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Nella patria del diritto si straparla dell’autorizzazione a procedere contro un ministro, ma non si discute dell’istituto e della sua ratio, da cui solo può discendere una corretta soluzione della questione. Forse, se si discutesse in temini giuridici, si eviterebbero castronerie come quella di Forza Italia, che dice di essere sempre per il NO, e quella omologa del M5S, che afferma di essere sempre per il SI’. In effetti, se si è per il SI’ o per il NO si deve decidere volta per volta, alla luce del caso concreto e della funzione dell’autorizzazione a procedere.
E’ sufficiente leggere qualsiasi manuale di diritto costituzionale per avere delucidazioni. Per offrire una informazione, lo facciamo come redazione prendendo dalle trattazioni correnti sul tema. E’ agevole così apprendere che l’autorizzazione a procedere è legata alle prerogative parlamentari e dei membri del governo. Lo conferma l’origine storica. Fin dalla Dichiarazione inglese dei diritti del 1689, infatti, in funzione di contrasto della pratica degli arresti arbitrari degli oppositori politici da parte dei Tudor e degli Stuart, era stato esplicitamente affermato che la libertà di parola, di discussione o di procedura in seno al Parlamento non potesse essere intralciata o messa in discussione in nessuna corte o in altro luogo al di fuori del Parlamento stesso. La Costituzione italiana disciplina l’istituto dell’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari all’art. 68. A seguito della riforma operata con la l. cost. n. 3/1993, non è più necessaria l’autorizzazione a procedere per sottoporre un parlamentare a procedimento penale, mentre permane l’obbligo di chiederla nel caso di arresto (ad eccezione dei casi in cui il parlamentare sia stato colto nell’atto di commettere un reato per cui è previsto l’arresto in flagranza o a seguito di una sentenza irrevocabile di condanna), di perquisizione personale o domiciliare o di intercettazione, in qualsiasi forma, delle comunicazioni (ivi compresa la corrispondenza) o delle conversazioni dello stesso. L’autorizzazione a procedere deve essere chiesta anche nei confronti dei giudici della Corte costituzionale, rispetto ai quali continua applicarsi il regime giuridico previsto per i parlamentari sino al 1993 (l’art. 3, co. 2, della l. cost. n. 1/1948 rinvia, infatti, al «vecchio» art. 68 Cost.). Infine, una peculiare ipotesi di autorizzazione a procedere è quella prevista all’art. 96 Cost., come novellato con la l. cost. n. 1/1989, per quanto riguarda i c.d. reati ministeriali, ovvero compiuti dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro, anche se cessati dalla carica, nell’esercizio delle loro funzioni. ED è quanto ora ci interessa.
I reati ministeriali
I reati ministeriali costituiscono una fattispecie di reato direttamente disciplinata dalla nostra Costituzione, all’art. 96: rientrano in tale tipologia i reati commessi dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un ministro nell’esercizio delle loro funzioni.
Prima che entrasse in vigore la legge di revisione costituzionale n. 1 del 16 gennaio 1989, l’art. 96 stabiliva che il Presidente del Consiglio e i ministri, per i reati in questione, fossero giudicati col medesimo procedimento previsto per i reati presidenziali, ovverosia messa in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune e giudizio della Corte Costituzionale nella sua composizione integrata: una procedura, questa, che prevedeva delle Commissioni inquirenti e che, all’atto pratico, dimostrava degli evidenti limiti. I meno giovani ricorderanno il processo al Ministro Tanassi per scandalo Lockheed.
A seguito del referendum del 1987 e della successiva riforma costituzionale, l’art. 96 è stato riformulato: il nuovo dettato stabilisce che il giudizio sui reati ministeriali spetta, previa autorizzazione della Camera a cui appartiene l’indagato, alla magistratura ordinaria.
Il tribunale dei ministri
Al cosiddetto “Tribunale dei Ministri”, un tribunale costituito da tre magistrati e istituito ad hoc presso il tribunale del capoluogo di distretto della Corte d’Appello, sono affidate le indagini preliminari: se non ne viene disposta l’archiviazione, gli atti vengono trasmessi alle Camere.
Per stabilire se un reato è ministeriale, occorre valutare se il reato è stato commesso per tutelare un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per perseguire un preminente interesse pubblico.
La giunta per le autorizzazioni a procedere
Competente ad esaminare e le questioni inerenti alla concessione dell’autorizzazione è la Giunta per le autorizzazioni a procedere: nel caso in cui il soggetto inquisito non sia un ministro parlamentare, la competenza è del Senato.
La deliberazione della Camera interessata, che richiede la maggioranza assoluta, è insindacabile. Sempre alle Camere spetta il compito di autorizzare le misure restrittive della libertà personale.
In ogni caso, nella fase di giudizio, non possono essere disposte nei confronti del Presidente del Consiglio e dei ministri pene accessorie che comportino la sospensione dall’ufficio.
Procedibilità
I reati ministeriali sono perseguibili anche nel caso in cui la carica sia cessata.
La ratio della riforma del 1989 sta nella necessità di contemperare due diverse esigenze: da un lato, quella di mantenere delle garanzie nei confronti di chi svolge un’alta e delicata funzione, sì da evitare eventuali strumentalizzazioni politiche, dall’altra, quella di non fissare un regime processuale eccessivamente differenziato da quello ordinario.
Nel procedimento stabilito dal dettato costituzionale la garanzia è rappresentata dall’intervento del Parlamento, con la concessione o meno dell’autorizzazione a procedere.
