette una ridefinizione del nostro ruolo rispetto alle filiere produttive, alla contrattazione inclusiva. Qualcosa di più dell’unità di azione, è un punto strategico per rappresentare la nuova condizione del lavoro nel nostro paese.

 

 

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