Gianfranco Sabattini
Lo studioso che meglio ha formulato il problema posto dalla “Grande Migrazione”, quale quella che ha investito in questi ultimi anni i Paesi europei, è Paul Collier, autorevole studioso delle economie africane e docente di Economia e politiche pubbliche alla Blavatnik School of Government dell’Università di Oxford, nel suo libro “Exodus. I tabù dell’immigrazione”,
Ma qual è, si chiede Collier, la ragione che sta alla base del fenomeno migratorio? Essa, pur essendo ricca di aspetti diversi, nell’immediato è di natura prevalentemente economica, essendo riconducibile alla differenza delle condizioni esistenziali che “spingono” le persone dei Paesi poveri a migrare verso quelli ricchi. Da questo punto di vista, secondo Collier, il gesto individuale di ogni migrante “è un trionfo dell’intelligenza, del coraggio e dell’impegno umano a superare le barriere burocratiche imposte dai ricchi impauriti”. Secondo quest’ottica emotiva, qualsiasi politica migratoria adottata dai Paesi ricchi che non sia “quella delle porte aperte appare spregevole”, anche se questo tipo di politica manca di valutare le conseguenze negative della decisione di coloro che abbandonano il loro Paese natio, destinate a pesare su chi resta, costretto a vivere una condizione esistenziale più negativa di quella di chi decide di migrare. Ciò significa, sostiene Collier, che le politiche migratorie dei Paesi ricchi, verso i quali si indirizzano i flussi migratori, dovrebbero promuovere, non solo il radicarsi nell’opinione pubblica del convincimento della necessità di regolare rigidamente l’apertura verso i ‘diversi’, ma anche l’apertura alla comprensione degli effetti subiti da chi resta, che i migranti stessi nel decidere di abbandonare il loro Paese trascurano.
L’ipotesi dell’approccio al problema attuale della migrazione proposto da Collier assume che, per una sua razionale (e comprensiva) soluzione, siano considerati contemporaneamente gli interessi di tutti i “gruppi di persone” coinvolte: i migranti, gli abitanti del Paese d’origine che decidono di “restare a casa” e gli abitanti autoctoni dei Paesi ospitanti. Considerato che le decisioni più importanti (in quanto destinate a “pesare maggiormente sul verificarsi dei flussi migratori) sono quelle dei Paesi ricchi destinatari dei flussi di migranti, esse dovrebbero essere responsabilmente formulate tenendo conto di tutti gli interessi coinvolti.
Per un’analisi congiunta degli interessi dei tre gruppi di persone considerati occorrerebbe, perciò, fare riferimento a un parametro generale comprensivo di tutti gli interessi coinvolti; se, come di solito accade in molte analisi, sono utilizzate variabili economiche (come, ad esempio, il reddito), le politiche migratorie dovrebbero tendere a massimizzare il reddito totale. Collier è però del parere che le aspirazioni dei migranti a migliorare le loro condizioni di vita, non “possano dissolversi” in funzione della massimizzazione del reddito totale, ma in funzione di una “tranquillità esistenziale” di tutti i gruppi di persone coinvolte, che non può essere espressa in termini esclusivamente economici. In conseguenza, perché le politiche abbiano una qualche possibilità di successo e siano giustificabili da tutti i punti di vista, esse devono essere formulate anche in funzione degli interessi dei migranti, nonché degli interessi degli abitanti dei Paesi d’origine dei migranti stessi.
La mancanza di un parametro di riferimento nella formulazione delle varie forme di controllo introdotte è alla base del duro e costante confronto, nei Paesi di destinazione dei migranti, tra “reazionari” e “progressisti”; il confronto, trascurando la considerazione delle poche informazioni disponibili sugli effetti complessivi del fenomeno delle migrazioni, è di solito male impostato, perché avviene sulla base dell’assunto che gli immigrati siano un “male”, per i primi, e un “bene”, per i secondi, senza alcun riferimento a un qualche criterio obiettivo posto a fondamento del giudizio espresso sui migranti.
La ragione del contendere, secondo Collier, dovrebbe invece riguardare la valutazione degli “effetti marginali” del fenomeno migratorio; ovvero, gli effetti incrementali (positivi o negativi) che una variazione del tasso di immigrazione verso i Paesi di destinazione determina sulle condizioni esistenziali, sia dei migranti, che delle persone che decidono di non abbandonare i Paesi poveri che alimentano l’emigrazione. Questa valutazione può essere effettuata sulla base del “principio di accelerazione”, riconducibile a due caratteristiche intrinseche del fenomeno migratorio: in primo luogo, dato un determinato divario di reddito tra i Paesi poveri e i Paesi ricchi, maggiore è il divario, maggiore è la dimensione del flusso migratorio; in secondo luogo, finché il flusso migratorio non raggiunge livelli di massa, le ricadute sul divario di reddito esistente tra le due classi di Paesi non provoca in ciascuna di esse alcuna variazione rilevante delle condizioni esistenziali delle popolazioni.