Come votare nel caso Salvini?
Tirando le somme, l’autorizzazione - come detto - non dev’essere data o negata per principio (secondo l’errata impostazione di FI e M5S), ma solo in relazione al caso concreto. Ora è fuori discussione che Salvini ha agito nell’esercizio della funzione ministeriale e - si badi bene - in esecuzione della linea politica decisa dal Corpo elettorale (che è organo costituzionale) il 4 marzo, dal parlamento (che è organo costituzionale) nell’accordare la fiducia al Governo Conte, e dal’Esecutivo (che è organo costituzionale). Questa circostanza è confermata dal Presidente del Consiglio, che rivendica a sé la responsabilità dell’operato del ministro dell’interno. Ergo, nel caso di Salvini l’autorizzazione dovrebbbe essere negata per garantire la libertà degli organi costituzionali e del governo dalle ingerenze del potere giudiziario. Questo non vuol dire condividere le azioni del governo e di Salvini sulla vicenda. Si può essere fermamente critici: si tratta però di questioni da sindacare in sede parlamentare (e nel dibattito pubblico), non nelle aule giudiziarie.
Uno spunto in questo senso viene dalla CEDU. Su ricorso della Sea Watch contro l’Italia la Corte dei diritti dell’uomo ha dichiarato il governo tenuto ad assicurare una permanenza civile nella nave, cioè a “fornire a tutti i richiedenti adeguate cure mediche, cibo, acqua e forniture di base”, ma non ha accolto la richiesta della Ong di sbarco dei 47 migranti, l’Italia non è obbligata a far approdare sulle proprie coste gli immigrati e neppure a sbarcarli. La ragione è semplice: far entrare o meno stranieri nel proprio territorio è prerogativa del governo. Volendo entrare nel merito giuridico del fatto, ci sono due circostanze di rilievo strettamente processuale da considerare: anzitutto che la Procura, titolare dell’azione penale, ha chiesro l’archiviazione; secondariamente che il Procuratore della Repubblica, a suo tempo, aveva fatto un sopralluogo sulla Diciotti e non aveva disposto alcunché, ritenendo evidentemnete che non fosse in corso alcun sequestro di persona o altro reato. Rimane ovviamente salvo il giudizio politico e umanitario che può essere anche di critica severa al Ministro e al Governo.
3 commenti
1 Aladin
31 Gennaio 2019 - 09:56
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=92779
2 aldo lobina
31 Gennaio 2019 - 21:26
Professore, non si tratta di dare o negare l’autorizzazione. Questa fattispecie (non so se si dica così) non esiste più. Il Parlamento deve decidere se Salvini ha agito nell’interesse generale dello Stato oppure no. Cioé il giudizio è politico. A nulla serve la giustificazione postuma di Conte che Salvini era in sintonia col governo. O peggio la questione sempre postuma che in quella nave ci potessero essere terroristi.fossero Se in nessuna seduta del governo i ministri hanno deliberato di tenere in mare quei bambini e quelle persone adulte in quel caso particolare essi non possono essere chiamati a rispondere. Ripeto sarà solo Salvini a dover dimostrare che trattenere in mare bambini stran deieri (non so se accompagnati o meno) è compatibile con il supremo interesse generale dello stato.
Risposta
L’interesse nazionale e’ costituito dal coinvolgimento dell’Europa nell’accoglienza. Rimettere queste valutazioni a un tribunale mi sembra improprio. Non stiamo parlando di Salvini, ma del bilanciamento dei poteri e delle prerogative degli organi costituzionali titolari d’indirizzo politico.
Salvini va battuto con la lotta politica non per via giudiziaria.
3 T. D.
1 Febbraio 2019 - 09:35
Caro Andrea, l’argomento sul quale concordo è che l’istituto del controllo in capo al Parlamento attraverso l’autorizazione a procedere, su richiesta del Tribunale dei Ministri, per reati ministeriali, è finalizzato a evitare indebite ingerenze del potere giudiziario sulle attività politiche dell’Esecutivo.
Tuttavia Costituzione e legge applicativa non hanno istituito nuove cause esimenti della responsabilità penale.
Se emerge una circostanziata imputazione di reato, non c’è interesse pubblico che tenga: occorre un processo.
Io ho letto la richiesta del Tribunale di Catania: è molto circostanziata, evidenzia gli aspetti di violazione delle norme italiane e internazionali che concretizzerebbero l’abuso d’ufficio che costituirebbe il presupposto per qualificare il trattenimento di persone sulla nave Diciotti come illegale configurando una fattispecie di sequestro di persona. Il Tribunale ha esaminato la posizione di Salvini escludendo di dover richiedere l’autorizzazione per altri componenti del Governo, pertanto l’assunzione di responsabilità politica del Presidente Conte a nome del Governo (che mai ha deliberato alcunchè sulla gestione della vicenda) è del tutto ininfluente.
Sarà solo una decisione politica, quella del Parlamento. Ma se negasse l’autorizzazione a procedere da un lato lascerebbe agli atti semplicemente che non si è voluto processare
il Ministro (restando eventualmente questi atti a disposizione di eventuali organi internazionali di giustizia), dall’altro si autoescluderebbe d’ora in poi dal rivendicare una prerogativa che gli è propria e dalla quale il Governo lo ha estromesso: quella di decidere l’indirizzo politico sulla materia della gestione dei flussi migratori.
Sarebbe una decisione gravida di conseguenze negative generali.
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