In assenza di controllo degli accessi ai Paesi di destinazione, la crescita del divario di reddito origina una continua accelerazione del flusso migratorio, per cui se questo non viene bilanciato dal “periodico inasprimento” di un conveniente sistema di criteri di ammissibilità, il tasso di emigrazione, in linea di principio, continuerà sino al totale spopolamento dei Paesi d’origine. Dal punto di vista degli interessi dei Paesi poveri, per evitare questa possibile conseguenza, il tasso di immigrazione fissato dai Paesi ricchi dovrebbe essere stabilito in corrispondenza di un tasso migratorio dai Paesi poveri che risulti essere il più conveniente, nel senso che la condizione per essi migliore non è l’esodo permanente, ma una limitata e possibilmente temporanea migrazione (motivata, per esempio, da ragioni di studio, perché i migranti, ritornando in patria, possano contribuire a migliorare la condizioni esistenziali del loro Paese).
Infine, dal punto di vista dei Paesi ricchi, gli effetti dell’immigrazione, sono in parte di natura economica e in parte di natura sociale; considerato che, in caso di accelerazione contenuta del movimento migratorio, gli effetti economici non sono rilevanti, quelli sociali risultano “più corrosivi” per le condizioni esistenziali delle popolazioni autoctone dei Paesi ospitanti. Per individuare il punto di equilibrio rispetto agli effetti sociali, occorre avere giuste informazioni sui “costi” e sui “benefici” connessi alla “diversità sociale” originata dai migranti. Poiché allo stato attuale non si dispone di informazioni sufficienti per stimare gli effetti riconducibili ai possibili livelli di “diversità sociale”, è inevitabile che, all’interno dei Paesi ospitanti, il dibattito sul tasso di immigrazione più conveniente da adottare porti, come afferma Collier, la “carenza dei dati a scontrarsi con la forza delle passioni”.
In conclusione, tenuto conto del quadro complessivo delle argomentazioni sopra riportate, non si può che essere d’accordo con Collier nel ricondurre la responsabilità di un appropriato governo del fenomeno migratorio in capo ai Paesi ricchi, verso in quali si dirigono i migranti, in considerazione del fatto che la fissazione del livello del tasso migratorio più conveniente per tutti gli interessi coinvolti dipende dalle decisioni assunte da tali Paesi; decisioni che, se prese in assenza di ogni controllo, sarebbero negative per tutti. Ciò significa che i Paesi ospitanti, per evitare lo scontro inconcludente sul problema dei migranti, dovrebbero decidersi ad adottare misure sempre più informate alla conoscenza degli “effetti marginali” prodotti da ogni variazione del tasso di immigrazione; ciò, al fine di poter stabilire, di tempo in tempo, le “quote d’ingresso” più convenienti, tali da consentire l’integrazione delle diaspore in assenza della conflittualità sociale sinora prevalsa e compatibilmente con la salvaguardia degli interessi dei Paesi d’origine dei migranti.
Si deve però osservare che le riflessioni di Collier sul modo più corretto in cui dovrebbe essere realizzato il governo delle migrazioni non può essere lasciato all’iniziativa dei singoli Paesi verso i quali sono orientati ad indirizzarsi i flussi migratori. La politica più efficace, soprattutto se si considera il fenomeno delle migrazioni dal punto di vista della cura degli interessi dei Paesi membri dell’Unione Europea, dovrebbe essere unitaria, non solo per ragioni strettamente economiche e sociali, ma anche e soprattutto per ragioni politiche; ciò in considerazione del fatto che la regolamentazione dell’immigrazione lasciata alle decisioni dei singoli Paesi europei è stata “egemonizzata” da forze xenofobe e razziste, che stanno rendendo oltremodo difficile la soluzione dei problemi più immediati posti dal crescente flusso di migranti. Inoltre, l’azione unitaria dovrebbe essere volta a rendere più equa la distribuzione a livello mondiale degli esiti della globalizzazione, al fine di contenere i divari di reddito tra Paesi ricchi e Paesi poveri, in quanto “motore” dei flussi migratori.
Quest’ultima considerazione è tanto più rilevante, se si pensa che le migrazioni internazionali di massa costituiscono una reazione alle disuguaglianze mondiali; la globalizzazione, se resa più equa nella distribuzione delle opportunità che da essa possono originare, favorendo l’estensione degli esiti della “grande convergenza” dei Paesi arretrati verso le posizioni dei Paesi ricchi, rende possibile la previsione che, nel lungo periodo, i flussi migratori siano destinati naturalmente ad estinguersi. Anche riguardo a questo aspetto, però, gli establishment dei Paesi membri dell’Unione, “accecati” dagli egoismi nazionali, non sembrano propensi ad agire nel modo più conveniente dal punto di vista dei loro stessi interessi.
È, questo, un aspetto che dovrebbe entrare a fare parte dell’agenda di politica internazionale di ogni Paese realmente interessato, non solo a fare fronte nell’immediato (mediante controlli–tampone) al problema dei migranti, ma anche a risolvere tale problema in modo duraturo nel medio-lungo periodo, attraverso un impegno volto a rendere il processo di globalizzazione delle economie nazionali più equo sul piano distributivo dei vantaggi da esso attesi da parte di tutti i Paesi del mondo.
1 commento
1 Aladin
6 Febbraio 2019 - 09:18
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=92986
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